Visto censura n. 17.411 del 31.10.1922
Alcune fonti dell’epoca attribuivano erroneamente la regia a Mario Almirante.
«Preceduta da una sfarzosa réclame si ebbe la prima visione del grandioso capolavoro della “Fert”: Sogno d’amore, con Italia Almirante, Habay e Bilancia. Abbiamo ammirato Italia Almirante nelle sue sfolgoranti toilettes e nella incarnazione meravigliosa della figura di Mary Chardin, cantante lirica di varietà; donna, questa, di lucida intelligenza e raffinata sensibilità umana, che attira nelle sue spire Andrea, il quale le propone di redimersi dandole il suo nome; ma lei che ha vissuto attraverso dolorose esperienze della vita di chanteuse rifiuta e costringe l’amore per due mesi, ben sapendo che l’amore non ha una più lunga durata. A tratti la vediamo ambigua, materna, chiaroveggente, cinica, sprezzante, insensibile. L’Almirante esprime sul suo volto le tortuose vicende di un’anima di donna d’istinto sentimentale, deturpata dalla vita. Habay recita molto bene la sua parte, come pure il Bilancia ed Orietta Claudi. Il successo fu grandioso, poiché il teatro già alle prime rappresentazioni era gremito di pubblico, con gran gioia degli impresari»
(G. Kump, “La Vita Cinematografica”, n. 18, 30.9.1923).
«La commedia del Kossotoroff [sic] ha conservato in questa traduzione grafica di Luciano Doria la freschezza primitiva, la linea, il ritmo e gli apporti scenici che l’umana vicenda proietta oltre le volute apparenze, il paradosso spirituale e le contingenze esteriori. Anzi quanto in essa è mantenuto nella penombra e quello che rimane libero [...] e in istile anzi in perfetta dissonanza poichè il moresco, l’egiziano, il gotico s’azzuffano o si sovrappongono all’intuizione del pubblico nella film, date le maggiori possibilità di azione, e la più ampia espressione figurativa, apparisce illustrato e penetrato nei suoi significati più intimi. [...] In questo soggetto dalla linea e dall’espositiva elementari sono incastonati come in un mosaico gemme variopinte intonate di colore e di disegno. Dall’inizio comico e patetico alla conclusione drammaticamente raccolta, le scene si svolgono con sobrietà e misura in analogia alla situazione; con qualche contrasto di tinta e sovrapposizione di elementi che alternano quasi simmetricamente le sensazioni. I valori psichici poi rivelati dalla concitazione interpretativa dànno risalti e accenti a momenti e motivi originali che rivelano l’eccezionale pathos dei protagonisti, come nelle figure secondarie la correttezza e la misura delimitano le funzioni illustrative d’ambiente e di carattere» (Vice-Vidal, “La Rivista Cinematografica”, n. 21, 10.11.1923).
«Il diritto di una donna, facente parte dell’enorme stuolo delle cosiddette “donnine allegre”, ad amare, è stato oramai sfruttato in tutti i modi e servito condito in tutte le maniere più svariate. Ora, la “Fert”, presentandoci questo Sogno d’amore che narra appunto di una mondana innamorata, si è messa nell’azzardo di tediare il pubblico e di produrre una pessima film. Invece, l’arte impeccabile di Italia Almirante, gentile e brava protagonista di questa film, ha salvato le sorti di questa pellicola. Infatti il grandioso, entusiastico successo che questa film ha ottenuto, si deve principalmente alla mirabile interpretazione di ogni singolo artista, in special modo della protagonista Italia Almirante. Ottima, come in tutta la produzione della “Fert”, la fotografia; quanto mai decorosa la messa in scena» (P. Merciai, “La Rivista Cinematografica”, n. 1, 10.1.1924).
«La riduzione alla tela del romanzo è opera di Luciano Doria il quale ha saputo egregiamente svolgerlo lasciandogli quell’insieme di malinconia che dal fatto principale proviene senza togliergli quella nota comica che sempre intorno adesso aleggia. E questo svolgimento è stato molto bene diretto da Gennaro Righelli che lo ha posto in una elegantissima cornice di gusto squisito ove ogni minimo particolare è curato. L’azione poi è rappresentata assai bene da tutti gli artisti: Italia Almirante è assai efficace nelle vesti di Mary Chardin specialmente nella prima e nell’ultima parte; discreto Andrea Habay; simpaticissimo Oreste Bilancia quale Guschine, e graziosa Orietta Claudi; notevoli nelle loro brevi parti Leonie Laporte e Vittorio Pieri» (C. Sircana, “La Rivista Cinematografica”, n. 8, 25.5.1924).