Altri titoli: Miccia corta, The Front Line
Regia Renato De Maria
Soggetto Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Renato De Maria, Fidel Signorile, dal libro “Miccia corta. Una Storia di Prima Linea” di Sergio Segio
Sceneggiatura Renato De Maria, Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Fidel Signorile
Fotografia Gian Filippo Corticelli
Operatore Benoit Dervaux
Musica originale Max Richter
Suono Mario Iaquone, Marta Billingsley, Marc Bastien
Montaggio Marco Spoletini
Effetti speciali Paolo Galiano, Franco Galiano
Scenografia Alessandra Mura, Igor Gabriel
Arredamento Francesca Tessari
Costumi Nicoletta Taranta
Trucco Franco Corridoni, Matteo Silvi
Aiuto regia Gianluca Mazzella
Interpreti Riccardo Scamarcio (Sergio), Giovanna Mezzogiorno (Susanna), Daniela Tusa (guardiana di Firenze), Awa Ly (cantante jazz), Michele Alhaique (Rosario), Fabrizio Rongione, Tatiana Lepore, Gilda Postiglione, Simona Nasi, Piero Cardano, Duccio Camerini, Lino Guanciale, Dario Aita, Jacopo Maria Bicocchi, Francesca Cuttica, Lucia Mascino
Casting Francesco Vedovati, Morgana Banco, Michela Sessa
Direttore di produzione Michela Rossi, Delphine Tomson
Ispettore di produzione Ferdinando Cocco
Produzione Andrea Occhipinti, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Arlette Zylberberg per Lucky Red, RTBF, Les Films du Fleuve
Distribuzione Lucky Red
Note Assistente operatore: Amaury Duquenne; microfonista: Corrado Azzariti; assistente scenografo: Amenah Monem; assistente arredatrice: Paola Peraro; assistenti costumisti: Ilaria Magini, Magdalena Grassi; sarta: Francesca Campanella; parrucchieri: Alberta Giuliani, Francesco Pecoretti; maestro d’armi: Gianluca Petrazzi; assistente alla regia: Gaia Filardo; segretaria di edizione: Vela Todorovic; segretario di produzione: Alfredo Ferrentino; location manager Piemonte: Francesco Beltrame; assistente location manager Torino: Danilo Goglio; assistente location manager Milano: Marco Bergamaschi; assistente location manager Venezia: Giorgia Marangoni; coordinatrice di produzione: Letizia Palatiello; amministrazione: Grazia Netti, Teresa Gaeni; organizzatore generale: Gianluca Arcopinto; produttore associato: Stefano Massenzi, Carl Clifton; collaborazione alla produzione: RaiCinema, Sky Cinema, Medusa Film, Quickfire Films.
Il film è stato realizzato con il sostegno di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Film Commission Torino Piemonte, Eurimages, Diaphana, Wallimages, Tax Shelter ING Invest, Productions Française Platteborse et Joelle Levie, Inver Invest, Muriel Bostyn et Jean.Baptiste Piette, Tax Shelter del Governo Federale Belga.
Locations: Torino (Carceri Nuove, via della Consolata, via Bertola, via San Domenico, via Vittorio Amedeo, via Cernaia, via Assarotti, via Bertola, corso Regio Parco, ex Manifattura Tabacchi, via Del Prete, via Giacomo Dina), Pinerolo, Venezia, Rovigo, Milano, Roma.
Sinossi
3 gennaio 1982. Sergio è a Venezia, dove ha messo insieme un gruppo armato per far evadere dal carcere di Rovigo quattro detenute tra le quali Susanna, la donna che ama e con cui ha condiviso idee e scelte politiche. Quella di Rovigo è una delle più audaci evasioni mai messe a punto durante i turbolenti “anni di piombo”. Mentre il gruppo si avvicina al carcere, Sergio ricorda gli inizi della clandestinità, il passaggio alla lotta armata e l'incontro con Susanna. Intanto la giornata del 3 gennaio volge al culmine: il gruppo è arrivato a Rovigo, all'interno del carcere Susanna e le altre attendono l'ora fissata. Un'esplosione fa saltare in aria il muro di cinta e comincia l’assalto. Susanna e Sergio si ritrovano, l'evasione è riuscita ma non tutto andrà come previsto...
