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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Don Bosco
Italia, 1935, 35mm, 89', B/N


Regia
Goffredo Alessandrini

Soggetto
Onorato Castellino, Rufillo Uguccioni

Sceneggiatura
Goffredo Alessandrini, Aldo Vergano, Sergio Amidei

Fotografia
Arturo Gallea

Operatore
Domenico Scala

Musica originale
Giorgio Federico Ghedini

Montaggio
Giorgio C. Simonelli

Scenografia
Teonesto De Abate

Costumi
Massimo Quaglino

Trucco
Roberto Pasetti, Antonio Casale

Aiuto regia
Alberto Pozzetti, Umberto Scarpelli

Interpreti
Gianpaolo Rosmino (don Giovanni Bosco), Maria Vincenza Stiffi (Margherita, sua madre), Ferdinando Mayer (Giovanni Bosco ragazzo), Roberto Pasetti, Vittorio Vaser, Cesare Carini-Gani, Felice Minotti, Arturo Zan, Elia, attori non professionisti

Direttore di produzione
stripslashes(Aldo Vergano)

Produzione
Lux

Distribuzione
Lux

Note
Temi musicali: Francesco Malipiero. Il musicista Federico Ghedini era Maestro di Armonia presso il Liceo Musicale di Torino.
 
Furono impressionati 40.000 metri di pellicola, 2.500 dei quali furono montati.
Costo del film: oltre 2.000.000 di lire.
 
Locations: Torino, Chieri, Monferrato; Interni: Studi Fert-Microtecnica di Torino.




Sinossi
Biografia del Santo piemontese, dall’infanzia nelle campagne del Monferrato, alla giovinezza in seminario, all’attività educativa e sociale compiuta a Torino con i ragazzi degli strati sociali più umili, fino alla fondazione dell’Opera Salesiana e alla canonizzazione.




Dichiarazioni
«Per me Don Bosco era già la possibilità di fare una storia su un personaggio drammatico, un personaggio di grosso valore umano in tanti dei suoi aspetti. Ora, per quanto io non fossi e non sia praticante, l'ammirazione per un uomo come don Bosco è al di fuori di una qualsiasi valutazione sul piano religioso, lo rispetta e lo ammira un ateo perché ci sono dei valori umani di coraggio, di sacrificio. Difatti io poi venivo dall'Egitto dove, come in tutta l'Africa e in tutto il mondo, i Salesiani sono sempre considerati dei preti particolari. Si dice così, è un modo di dire un po' dappertutto, non sono preti, ma sono Salesiani. Il che vuol dire, sono uomini che hanno la tunica e l'aspetto da prete, ma sono uomini che tirano su ragazzi, non insegnandogli balle, ma preparandoli al lavoro. Per esempio quelli che ho visto io in Egitto o in Argentina crescevano dei ragazzi che avevano un mestiere e che lo avrebbero fatto con grande abilità, sempre riconoscenti a questi uomini che li avevano aiutati e anche se nessuno di loro sarebbe più andato in chiesa. In Egitto l'arabo che non parla una parola d'italiano, che è tremendamente musulmano nel senso migliore della parola, rispetta il Salesiano. Perciò mi interessava il personaggio di don Bosco. […] Io aspettavo da tempo di fare un film corale, un grosso affresco sul piano drammatico, e tentai questo grosso quadro con i Salesiani e con tutto quel mondo di quell'epoca lì. C'era il personaggio che invadeva tutta la scena, don Bosco, carico di quei valori umani ai quali io tenevo di poter dedicare un racconto mio. Così mi sono attenuto proprio alla vita di don Bosco, quasi senza sceneggiatura. C'erano le memorie sue e i libri di altri storici, non ho inventato niente, ho solo creato dei legami cinematografici che potessero unire un episodio e un altro. Forse qualche cosa d'inventato c'era in certe piccole scene di collegamento, ma i grossi fatti erano veri. Poi mi interessava, le ripeto, il quadro. […] Nel film c'è un solo attore professionista, Rosmino […]. Ma gli altri erano presi dalla strada, come si dice. Cioè la madre e lo zio del ragazzo; e il ragazzino era stato anche lui scelto così, e poi c'erano i preti autentici, i Salesiani autentici, che si prestarono tutti quanti a fare quello che avevano fatto i loro predecessori molti anni prima. Mi ero estremamente interessato anche ai luoghi dove si girava. Il mondo della chiesa e dei conventi, il mondo in cui vivono questi ragazzi sino a che diventano adulti, è tutto un mondo al di fuori dal piccolo vivere quotidiano. Era tutto estremamente colorito, anche se era tutto nero, per le tuniche dei sacerdoti, però il bianco era molto bello con la neve. Mi ricordo che quell'inverno a Torino era bianco di neve, con il sole e il cielo azzurro. Mi ricordo certi conventi come quello di Chieri. Scenograficamente, in un convento, cento o duecento ragazzi coi loro abitini da prete, sono un quadro che qualsiasi pittore che amasse queste scene corali di ambienti strani, impazzirebbe a poterlo fare. A parte poi il personaggio straordinario di un uomo veramente forte, veramente coraggioso, che valeva la pena di raccontare. […] Allora la Lux aveva a capo Riccardo Gualino, che era un uomo di grande valore. E stato un piacere per me avere vicino Gualino, cioè un grosso uomo d'affari, industriale, veramente religioso. Avrei voluto imparare da lui come si può diventare un grosso uomo d'affari, cioè capire la pignoleria intelligente di quest'uomo che seguiva il mio film come un assistente. L'assistente ce l'avevo, e bravissimo, Scarpelli, ma Gualino stava vicino a me al tavolo di montaggio, seguiva la produzione, voleva sapere tutto, come si montava, il negativo, il positivo... Veramente ho capito dov'era II valore suo perché queste qualità le aveva messe già nell'organizzare cose straordinarie che oggi non si ricordano più, forse perché son passati i tempi e molto è cambiato in tutti i sensi» (G. Alessandrini, in F. Savio, Cinecittà anni Trenta, Bulzoni, Roma, 1979).
 
