Costo complessivo del film: 2.500.000 lire (il costo medio dell’epoca era di 4.000.000), con una quota del 15% come contributo a fondo perduto erogato dallo Stato.
Questo film è l’unica regia di Longanesi; iniziato prima dell’arrivo degli Alleati, fu sospeso e terminato dopo la guerra da Nino Giannini.
Oggi esiste una copia del film – della durata di 33’ - restaurata dal Cinema Ritrovato di Bologna nel 1996.
Vivere ancora, noto anche come Dieci minuti di vita, di cui esiste oggi una versione restaurata di 33 minuti, assomma diversi motivi di interesse: si tratta dell'unico film ideato e parzialmente diretto da Leo Longanesi, figura di spicco sulla scena culturale italiana del periodo, ma rappresenta anche una vicenda produttiva curiosa quanto significativa, in cui il soggetto stesso (con l'enfasi su un precipitare inesorabile degli eventi in un ambiente claustrofobico) e la sua realizzazione (che porta a un'opera insolita, come sospesa in una zona d'ombra nel tempo e nello spazio) sembrano esprimere più del previsto la fase transitoria attraversata dalla cinematografia italiana durante gli anni della guerra.
Il film nasce da un soggetto originale di Longanesi, dal titolo La follia di Filippo Catoni, e nella sceneggiatura scritta con Steno e Flajano è inteso svilupparsi in otto episodi riuniti da una cornice narrativa, descrivendo situazioni diverse che alternano il registro grottesco, quello farsesco, quello nostalgico, quello tragico. Come afferma Longanesi: «Ciò che fa il film sono le reazioni psicologiche di questi personaggi, reazioni comiche, sentimentali, drammatiche, umoristiche. un film umano, benché l'aggettivo significhi poco a forza di essere adoperato a rovescio». Quando l'8 settembre la lavorazione viene interrotta sono stati ultimati solo tre episodi: uno in cui una vecchia signora vive un momento di rimpianti, stendendo sul letto un vecchio abito maschile e stringendolo in un disperato abbraccio nostalgico, uno in pieno stile pochade, in cui un misurato Gino Cervi all'annuncio dell'imminente esplosione sorprende la moglie con un amante nascosto sotto il letto, e uno, nascosto visto il perdurare del fascismo, in cui un istrionico Virgilio Riento caricaturizza un gerarca accaparratore per la borsa nera che in vista della morte si getta in una rabelesiana ingestione di cibi.
Il progetto del film arriva tramite gli ambienti cinematografici trasferiti a Venezia alla conoscenza del giovane Trabaldo Togna, erede di una famiglia di industriali e finanzieri biellesi, intenzionato a lanciarsi nella produzione cinematografica e alla ricerca di un buon soggetto con cui debuttare. Togna rileva gli episodi realizzati e affida la regia a un vecchio mestierante come Nino Giannini, attivo soprattutto ai tempi del muto, che con Paola Ojetti riscrive la sceneggiatura, modificando immediatamente il personaggio del borsaro nero e cercando di risolvere il completamento delle scene che richiedono la presenza di Gualtiero Tumiati, l'interprete del pazzo dinamitardo, che era rimasto a Roma ormai al di là del fronte. L'assenza dell'attore è risolta con una serie di stratagemmi al fine di utilizzare più materiale possibile: l'annuncio ai singoli appartamenti attraverso un comunicato radiofonico, l'inizio e la fine del film in un bar immerso nella penombra, con il viso del personaggio coperto dall’ombra del cappello, una serie di flashback... Si procede poi agli episodi rimanenti: uno che utilizza le doti vocali del tenore Tito Schipa, uno con Fausto Tommei, giovane attore brillante in voga soprattutto in teatro e alla radio, che interpreta un giornalista alle prese con un allagamento, l'episodio con Alda Grimaldi e Dino Peretti, fidanzati decisi a suicidarsi per il loro amore impossibile, e un nuovo borsaro nero avido e ingordo di cibi interpretato da Nuto Navarrini. Dopo riprese rapide ma problemi nella postproduzione, dovuti evidentemente alla scarsa attenzione della Manenti, incaricata di distribuirlo (da cui una causa legale della produzione che contribuisce alla scomparsa del film), il progetto arriva infine sugli schermi nell’aprile del 1945 con il titolo definitivo Vivere ancora. Ii risultato e un'opera anomala in cui è visibile un taglio diverso nelle scelte scenografiche, in cui convivono spunti surreali agrodolci che paiono assolutamente inadeguati alla nuova esplosiva realtà. Significativamente, il film è in programmazione al cinema Torino di Torino proprio il 25 e il 26 aprile del 1945, mentre inizia rinsurrezione generale della città contro il nazifascismo, per poi sparire tra cause legali e la generale disattenzione.