Dichiarazioni
«[…] il cinema italiano non si è occupato quasi mai di questi argomenti, al più si è concentrato sulle Brigate Rosse, e in particolare sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. E poi, uno degli aspetti che mi hanno colpito di più è l’età dei protagonisti: Segio aveva 25 anni al momento dell’assalto al carcere di Rovigo, commette gli omicidi che raccontiamo tra i 21 e i 22 anni. Tutto ciò non è un motivo di pietas, ma di certo acuisce la volontà di capire. Com’è potuto succedere? La spiegazione, almeno quella che mi do io, è che vivevano separati dal mondo. La clandestinità li estraniava dal mondo reale, dalla vita di tutti i giorni, in un avvitamento di azioni violente che li ha condotti all’omicidio. […] Volevo che i protagonisti vedessero un mondo sempre “mediato”, a volte dal finestrino di un’automobile, altre dalle pareti delle abitazioni dove vivono in clandestinità: una sorta di distacco dal quotidiano che li tiene lontani dal contatto con la vita vera. Questa mia interpretazione è piaciuta ai fratelli Dardenne» (R. De Maria, www.cineuropa.org/interview).
«Non è stata una scelta travagliata, quella per i due protagonisti. Certo un po' di riflessione iniziale c'è stata, ma abbiamo avuto quell'intenzione quasi da subito. È stata un'idea di Andrea Occhipinti, che ci è parsa subito ottima e quindi non abbiamo cercato oltre. […] Io credo che il successo di un film sia sempre dovuto ad una bella storia, fatta bene. Ultimamente il mercato sta avendo una piccola trasformazione: dopo il momento delle grandi star c'è stato un periodo in cui nessuno era emerso più di tanto, mentre con quest'ultima generazione si sta riformando un gruppo di attori riconosciuti e stimati. È vero però che un film non si basa tanto sull'attore, ma sulla buona storia, e non si pensa all'attore come fonte del successo commerciale del film. Poi è chiaro che l'idea di chiamare Riccardo Scamarcio possa sembrare un'idea per fare botteghino in maniera semplice, ma accanto a film più commerciali o per ragazzine ha fatto anche ottimi lavori, come Mio fratello è figlio unico, così come Giovanna a film di grande successo ha affiancato lavori meno economicamente forti ma altrettanto importanti. Inoltre mi ha fatto molto piacere avere la possibilità di costruire qui un cast fatto anche di tanti nomi sconosciuti, abbiamo fatto esordire parecchi attori, molti erano proprio alla prima esperienza o al massimo alla seconda. Molto spesso li siamo andati anche a cercare nelle scuole di recitazione, ed è stato molto bello dare una possibilità a così tante facce nuove» (R. De Maria, www.movieplayer.it/articoli/06351, 14.11.2009).
«Abbiamo voluto fare un film semplice, su una coppia d’innamorati che avrebbe potuto avere una vita normale, e invece scelse di guardare la realtà attraverso l’ideologia. Così come le vittime, che ai loro occhi non erano esseri umani, l'unica cosa che importava era la loro funzione: si uccideva il giudice, non il padre di famiglia. […] Abbiamo pensato di fare riferimento al contesto politico all’inizio del film, quando attraverso il materiale di repertorio raccontiamo la stagione dello stragismo italiano. La Storia del nostro Paese è complessa, per approfondirla bisognerebbe scrivere un saggio, e non è il nostro mestiere: oltretutto sono proprio i terroristi, spesso, i più interessati a far leva sul contesto in cui agirono, perché in qualche modo si sentono giustificati dagli scenari di allora. […] Siamo partiti da un libro che non diceva praticamente nulla del privato, e abbiamo inventato molto, come sempre nel cinema. […] Quanto a Segio, che sin dall’inizio non doveva avere alcuna parte nella stesura dello script, il nostro rapporto con lui è stato molto chiaro: gli abbiamo fatto leggere il trattamento, poi le varie versioni… In molti casi la sua conoscenza dei fatti si basa sulla lettura dei giornali, ci spiace che non abbia chiesto direttamente a noi» (S. Petraglia, www.cineuropa.org/interview).