«La regia del Don Bosco fu offerta a me. La cosa andò a monte. Era un soggetto piemontese ma cattolico. Questo Don Bosco era un individuo sinistro. Allora feci una richiesta enorme, così non ci siamo messi d’accordo. Fu una lunga trattativa. Ci fu di mezzo anche una persona a trattare per me. La cosa non piacque a Gualino. Gualino è giunto a Roma perché la sua situazione a Torino non era più sostenibile. Andò a Roma per essere più vicino al potere, come fanno tutti quelli che vanno a Roma. Doveva fare qualcosa di gradito al regime. Il cinema. Non c’è dubbio» (M. Soldati, in Lux Film, a cura di A, Farassino, Il Castoro, Milano, 2000).
 
«[…] si può dire che la Lux Film è stata fondata dietro una mia proposta. La Lux Film come produzione perché esisteva già la Lux distribuzione la quale distribuiva dei film. Aveva cominciato a produrre qualche cosa Gualino, non so se si chiamasse già Lux o se si chiamò dopo, e fu il Don Bosco ciò che lui produsse, un film che ebbe un discreto successo internazionale fu tradotto in moltissime lingue. Però non piacque a Gualino perché il film era costato all'incirca, me lo disse lui, il doppio di quanto aveva preventivato. Ora, parlando con lui, Gualino mi disse: “Io non ritengo che un industriale debba fare un prodotto che gli costa il doppio di quanto lui ha preventivato. Se costa il 10% in meno o il 10% in più, si può arrivare, il 5 meglio ancora, si può fare, ma una cosa che si fa e che costa il 50% in più o il 100% non la si può fare... E quindi non ho più intenzione di produrre film”» (V. Brosio, in F. Savio, Cinecittà anni Trenta, Bulzoni, Roma, 1979).
 
