Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Suso Cecchi d’Amico
Sceneggiatura Suso Cecchi d’Amico
Fotografia Alfio Contini
Operatore Enzo Falessi, Carlo Maria Montuori, Claudio Sabatini
Musica originale Riz Ortolani
Suono Amedeo Casati
Montaggio Antonio Siciliano
Scenografia Enrico Fiorentini
Arredamento Giancarlo Capuani
Costumi Mario Carlini
Trucco Alfredo Marazzi
Aiuto regia Maria Pia Rocco, Patrizia Ragazzoni
Interpreti Ben Gazzara (lo sconosciuto), Giuliana De Sio (Giulia Canella), Valeria D’Obici (Camilla Ghidini), Vittorio Caprioli (Renzo Canella), Carlos De Carvalho (conte De Besi), Armando Bandini (Orlando Gastaldelli), Giuliana Calandra (Maria Gastaldelli), Vincenzo Crocitti (giornalista), Franco Fabrizi (conte Guarienti), Enzo Robutti (professore), Clara Colosimo (tenutaria), Sergio Rossi, Massimo Sarchielli, Mila Stanic, Marilena Donati, Siria Betti, Filippo De Gara, Marilena Donati, Duccio Dugoni
Direttore di produzione Roberto Giussani
Ispettore di produzione Giancarlo Montesano
Produzione Fulvio Lucisano per Italian International Film, Screen World
Distribuzione P.I.C.
Note Girato in Eastmancolor; fotografo di scena: Enzo Falessi; microfonista: Alfredo Petti, montaggio del suono: Anna Maria Montanari; effetti sonori: Roberto Sterbini, SotirGjika; kissaggio del suono: Danilo Moroni; assistente al montaggio: Giancarlo Morelli; assistente costumista: Francesco Crivellini; sarte: Luciana Mancini, Adalgisa Mosca; parrucchiera: Ida Gilda De Guilmi; assistente alla regia: Patrizia Ragazzoni; altri interpreti: Mario Farese, Tom Felleghi, Dante Fioretti, Julian Jenkins, Girolamo Marzano, Ernesto Massi, Graziella Polesinanti, Sergio Rossi, Massimo Sarchielli, Alessandro Serra, Mila Stanic, Sergio Tardioli; segretario di produzione: Antonio Saragò; organizzatore generale: Raimondo Castelli; amministratori: Enrico savelloni, Franco Marras; collaborazione alla produzione: RaiDue.
Del film esiste una versione televisiva in due puntate (di circa 167’ complessivi) andate in onda su Rai Due il 9 e 11 aprile 1986.
Locations: Torino (Cimitero monumentale, Palazzo Madama), Collegno (ex Certosa Reale), Verona, Genova, Roma.
Sinossi
Nel 1926, un vagabondo viene sorpreso a rubare nel cimitero di Torino. Sprovvisto di documenti e di ricordi, senza identità né conoscenze, viene ricoverato nel manicomio di Collegno. Dopo un anno di inutili cure, i medici decidono di pubblicare la fotografia dell'uomo su alcuni giornali. Si fa avanti una famiglia borghese di Verona: quel poveretto è il professor Giulio Canella, a suo tempo partito per la guerra e dato per disperso in Macedonia. Mentre il riconoscimento è immediato ed esplicito da parte del fratello e di alcuni amici, la moglie Giulia sembra sulle prime assai esitante. Ma porta via con sé lo stesso lo sconosciuto e comincia a vivere con lui, tentando pazientemente di sollecitare i suoi ricordi finché, poco a poco persuasa, ricomincia ad amarlo come un tempo. Ma all'improvviso arriva un ordine di incarcerazione: un'altra famiglia, quella dei Bruneri ha riconosciuto nell'uomo la persona di Mario Bruneri, tipografo, anarchico e ricercato per imbrogli e furti. Comincia così da parte di Giulia Canella una lotta a suon di legali, confronti, testimonianze e processi, per avere il diritto di tenersi in casa il ritrovato marito. L'opinione pubblica di tutta l'Italia è divisa in due veri e propri partiti, entrambi convinti di avere ragione. Una prima sentenza del Magistrato decide che non si tratta né del professore veneto, né del tipografo torinese: le ambiguità e le incertezze, nonché la discordanza delle prove e delle testimonianze non consentono un giudizio inequivocabile. Un altro processo si conclude invece con la convinzione della corte che quell'uomo sia il pregiudicato (e simulatore) Mario Bruneri, il quale, pertanto, deve tornare in carcere. Giulia chiede ed ottiene la riapertura del processo e lo smemorato sconta solo due dei quattro anni a suo carico: dopo di che i Canella si trasferiscono in Brasile.
Dichiarazioni
«Vorrei spezzare la catena di fare sempre lo stesso film comico e della ricerca del facile successo [...] nella speranza che il pubblico si sia stancato di tanto cinema comico e smaccatamente commerciale» (P. Festa Campanile, “la Repubblica”, 31.3.1984).