«Lo abbiamo prodotto con l'intento di raccontare un capitolo importante e doloroso della storia recente del Paese, convinti che il cinema debba anche offrire spunti di riflessione sull'identità di una nazione. Consapevoli della delicatezza del tema abbiamo messo tutto il nostro impegno per rispettare la verità storica, la memoria e la sensibilità delle persone che da quella stagione di sangue sono rimaste colpite» (A. Occhipinti, “La Stampa”, 21.11.2009).
«Ho deciso di prendere parte a questo film perché è il primo che vuole andare a vedere come sia potuto succedere a un gruppo di giovani colti e interessati alla politica di passare dal partecipare a un movimento al diventare assassini. C’è un punto che sfugge alla comprensione e alla logica: come una persona che si ispira a ideali di una giustizia più giusta possa trovarsi a compiere l’ingiustizia somma del togliere la vita. È una cosa interessante da raccontare, e allo stesso tempo delicatissima. Ma De Maria non ha assolutamente un’idea romantica di quegli anni e non a caso il Ministero dei Beni Culturali, dopo qualche tentennamento, ha deciso di finanziare il progetto» (R. Scamarcio, “La Stampa”, 13.2.2009).
«La prima linea è una patata bollente, un film ovviamente molto atteso che, dalla platea di un Festival italiano e internazionale come quello di Venezia, potrebbe guadagnare il massimo dell'attenzione mediatica. Molta pubblicità e quindi, forse, molte vendite all'estero. L'altra faccia della medaglia riguarda le prese di posizione contro la trasposizione cinematografica del libro di Segio. […] Della distribuzione di La prima linea si occupa la 01Distribution di Raicinema e l'accordo si basa sulla certezza che il film risulti conforme alla sceneggiatura approvata dalla Commissione ministeriale che gli ha accordato i finanziamenti. Se la pellicola dovesse avere toni e colori differenti, la distribuzione verrebbe negata. D'altra parte, nello speciale accordo stabilito con il Ministero, fa parte la clausola che prevede il ritiro del finanziamento nel caso in cui, sullo schermo, la pellicola risulti diversa da come è apparsa nella sceneggiatura» (F. Caprara, “La Stampa”, 17.5.2009).
«Dall'altra parte del mondo, dove l'eco delle polemiche che l'hanno accompagnato fin dalla nascita diventa naturalmente più flebile. La prima linea, il film di Renato De Maria sulla storia dell'ex terrorista Sergio Segio, è stato proiettato domenica sera, per la prima volta, davanti alla platea degli addetti ai lavori del Festival di Toronto. Ieri, invece, c'è stata l'anteprima con il pubblico. Positivo il primo impatto, racconta il produttore Andrea Occhipinti, forse perché in Canada, per un pubblico internazionale, i rimandi alla storia italiana non toccano ferite ancora aperte. Nella scena finale c'è l'ammissione di colpa del protagonista, interpretato da Riccardo Scamarcio: “Di tutte le vittime, anche di quelle che non ho direttamente colpito, sento il peso. Perché sono tra quelli che decisero, emisero sentenze. La mia responsabilità è politica, morale, giudiziaria. Le assumo tutte e tre”. […] Il film si avvale del contributo ministeriale, scelta che ha suscitato forti proteste da parte delle associazioni delle vittime del terrorismo con molte richieste di fermare il progetto. Da ricordare anche il monito del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che nel 2008, in occasione della Giornata della Memoria, aveva osservato: “Si deve dar voce non a chi ha scatenato la violenza terroristica, ma a chi l'ha subita”, realizzando quindi “racconti di verità sugli ‘anni di piombo’, ricordando quelle terribili vicende come sono state vissute dalla parte della legge e dello Stato democratico”» (F. Caprara, “La Stampa”, 15.9.2009)