«Vergano è sempre stato un combattente, un resistente, un antifascista direi costituzionale. Però in Pietro Micca non s'era posto nessun problema. Se mi domandi, non ricordo perché abbiamo scelto Pietro Micca, proprio non lo ricordo. Forse perché Mottura, che era il produttore, era torinese. Forse perché io avevo vissuto molto a Torino. Forse perché Carlo Levi, che ha fatto le scenografie e i costumi insieme, credo, a Mollino, era torinese, come Mollino. Mah. Ed è stato un film infelice, devo dirlo con chiarezza, proprio per la scelta sbagliata dei protagonisti, degli attori. E lì, come posso dire? è stato un bel gesto da parte di Vergano, scegliere degli attori che secondo lui avevano dei meriti ma non avevano avuto fortuna, invece di scegliere quelli che, pur avendo dei meriti, avevano avuto fortuna. Cioè, invece di prendere Nazzari, che allora era la stella del momento, ha preso Celano. Invece di prendere Alida Valli, ha preso… adesso non ricordo come si chiamasse. […] Allora uno faceva quello che trovava da fare. E a questo proposito voglio aprire una parentesi. Essere antifascista provocava in tutti quelli che lo erano una specie di soddisfazione nel “non” fare le cose con passione, con entusiasmo, con amore. Cioè, era una specie di alibi anche alle proprie incapacità, ai propri fallimenti. Uno diceva: “Ah, sì, va be', faccio delle brutte cose, ma che devo fa'? Qui c’è il fascismo!» (S. Amidei, in F. Savio, Cinecittà anni Trenta, Bulzoni, Roma, 1979).





«Credo che i legami della mia famiglia con il mondo salesiano abbiano avuto origine dal fatto che, in spe­cie durante e poco dopo la prima guerra mondiale, le vacanze di un professore di liceo con tre figli non si potevano permettere località alla moda. Mio nonno conduceva la famiglia a Capriglio d'Asti, paesino del tutto ignoto alle cronache mondane, che ha però due caratteristiche: l'essere molto vicino a Castelnuovo don Bosco e l'avere dato i natali a Margherita Occhiena, madre del santo. Questa coincidenza suggerì a mia nonna di scriverne la vita: il libro si intitola La mamma di don Bosco. La prefazione racconta che l'idea nacque da un casuale incontro con una vecchia del luogo: “Ch'a chërda, madamin, Nost Sgnôr a l'à vôrssù che chiel a fussa sant, ma a dventè sant a I'à giutalô sôa mare. Mi na sai quaicosa. Mia nona a j’era sôa amìa”. È probabile che anche il film su don Bosco sia stato concepito grazie a queste frequentazioni e a testimonianze sul santo raccolte nella tradizione orale dei colli intorno a Castelnuovo. Qualche peso deve sicuramente attribuirsi anche alle numerose visite dei miei nonni alla Sei, la casa editrice salesiana che pubblicò la mag­gior parte dei loro libri. Non so chi abbia messo in contatto il regista e la casa cinematografica con mio nonno. È invece facile capire come alla sceneggiatura abbiano parteci­pato Teonesto Deabate e Massimo Quaglino, due noti pittori torinesi che avevano collaborato con la rivista “Cuor d'oro”, diretta dai miei nonni negli anni venti, diventando grandi amici di mio nonno e di mio padre. È proba­bile che, nell'accettare l'incarico, mio nonno abbia chiesto di essere affian­cato dai due antici per avere l'aiuto del loro “occhio” pittorico» (O. Castellino, “Notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema” nn. 60-61, 1999-2000).
 
«Che un industriale modernista e laico, anche se rispettoso della religione e solito ad accompagnare la moglie Cesarina a messa la domenica, abbia iniziato la sua nuova attività con la biografia di un santo non deve sorprendere. In don Bosco, che da un programma pastorale di recupero dell'infanzia abbandonata aveva creato un piccolo impero religioso-industriale fondato sul lavoro giovanile, Gualino vede l'imprenditore di successo, il self-made man, il piemontese che ha portato l'immagine di Torino nel mondo. Insomma, quasi un autoritratto. Inoltre il finanziere non trascura i vantaggi che nella sua condizione di ex confinato gli possono venire da un favore fatto al potente ordine dei salesiani e indirettamente al regime, e non manca di farlo notare. Una lettera che scrive poco dopo al capo della polizia per lamentare di non essere ancora tornato in possesso del passaporto è la più esplicita spiegazione dei motivi che lo hanno indotto a occuparsi di cinema: «... dopo di allora dedicai il mio tempo, quasi per intero, al film Don Bosco curato, durante otto mesi, d'intesa con i Padri Salesiani. Al quale lavoro m'aveva anche indotto l'interessamento del Governo per la cinematografia e la speranza di far girare il mondo a un film italiano interpretato da nostri artisti». Ed è vero che egli segue la realizzazione del film molto da vicino, come era nel suo carattere di imprenditore che non avrebbe mai avviato una nuova attività senza conoscerne a fondo le tecniche e le risorse. Gualino ha alcuni principi economici e industriali che ritiene sempre validi, applicabili alla seta come alla chimica, ai trasporti come al cinema, ma è troppo incuriosito dai materiali e dai procedimenti di lavorazione per vivere l'industria in una dimensione solo astratta o finanziaria. Durante la realizzazione del suo film egli si interessa così alle pellicole, alle riprese, al montaggio, imparando tutto quel che gli serve. D'ora in poi non seguirà più alcun film con questa assiduità, anzi spesso se ne disinteresserà totalmente, ma saprà sempre intervenire da competente quando le circostanze lo richiederanno. L'operazione Don Bosco resta dunque ancora ai margini di una logica puramente industriale. […] In effetti Don Bosco non è una realizzazione industrialmente esemplare. Il preventivo viene superato, ciò per Gualino, non ancora abituato alle disinvolture del settore, è un'onta prima ancora che un imperdonabile errore finanziario. Ed è probabilmente per azzerare errori e dilettantismi che decide di considerare il film solo un'operazione promozionale, al punto di cedere diritti e proprietà del negativo - caso unico nella storia della Lux - alla casa madre dei Salesiani» (A. Farassino, Roma, via Po.Storia e sistema della Lux Film, in Lux Film, Il Castoro, Milano, 2000).
 
