Visto censura n. 17.127 del 30.6.1922
«Uno dei tanti buoni soggetti di Luciano Doria, il quale ne diresse pure l’esecuzione. Esiste però un forte distacco e quindi poco naturale, fra la freddezza dei due principali interpreti, Mirella e Valli, manifestatasi nel primo atto, freddezza che si può benissimo interpretare come avversione reciproca profonda ed irriducibile, con l’amicizia scoppiata senza nesso e connesso fra gli stessi nel secondo atto. Però questo appunto non serve a menomare il valore del lavoro il quale è stato apprezzato al più alto grado dal numeroso pubblico domenicale. Ottimi gli artisti specialmente la Jacobini ed il Manetti, due belle figure, il Parpagnoli un po’ affettato, un po’ difficile e misterioso nell’insieme. Ammirata la naturalezza del Cassini e di Bilancia con la sua eterna caramella» (M. Balustra, “La Rivista Cinematografica”, n. 2, 25.1.1923).
«Questa film, dovuta alla feconda immaginazione di Luciano Doria, e messa in scena con molta accuratezza dalla “Fert”, non è indubbiamente un capolavoro, e per il soggetto, e per l’interpretazione di ogni singolo artista, però non meritava certamente la pungente ostilità e ironia del pubblico della nostra migliore sala cinematografica. Non sono mancati, durante la proiezione, i soliti frizzi ironici, e qualche volta anche delle risate. Non dico che sia questo un capolavoro dell’arte muta, tutt’altro, anzi riconosco che questa film ha parecchie pecche, però meritava un’accoglienza diversa. [...] Luciano Doria, ha voluto presentarci in questo suo lavoro un’anima prettamente sentimentale e romantica: una giovine donna che è conquistata profondamente dall’omaggio devoto di una rosa, ch’ella trova ogni sera sul tavolo del suo camerino d’artista. Il gentile donatore è un umile suo compagno di lavoro, ma ella invece, cerca sapere chi sia quest’uomo, che ha saputo così gentilmente catturare il suo cuore, tra la coorte interminabile dei suoi corteggiatori. [...] Non dico certamente che la trama di questa film sia né troppo originale, né molto bella; però, credo, se fosse stata presentata diversamente, avrebbe potuto anche incontrare il favore del pubblico; intendo dire di quella piccola parte di pubblico a cui piacciono le storie dolci e sentimentali. Ma la film contiene delle scene quanto mai volgari: basterà citare l’incontro della prostituta con Fortunio, e il violentissimo pugilato del quarto atto (lunghissimo, volgarissimo e per niente concludente). [...] Pure l’interpretazione non è stata all’altezza del lavoro: Diomira Jacobini, che ho ammirata in tante e tante films, in questa mi è sembrata fuori posto; forse non ha compresa la psiche della protagonista e non ha saputo ritrarre tutte quelle leggiere sfumature come avrebbe potuto. [...] Di veramente bello in questa film non vi è che la fotografia: pregio questo che sempre va registrato in tutta la produzione della “Fert”» (P.G. Merciai, “La Rivista Cinematografica”, n. 19, 10.10.1923).