«Niente finanziamento statale per La prima linea di Renato De Maria. Il film […] che ha scatenato polemiche e prese di posizione fin dal primo annuncio, farà a meno dei fondi assegnati dal Ministero. Proprio riferendosi ai tanti giudizi preventivi, il produttore di Lucky Red Andrea Occhipinti gioca d'anticipo e spiega in una lettera le sue motivazioni: “Invece di attendere la visione del film per giudicare la riuscita o meno del nostro sforzo, si è preferito da parte di molti, alcuni in buona fede, altri no, concentrare l'attenzione sull'opportunità che lo Stato sovvenzionasse il film. Non ci sarebbe stato nulla di male: un Paese maturo non ha paura di guardare il proprio passato. Ma la polemica ha preso il sopravvento”. L'altra sera, dopo aver visto la pellicola, il Ministro Bondi, pur escludendo la presenza di toni apologetici, ha ribadito di essere contrario al sostegno statale. La goccia che ha spinto Occhipinti a compiere il gesto: “II finanziamento del Ministero è legittimo, sulla base della legge vigente e della nostra carta costituzionale, così come legittimo è il fondo pubblico erogato dal Consiglio d'Europa (Eurimages). Malgrado questo, per sgombrare il campo da ogni possibile strumentalizzazione, abbiamo deciso di rinunciare”» (F. Caprara, “La Stampa”, 21.11.2009).
«II film assai cauto non esalta né demonizza i protagonisti, si mantiene distante e centrato sui fatti, fa ripetere sovente al protagonista “ho sbagliato”, “è stato un errore”, “ho fatto una sciocchezza” eccetera, non indulge a discorso politici né tattico-strategici. I personaggi parlano pochissimo (frasi mutilate, conversazioni continuamente interrotte), non mostrano entusiasmi né emozioni. Uccisioni e azioni di propaganda si susseguono senza commenti; manca ogni tentativo psicologico o sociologico, ogni sforzo per capire perché quei ragazzi facciano quel che fanno. Degli arrestati e dei morti di Prima Linea non si parla mai. Inevitabilmente il film sfiora una certa piattezza, un distacco» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 20.11.2009).
«Napolitano non ha ancora deciso se vedrà oppure no […] il film La prima linea, basato sul libro dell'ex terrorista Sergio Segio Miccia corta: ”Non so se lo vedrò, no, non lo so proprio”. E ancora: “Leggerò sicuramente quello che sarà scritto sul film, poi, magari, deciderò...” Sullo Era stato proprio il Presidente a sollevare, nel maggio scorso, forti dubbi sull'opportunità di certe trasposizioni cinematografiche, sottolineando il fatto che “a serie e oneste ricostruzioni filmiche sulla genesi e lo sviluppo del terrorismo di sinistra debbano affiancarsi ricostruzioni basate su memorie romanticheggianti e autogiustificative di personaggi che ebbero parte attiva in quella stagione sciagurata”» (“La Stampa, 10.11.2009).
«Una carovana di pellegrini circondata dai sioux. L'immagine rubata all'infanzia riemerge pensando a La prima linea, film a firma di Renato De Maria, bersagliato da ogni parte ancor prima della sua uscita sullo schermo […]. Il tema del resto è di quelli attorno a cui il nostro cinema gira intorno da molto tempo, senza riuscire a prenderlo per il cuore. È la storia “di un omicida che voleva un mondo migliore”, come la definiscono con lucida sintesi i coproduttori Jean Pierre e Luc Dardenne […], racconto non tanto del terrorismo italiano, ma di uno dei suoi protagonisti e della sua compagna di lotta. Il film è "liberamente ispirato" (è la dicitura a cui sono giunti gli autori assieme all'autore) da La miccia corta. Una storia di Prima linea (DeriveApprodi) di Sergio Segio, ripubblicato pochi giorni fa con una prefazione del suo autore che accusa De Maria e la produzione del film di essere scesi a troppi compromessi e di aver reso orfani i protagonisti del contesto storico in cui hanno agito. Lui, dunque, quel film - al quale pure ha partecipato con rigore - non lo riconosce più, così come la sua compagna di allora e poi moglie, Susanna Ronconi.