«In vista dell'imminente canonizzazione di Don Bosco i salesiani avevano intenzione di dedicargli un film biografico, ed erano consapevoli che la Casa di produzione doveva essere affidabile sul piano della moralità ed «offrire garanzie produttive e distributive sufficienti a far sì che il prodotto finale si prestasse non solo alla visione nei circoli e nelle parrocchie, ma anche a quella nelle sale di prima visione, non solamente nazionali» (S. Bellomi, Il Don Bosco di Alessandrini attraverso la lettura critica di documentazione archivistica, saggio inedito). Il produttore giusto sembra essere «Gualino, l'uomo che nel ventennio precedente aveva legato il proprio nome a straordinarie imprese industriali e finanziarie e, in qualità di finanziatore, committente o mecenate, all'attività creativa di importanti artisti, nonché ad alcune delle più significative iniziative culturali del primo quarto di secolo […]: l'imprenditore biellese avrebbe infatti portato in dote ai Salesiani il suo ineguagliabile fiuto per il profitto, la disponibilità di un capitale immenso, e un entourage di intellettuali di alta levatura: c'era da fidarsi. Gualino, che fino a poco tempo prima non era neppure solito frequentare le sale cinematografiche, aveva deciso di avvicinarsi al cinema l'anno precedente quando, dopo il rientro dal confino di Lipari, aveva trascorso in Francia gran parte dell'anno 1933, fondando a Parigi, con compiti di distribuzione di pellicole italiane oltralpe, la Lux Compagnie Cinématographique de France. Se la società francese non ebbe, allora né mai, altra preoccupazione se non quella di realizzare profitti (di entità peraltro collaterale rispetto a quelli derivanti dalle principali attività dell'industriale biellese), ben diversi sono i moventi che spingono Gualino, una volta tornato in Italia al principio del 1934, a costituire a Torino – o meglio a far costituire, visto che su di lui Mussolini aveva fatto pendere un'interdizione decennale dal ricoprire incarichi amministrativi - la Compagnia Italiana Cinematografica Lux. [...] Se per la Lux era strategico poter far affidamento sul sostegno corale della rete di strutture e conoscenze, capillarmente distribuita nel mondo, di cui già all'epoca disponevano i Salesiani, per essi era fondamentale che lo spirito evangelico, attento alle sorti degli umili, non fosse disatteso e contraddetto da scelte che, sulla scia del dilagante divismo, portassero sul set attori di fama, che a un occhio salesiano incarnavano modelli di vita profani moralmente discutibili. [...] Ad essere incaricato dai salesiani del coordinamento del lavoro e della cura dei contatti con la Lux è il Segretario del Consigliere Professionale Generale don Domenico Molfino; compito analogo viene affidato da Gualino all'Ing. Guido Maggiorino Gatti, amministratore della Compagnia. I due delegati, entrambi già avvezzi a ricoprire incarichi organizzativi di gran responsabilità, sono protagonisti, dal principio al termine delle lavorazioni, di una sottile opera diplomatica tesa a far sì che il film terminato potesse corrispondere quanto più possibile alle non sempre coincidenti attese che, la Lux da un lato e l'Ordine Salesiano dall'altro, avevano riposto in esso. Don Molfino si rivolge, per la scrittura del soggetto, a don Rufillo Uguccioni, storico salesiano e noto autore di libri per ragazzi stampati dalla Sei, casa editrice salesiana. [...] Il canovaccio di don Uguccioni perviene quindi ad Onorato Castellino, professore di lettere presso un liceo torinese e curatore di numerose edizioni critiche di classici della letteratura non solo italiana, incaricato dalla Lux di redigere la sceneggiatura. [...] oltre a don Uguccioni e Castellino, daranno il loro contributo alla realizzazione della sceneggiatura definitiva, con apporti di entità non sempre verificabile, Goffredo Alessandrini, C. Gay, Aldo Vergano e lo stesso Riccardo Gualino. Un occhio attento potrebbe trovare curioso leggere tra i nomi riportati quelli dell'impegnato uomo d'affari Gualino e del comunista Vergano. La collaborazione di Gualino alle fasi di scrittura - o almeno a quella dei successivi ritocchi - non deve in verità stupire: la competenza, anche in questo ramo, non gli faceva difetto. Coltivava la passione della scrittura fin dalla giovinezza, quando aveva dato alle stampe un volume di poesie e, nei quasi due anni di confino a Lipari, aveva redatto, dimostrando eccezionale fecondità, ben due volumi autobiografici, due romanzi e un racconto lungo. Il coinvolgimento di Aldo Vergano, unico co-sceneggiatore accreditato, si deve invece con ogni probabilità a Goffredo Alessandrini, appena ingaggiato come regista dopo il rifiuto di un giovanissimo Mario Soldati. [...] Il Don Bosco di Alessandrini, adeguatamente promosso da un buon numero di articoli “di lancio”, esce nelle sale pubbliche di prima visione nella settimana di Pasqua del 1935, in tempo per celebrare il primo anniversario della canonizzazione del Santo. Gli articolisti del “Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, “L'Osservatore Romano”, “La Rivista del Cinematografo”, e di tanti altri quotidiani e periodici, salutano con favore la pellicola. [...] Eppure il successo di pubblico è nettamente inferiore alle attese dei Salesiani, della Lux,e della critica stessa: il film “non regge” le sale di prima visione. [...] Ben diverso e fortunato sarà il destino della pellicola uscita silenziosamente dal circuito delle sale del Regime quando, divenuta proprietà salesiana, avrà la possibilità di farsi apprezzare dal vasto pubblico popolare che affollava le sale parrocchiali e gli oratori di gran parte del mondo» (Ivi).
 
