«L'idea, molto semplice, è quella di rappresentare uno scontro di tempi, e quindi di memorie, fra il passato, ovvero i ricordi delle occupazioni, e il presente: il disfacimento della struttura-industria. L'intenzione è quella di fare un video non didattico, né sistematico: vorrei inventare una struttura piuttosto libera nella quale far svolgere il flusso dei ricordi, anche sconnessi, delle lotte operaie dalle prime esperienze documentate di occupazioni fino ad atmosfere più vicine, gli anni '70. il punto di partenza diventa il titolo, nel senso che la prima idea è quella di dividere il video in tre parti, autonome ma collegate fra di loro, nelle quali le parole del titolo vengono mescolate diversamente, determinando un cambiamento nella struttura stessa delle immagini: la prima si chiama In Work Progress, la seconda Progress in Work e la terza finalmente Work in Progress» (A. Amaducci, in “Il Nuovo Spettatore” n. 15, 1993).
«Ricordare le lunghe lotte della classe operaia torinese, “fissandosi” soprattutto su due momenti determinanti, quelli che si verificarono nel 1915 e nel 1973. Viaggiare in tempi lontani/vicini, raccogliere testimonianze di gente uscendo dal tessuto della documentazione sociale tout-court, come avviene nel suo ultimo lavoro, Work in Progress. Dal ’15 al ’73 ad un presente da visitare filmando i luoghi, le fabbriche, che “accolsero” corpi, ora ridotte a scheletri, a piani e enormi stanze distrutte dal tempo. Sono strutture che Amaducci penetra con la steadycam, con movimenti di vertigine che si fermano appena in tempo, prima del vuoto esterno ed estremo, oltre pareti senza più porte finestre: limiti. È un percorrere gli spazi fino in fondo. E ritornare su di essi. Fino a sfinirli, ma mai del tutto. […] Materiali documenti testimonianze con-vivono, gli uomini che lottano nelle fabbriche “si ritrovano” dentro esse, dopo le lotte e le sconfitte, tras-portati lì dallo sguardo elettronico ma pulsante di Amaducci. Interferenze, ancora. Tra corpi e voci e tempi. E materie, anche, interferiscono: il video, ma dentro Work in Progress anche frammenti di lavori in pellicola recuperati dagli anni Settanta durante le manifestazioni di piazza […]. Segnali sempre di memoria e di resistenza» (G. Gariazzo, M. Causo, “Filmcritica” n. 436, giugno/luglio 1993).
«L’attività presso l’ Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino ha […] permesso a questo autore di ripensare il documentario in pellicola e il film d’archivio, mettendolo a confronto con le possibilità di una “impaginazione” (e quindi di una rilettura) in video che lo “dialettizzasse”, creando estensioni all’oggi, confronti con testi scritti sullo schermo, combinazioni grafiche, inserzioni di documenti fiction» (S. Lischi, Visioni elettroniche. L’oltre del cinema e l’arte del video, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema, Roma, 2001).