Due giorni fa, prima che altri decidessero per lui, Andrea Occhipinti ha inoltre deciso di rinunciare ai fondi statali, levando le patate dal fuoco al ministro Bondi e a tutti i gangli ministeriali che sin dai tempi della pre-produzione del film avevano tentato in mille modi di ostacolarne la nascita. Autore e sceneggiatori sono passati per diversi inferni prima di iniziare le riprese. Il Ministero per i beni e le attività culturali, infatti, in vista dell'eventuale sovvenzione, ha chiesto la verifica della sceneggiatura e addirittura il vaglio delle associazioni parenti delle vittime del terrorismo. Sandro Petraglia […] racconta ancora con commozione la difficoltà di difendere l'opera originale in “una stanza carica di dolore e rabbia” in cui i parenti erano stati riuniti per un confronto "a priori" sulle pagine della sceneggiatura, mentre intanto il comune di Milano levava il proprio patrocinio al film e avvolgeva le riprese “in un clima di ostilità i cui è stato molto difficile andare avanti”, racconta De Maria. Compromessi, alla fine, non ne sono stati fatti, giurano gli autori del film. O, se ne sono stati fatti, sono nati tutti da valutazioni personali e non indotte. […] Noi lo abbiamo visto ieri e […] pensiamo sinceramente che La prima linea sia un piccolo miracolo. Molto è rimasto fuori, è vero, e al contesto storico in cui tante vite maturarono sono dedicati solo pochi accenni. Ma un'opera artistica è fatta di scelte. De Maria e i suoi sceneggiatori hanno scelto di concentrarsi sul racconto del percorso di Sergio (il cognome, Segio, non è mai pronunciato) e di Susanna, ovvero sulla storia di due ventenni che invece di vivere una vita normale e un amore bello come tanti altri, entrarono in una sorta di altra dimensione. Un distacco dalla realtà, una dissociazione dalla propria umanità causata da quell'integralismo che sempre trasforma le persone nelle loro funzioni, come nel caso di Alessandrini, ucciso perché era un giudice, non un uomo e un padre. Renato De Maria e i suoi collaboratori […] compiono un passo nella direzione giusta. Non si caricano dell'impossibile peso di raccontare tutta la complessità di quella storia dolente, ma solo un pezzettino. Quel tanto che permette lo spazio di uno schermo, nel tempo di un'ora e mezza. E lo fanno con arte, con passione, con rigore» (R. Ronconi, “Liberazione”, 13.11.2009).
«Opera un po' d'azione storica, un po' d'azione intima, ma senza il necessario cattivo in campo (il villain non è mai il violento che non conta nulla: non è il cowboy rapace né l'indiano feroce, ma chi li arma e ha nel cassetto i files di entrambi, pronto a usarli ...), è ispirata, alla lontana, all'autobiografia Miccia corta di Sergio Segio, combattente comunista, e alle azioni di Prima Linea (aprile 77-giugno 83), troppo grezzamente abbozzate nel film, visto che il “terrorista” leader è perfino costretto, nella scena che ha erotizzato l'ex pci Bondi, e non solo lui, alla piena, religiosa, abiura. […] De Maria, che viene dal '77, già in Paz! (2002) aveva raccontato avventure demenziali di altri indiani metropolitani negli anni di piombo quelli che i Quaderni rossi non li chiudevano nel cassetto per tirar fuori pistole, ma li rileggevano a parco Lambro per tirar fuori polli gratis per l'operaio sociale. E, dopo 25 episodi tv di Distretto di polizia e un po' di Maigret, sa sciogliere le forme anchilosate del nostro cinema d'azione. Trasformando una tragedia, dallo sfondo ancora inenarrabile, in un discreto western con spaghetti […] dove, come direbbe Manzoni, il buon senso del detour, della direzione vietata di marcia (quella imboccata da De Maria quando affianca, rischiando, le auto del commando), lotta contro il senso comune di Prima Linea: che dai ferri vecchi della Resistenza passa ai mitra chic, inebriandosi di tecnologia, ma invece di alzare il livello dello scontro, lo distrugge, scippando la lotta a consigli operai. Quasi già prefigurazioni degli yuppie anni 80, altri “yes men”», non più fedeli alla Causa ma a un'altra Rivoluzione. Certo è strano. Come in Valzer con Bashir (il musicista è lo stesso Max Richter) non si nomina Arafat, qui è vietato pronunciare Vietnam. Ma non partì tutto da lì?» (R. Silvestri, “il manifesto”, 13.11.2009).