«[...] gli anni Quaranta [...] sembrano accentuare l’interesse verso il cinema da parte della musica [...]. In bilico tra volontà di emancipazione dai cliché e le resistenze di coloro che continuavano a negarle dignità artistica, la colonna sonora viene “tenuta a battesimo” da eminenti musicisti, molti dei quali sono proprio quelli chiamati da Gatti alla Lux Film. Già nel 1934, per il primo film della casa dedicato alla figura e all’operato di don Bosco, la scelta era stata di alto livello: Giorgio Federico Ghedini, anch’egli piemontese e nome prestigioso della vita musicale italiana del primo Novecento, che in quegli anni aveva creato opere segnate da un profondo sperimentalismo come Marinaresca e Sinfonia» (R. Calabretto, Gati, Rota e la musica Lux. La nascita delle colonne sonore d’autore, in Lux Film, a cura di A. Farassino, Il Castoro, Milano, 2000).
 
«Alessandrini è uno dei nostri più giovani e intelligenti registi; le pagine belle sono parecchie e alcune scene - come quella della morte del Santo - raggiungono un clima di vera poesia e una potenza drammatica infallibile. [...] Ma il film è tuttavia slegato, spesso superficiale, e per lo più non supera il modesto livello di un documentario di carattere informativo. [...] Tra gli interpreti, va sinceramente lodato il Rosmino, che ricordavamo come protagonista di una riduzione del Piccolo santo di Bracco» (E. Roma, “Cinema Illustrazione” n. 24, 12.6.1935).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Goffredo Alessandrini
Sergio Amidei
Arturo Gallea
Giorgio C. Simonelli
Vittorio Vaser
Felice Minotti
Aldo Vergano


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