«La mia scelta, almeno da un punto di vista sentimentale, emotivo, io l’avrei fatta. Vorrei proprio che qualcuno, almeno nella valle di Giosafat, mi assicurasse che lo smemorato di Collegno era Bruneri e non Canella. In questo modo, il personaggio acquisterebbe un fascino straordinario: un avventuriero, stravagante, truffatore, anarchico, tipografo, ma in grado di guadagnarsi da vivere nelle maniere più bizzarre, come quella di recitare Shakespeare nelle piazze di paese. E, colpo di scena, diventa posato, tranquillo, autorevole, quindi credibilissimo come filosofo Giulio Canella» (S. Cecchi D’Amico, “la Repubblica”, 31.3.1984).
«È il ruolo più bello che mi sia mai capitato di leggere. E non è un modo di dire. Quale attore non sogna di interpretare due personaggi così diversi, così ambigui, misteriosi? E poi adoro lavorare in Italia, con Pasquale Festa Campanile si mangia bene, si beve, c’è allegria. È un modo bellissimo di rimanere fuori dal sistema, il sistema americano voglio dire, quello di Los Angeles, dove non c’è amicizia, non c’è città, non ci sono rapporti, ci sono solo cocktail, piscine e strade con grandi Mercedes» (B. Gazzara, “la Repubblica”, 31.3.1984).
«Con un attore come Gazzarra, così allegro e vitale, è molto facile lavorare per una come me, che in fondo ha sempre un po’ paura di abbandonarsi. Forse, nevvroticamente, sono affezionata all’idea di non credere in nulla, ma se scelgo qualcosa, mi piace lasciarmi andare all’entusiasmo» (G. De Sio, “la Repubblica”, 31.3.1984).
«Festa Campanile, come sapete, è un alacre professionista senza presunzioni, che varie volte ha dato l’impressione di buttarsi via con una certa noncuranza, come chi voglia vincere una sfida di produttività [...]. Qui, nello Scandalo perbene, aveva davanti due scelte, da risolvere già in fase di sceneggiatura con Suso Cecchi D’Amico: o puntare tutto sulla simulazione, sulla doppiezza come necessità di sopravvivenza e di “verità” (troppo pirandelliano) o centrare la storia sulla signora Canella, sul dramma di una donna che crede di riconoscere il marito in un finto smemorato e difende la sua convinzione e l’amore nato nel frattempo con una perseveranza che trasforma realmente l’uomo. Tendenzialmente, il progetto Campanile-D’Amico va in questa seconda direzione, ma poi il regista ‘è fatto vincere dallo scrupolo illustrativo [...]. La storia diventa ‘animazione dettagliata di una vecchia copertina della Domenica del Corriere o la ricostruzione puntigliosamente aneddotica di un caso famoso (col manicomio, i processi, la sfilata estenuante dei testimoni, gli “esterni” adatti di Torino, Verona, Genova). In mezzo, con una certa impudenza, con una certa dose di esibizionismo c’è la storia di amore e di sesso di Giuliana De Sio, la moglie che scopre un nuovo marito e non lo vuole cedere» (S. Reggiani, “La Stampa”, 30.8.1984).
«Essere o non essere? Bruneri o Canella? [...] Diciamo subito che il film non scioglie il celebrato dilemma, ma propone un’ipotesi di spiegazione [...]. Essa contempla che [...] la signora Canella abbia comunque voluto assicurarsene la presenza nel talamo coniugale troppo a lungo deserto, e dunque, da pia signora borghese, si sia persuasa a riconoscerlo come il legittimo consorte. Insomma una storia d’amore, o forse soltanto di letto, raccontata col ripercorrere a grandi linee la cronaca giudiziaria [...]. Mentre accantona, per non smarrirsi nel garbuglio, tanti aspetti della diatriba [...], è comunque sul versante coniugale che il film gioca le sue carte maggiori. Con qualche ragione, ove si ammetta che la signora Canella difende a spada tratta lo smemorato di cui si è invaghita, facendosi complice del simulatore Bruneri, e dunque offra al cinema dell’ambiguità ardenti scene d’alcova. Senza tuttavia trascurare gli sforzi perché il ritratto dell’uomo, chissà quanto Bruneri, chissà quanto Canella, assuma i segni del rompicapo, e i suoi trascorsi - i rapporti con una prostituta, con i colleghi di scuola, con i soldati in partenza per il fronte – accrescano l’arcano» (G. Grazzini, “Corriere della Sera”, 30.8.1984).