«Finiti […] gli estenuanti battibecchi apriori, oggi possiamo finalmente parlare del film e non di altro. Per farlo, partiamo dalla bellissima definizione che ne ha dato un fratello Dardenne (co-produttori i due belgi della pellicola, assieme a Lucky Red), dichiarandolo un film di grande ironia: “perché racconta la storia d'amore di due che nella vita sono terroristi”. Definizione perfetta, perché effettivamente guardando La prima linea si rimane catturati, più che dagli eventi, dall'intensità repressa di un sentimento costantemente negato. Come se De Maria avesse voluto mettere in scena un assurdo: l'ideologia che vince l'amore, la fede integralista che azzittisce i sentimenti, il dovere che mette a tacere le emozioni, la necessità della morte sopra il diritto alla vita. Se si accetta di guardare a questa messa in scena dell'assurdo, dell'impossibile, e non ci si concentra sui fatti, allora si può vedere il film che De Maria voleva fare, e che ha fatto. Anche bene. Non era facile, il pericolo di errore accompagna la pellicola ad ogni passo. Errore nel descrivere gli eventi, nel cedere al sentimentalismo, nell'indulgere su un occhio bagnato o su una pistola fumante. Tutto era a rischio. Persino le facce, sin troppo note, di Giovanna Mezzogiorno e Riccardo Scamarcio potevano far slittare l'intera operazione verso il fotoromanzo […]. Ma grazie ad una scrittura rigorosissima […], a una scelta di ripresa drammaturgica carata al millessimo e alla bravura, tutta lavorata sul trattenere, di Scamarcio e Mezzogiorno, il film raggiunge l'obbiettivo. Mette in scena l'assurdo e su quello ci fa riflettere» (R. Ronconi, “Liberazione”, 20.11.2009).
«Finché non sapremo ripensare e ri-mettere in scena quella stagione - il cinema italiano ci ha aiutato per decenni a riflettere sulla nostra storia - il terrorismo resterà un incubo insondabile. Mentre a chi lavora su quella frazione dell'ultrasinistra che negli anni Settanta scelse le armi va chiesto quanto si chiede a tutti i film storici. Scelte narrative nette e incisive; massimo rispetto dei fatti e della loro logica interna […]; credibilità di volti, gesti, sfondi, parole; scavo psicologico e sociale adeguato alla portata dell'aberrazione e dei suoi effetti. […] La prima linea delude perché ricorre a iconografie scadute […]. E offre una ricostruzione tanto lacunosa da divenire distorta. Non si tratta di eroicizzare o giustificare. Queste sono preoccupazioni da supermercato, banalità. Si tratta di scegliere su quali episodi e dettagli puntare. La prima linea intende raccontare la fine, il senso di sconfitta, di accerchiamento, di spreco. Troppo poco per un film, troppo ovvi i modi. Non bastano facce atone, sguardi spenti, voci sempre soffocate. Come in ogni cronaca, ci chiediamo chi, come, dove, cosa, perché. Invece dobbiamo accontentarci di tre delitti esemplari: un dirigente gambizzato; Alessandrini, magistrato democratico, abbattuto alle spalle mentre porta a scuola il figlioletto […]; infine l'omicidio Vaccher, giovane "delatore" interno all'organizzazione. E poi? Il film dovrebbe illuminare psicologie e radici, dire da dove venivano, umanamente e politicamente, Sergio (in parte ci riesce) e la Ronconi (qui invece il nulla assoluto: una telefonata alla madre e stop). Insomma semplifica, omette, banalizza, rimanda ad altre fonti» (F. Ferzetti, “Il Messaggero”, 20.11.2009).
«Su questo giornale Goffredo Fofi ha inserito il film in una riflessione complessiva sul terrorismo, sottolineando due aspetti: il fatto che, nei film, i terroristi sembrino spesso agire in un vuoto pneumatico, avulsi dal contesto sociale e politico nel quale sono nati e, per un certo periodo, prosperati; e che tale vuoto è un segno, uno dei tanti, che l'Italia non ha fatto ancora i conti, nei modi dovuti, con gli anni di piombo. Il caso Battisti e i recenti proclami, giunti anche all'Unità, confermano. Sul “Corriere della Sera”, invece, Pierluigi Battista ha dovuto concedere a La prima linea tutte le “attenuanti” del caso (non sta dalla parte dei terroristi, non ne fa degli eroi, non insulta le vittime) ma ha deplorato che Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, nei ruoli di Segio e della sua compagna Susanna Ronconi, siano “troppo belli”, col rischio di dare un'aura romantica ai personaggi. Prenda nota, De Maria, e con lui tutti i registi italiani: nel prossimo film sul terrorismo, solo brutti sporchi & cattivi. Le parole di Battista sono risibili proprio perché dimenticano che il cinema ha le sue regole. Un film non è un libro di storia né un reportage: è una rilettura ovviamente romanzata - non “romantica” - dei fatti. […] L'analisi di Fofi è invece, da chi scrive, totalmente condivisa tranne che su un punto: La prima linea non ci sembra “cinematograficamente morto”. Non è un capolavoro, ma è un film - gergo da spettatori, lo usiamo volutamente - che “si vede”, che acchiappa l'attenzione nonostante la complessa struttura narrativa e la notevole antipatia di quasi tutti i personaggi […]. Costruito su lunghi flash-back all'interno della sequenza dell'evasione, La prima linea è alla fine un lungo autodafè di Segio, ottimamente interpretato da Scamarcio. Un film sul rimorso, un “come eravamo” depurato da qualunque nostalgia, in cui il controcanto politico è affidato al personaggio (inventato) dell'amico di Sesto San Giovanni, che ha condiviso con Segio i cortei e le ragazzate dell'adolescenza ma poi non è entrato in clandestinità; e alla bellissima scena in cui Segio va a trovare i genitori, invecchiati nel dolore e nella povertà» (A. Crespi, “l’Unità”, 20.11.2009)
«Belli e dannati, gli intensissimi Scamarcio e la Mezzogiorno, cioè Segio e la Ronconi, un po' lo sono, ma Renato de Maria evita i pericoli agiografici ed offre un film d' azione in cui la vergogna dell' assassinio di matrice terroristica è messa in evidenza e massima ha importanza il fattore umano. Attento al ritmo, come in un Lizzani anni '70, ai personaggi minori, ai mutamenti psicologici che la Mezzogiorno insegue con sensibilità poetica, il film è uno spaccato dell' Italia che non si arrende, quella degli amici e parenti in dolore» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 20.11.2009).
«Tanto Benedetta Tobagi che Sabina Rossa, figlie di due vittime del terrorismo rosso, si sono dette insoddisfatte del film. Ambedue con ammirevole disponibilità a ragionarci sopra. La ragione per cui il film è un passo avanti nella riflessione su quella stagione risiede nella sua libertà di sguardo, pur radicato nei fatti. Libertà che si traduce nella scelta di concentrare l' attenzione su due personaggi - Segio e Ronconi - e su un dettaglio delle loro vite: l'evasione di lei dal carcere di Rovigo nell'82. Il risultato è che le ragioni narrative non oscurano, ma semmai esaltano il senso di baratro e di rovina, l' enorme carico di dolore inflitto e l' incalcolabile danno arrecato alla convivenza civile in Italia» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 21.11.2009).