«Fu, quella, una scandalosa vicenda e fu un processo clamoroso [...]. Diciamo subito che tutto ciò che nel film è puntuale ed intelligente cronaca di quei lontani avvenimenti e concatenazione di essi sul piano personale, temporale e giudiziario ha trovato nella regia di Pasquale Festa Campanile il più diligente e acuto interprete. I valori drammatici di quella vicenda, i suoi significati, le ambiguità, le contraddizioni di ogni personaggio trovano quasi sempre l'occasione giusta, i momenti più consoni e la visualizzazione più pertinente. Il dramma, insomma, c'è e lo si avverte. Né può dirsi che il regista assuma deliberatamente posizione pro-professore o pro-tipografo; al contrario, la stessa lucidità del racconto cinematografico è prova e dimostrazione della sostanziale obiettività di colui che si è posto dietro la macchina da presa [...]. La stessa esatta, quasi ossessiva ricostruzione degli ambienti esterni ed interni, come pure dell'atmosfera stessa di quegli anni e di quei luoghi nella provincia italiana, convalidano una tale impressione. Quello che manca, invece (e questo è anche, a monte, un problema di sceneggiatura) è il problema centrale e universale: quello della vera, autentica “identità” della persona, quello delle molte “verità”, delle ambiguità, di ciò che “è” e di ciò che “appare” in fuggevoli riflessi» (“Segnalazioni cinematografiche”, vol. 98, 1985)
«Pasquale Festa Campanile sembra fornito di due nature: in quella letteraria assurge ad alti livelli [...], in quella cinematografica lascia spesso adito a qualche perplessità. Disinvolto è il trascorrere in generi diseguali - da Le voci bianche del buon inizio, alle commediole di costume e ai drammi come La ragazza di Trieste, da un suo libro -; ed ora, nel caso Bruneri-Canella, l'attrae la doppia verità (persino Pirandello vi costruì il suo Come tu mi vuoi), la vertigine sensuale che s'impossessa della coppia ricostituita quasi contro tutti. Nella scelta e nella direzione degli interpreti deve aver giocato un ruolo importante anche la sceneggiatrice Suso Cecchí D'Amico, che considera tutta la storia come “una fiaba della sua fanciullezza”. I riflettori sono essenzialmente puntati sui protagonisti Canella, grandi frange vengono omesse, molti personaggi ignorati, come diverse tappe giudiziarie. […] È bene dir chiaro che il vero caso Bruneri-Canella si rispecchia solo per talune linee nel film di Pasquale Festa Campanile, già contestato dagli eredi di entrambe le parti. In sostanza, lo Stato italiano decise che lo smemorato era Bruneri (1931), mentre il Vaticano riconobbe la famiglia Canella molto più tardi. Se il mistero non è chiarito, la versione cinematografica sceglie il sentiero della passione d'amore tra la signora della buona borghesia e l'uomo cui risulta molto comodo lasciarsi riconoscere. Una somiglianza formidabile doveva certo esserci (come può una moglie scordare taluni particolari dopo solo dieci anni?), tuttavia la filosofia del racconto filmico (con buoni dettagli, qualche errore d'ambientazione, ma in definitiva con piacevole ritmo narrativo) ci appare chiara sin dalla sua prima metà: il regista è convinto che lo sconosciuto sia Bruneri, che sta al gioco, ben felice d'avere accanto una moglie appassionata. Perché, in fondo, questa trasposizione è soprattutto calata in una vicenda di sensi» (G. Ranieri, “Grazia”, 1984).
«Se qualcuno ha voglia di dare un'occhiata ai giornali usciti a Torino il 26 aprile1945 (il giorno prima dell'insurrezione popolare che segna il definitivo abbandono da parte dei tedeschi del capoluogo subalpino), noterà naturalmente come dell'imminente crollo del nazifascismo non vi sia traccia alcuna. E questo è normale, perché in tempo di guerra ogni informazione è rigidamente filtrata. Ma tra le notizie ce n'è una veramente curiosa. Riguarda l'annuncio per il 27 aprile di una prima sontuosa al cinema Corso di Corso Vittorio, una delle sale più eleganti di Torino, dove avverrà l'anteprima di Scadenza trenta giorni, un nuovo film diretto da Luigi Giacosi e interpretato da alcuni attori all'epoca noti per le commedie: Antonio Gandusio, il bel Roberto Villa, Ernesto Calindri, Lilla Brignone. Al di là della curiosa coincidenza temporale (l'anteprima naturalmente non ci sarà) va ricordato che la scelta della sala non era casuale. Il film éra stato infatti girato proprio negli splendidi spazi déco dell'atrio del cinema, costruito nel 1926: preziosi marmi, lucenti specchi, policrome vetrate, come scriveva nel 1944 la rivista «Dramma», elementi utilizzati per, simulare che fosse l'atrio di un grande albergo. Quel cinema, forse il più bello di Torino, fu distrutto nel 1980 in un incendio scoppiato nottetempo. Le immagini di quel lontano film dovrebbero essere le uniche rimaste a testimoniare la bellezza di quella sala» (S. Della Casa, “La Stampa-TorinoSette”, 11.2.2011).
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