«”Avremmo dovuto credere alla forza della ragione, invece scegliemmo la ragione della forza”. Con queste parole Riccardo Scamarcio, nei panni del terrorista Sergio Segio, racconta la propria verità dal carcere torinese dove è rinchiuso. È il prologo del discusso film di Renato De Maria, che il ministro Sandro Bondi giudica lontano dall'apologia del terrorismo e tuttavia non meritevole del finanziamento pubblico. […] Scalpore fuori luogo: La prima linea è un film dritto e secco, che intreccia impegno e cinema di genere per raccontare a chi non c'era il Grande sogno trasformato in incubo. Intrecciando fiction, materiali di repertorio e piani temporali sfalsati, Segio rievoca l'inizio della clandestinità, il passaggio alle armi e l'incontro con Susanna, il tutto nello spazio di un giorno: quel 3 gennaio dell'82 in cui si prepara a far evadere la compagna dal carcere di Rovigo. Nell'attacco morirà accidentalmente il pensionato Furlan, tessera del Pci in tasca, violento paradosso che aprirà una falla decisiva nelle certezze di Segio portandolo a pronunciare la frase chiave: “La mia responsabilità è politica, morale e giudiziaria. Le assumo tutte e tre”. Se c'è un limite del film sta proprio in questo premeditato disporsi di frasi belle e giuste, puntualizzazioni e prese di distanza» (P. Detassis, “Panorama”, 26.11.2009).
«Innanzitutto una premessa: ci uniamo alla richiesta avanzata a tutti i registi e gli sceneggiatori di Italia da molti, ma da nessuno più elegantemente di Giuseppe Galli, figlio del giudice ucciso da Segio e compagni - un omicidio del quale nel film non si parla: “È giusto, trent'anni dopo quei tragici fatti, cercare di capire le ragioni di quello che è successo”, scrive Galli. “Credo però che ciò vada fatto anche dalla parte delle vittime” perché “oggi, mentre Sergio Segio può uscire con la seconda edizione del suo libro, Guido Galli esiste solo perché ha 17 mesi, ed è mio figlio”. Ci auguriamo con lui che, ora che molti dei figli rimasti orfani in quegli anni hanno cominciato a raccontare la loro storia, i loro padri possano tornare a esistere almeno sul grande schermo. Ma fatta questa doverosa prefazione, è giusto anche dire (come riconosce, nonostante il dolore, lo stesso Giuseppe Galli) che La prima linea tutto fa fuorché glorificare Segio e le sue imprese […] Il regista invece ha scelto, con una lucidità che manca a molto cinema italiano […], di trasformare i protagonisti in figure simboliche, in questo ben supportato dalle interpretazioni di Scamarcio e Mezzogiorno. La prima linea non racconta la complessità degli esseri umani, ma la rinuncia di molti, soprattutto in quel periodo, alla propria umanità. […] Casomai la pericolosità narrativa, dal punto di vista della "glorificazione" dei personaggi, sta nell'atteggiamento del killer riluttante, mero "strumento della storia", al limite del cristico […] con cui Scamarcio svolge le sue azioni. Ma è la morte nel suo sguardo a imprimere un inequivocabile segno negativo alla sua interpretazione, sottovalutata dalla critica. […] Un bambino mal cresciuto con una pistola in mano a bordo di macchinine giocattolo e motorini che sembrano tricicli, che va in giro a spezzare le vite di padri di famiglia […] che sono stati fra i pochi adulti della storia, in quel terribile periodo» (P. Casella, “Europa”, 27.11.2009).
«La Prima linea è film destinato a far discutere e a dividere. Difficile mettere d'accordo tutti: un'opinione pubblica contrapposta, i protagonisti delle vicende, gli autori di libro e film, ma soprattutto i parenti delle vittime a cui nessuno potrà restituire gli affetti spezzati. Cesare Zavattini diceva che non ci sono film belli e film brutti, ma film utili e film inutili. È utile un film del genere? Nessuno aspira a diventare un pompiere della memoria, ma come ignorare il fascino ambiguo che traspare dai volti seducenti di Segio/Scamarcio e di Ronconi/Mezzogiorno? Una molla di simpatia che può trasformarsi in boomerang. Anche perché contribuiscono a caricarla al massimo frasi come “Se noi avevamo torto, loro non avevano ragione”. Andate a dirlo al figlio del giudice Alessandrini, rimasto orfano a 5 anni» (E. Natta, “Famiglia Cristiana”, 29.11.2009).
Scheda a cura di Franco Prono
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