Visto censura n. 17.410 del 30.11.1922
«Prima ancora di assistere allo spettacolo, quando sappiamo trattarsi di una film della “Fert”, già siamo sicuri di assistere ad una buona pellicola, curata tanto nella messa in iscena, quanto nelle parti tecniche ed artistiche. Così pure va detto di questa Storia di Clo Clo, che, fino dalla prima rappresentazione, ha richiamato una folla immensa di spettatori, che sono rimasti veramente entusiasti e soddisfatti. [...] Diomira Jacobini ha saputo egregiamente interpretare la parte della sventurata fanciulla; specialmente in alcune scene sentimentali ci è parsa meravigliosa. Soltanto, nel primo atto, l’avremmo desiderata un po’ più birichina e meno impacciata. Alberto Collo ha recitato egregiamente la sua parte, benché priva affatto di scene interessanti. Vittorio Pieri si è dimostrato artista d’indiscusso valore, nella parte dell’intendente, ritraendone tutti gli effetti possibili. Buona la esecuzione e la messa in scena, egregiamente diretta dal bravo Luciano Doria. Impeccabile la fotografia, specialmente in alcune scene dal vero sulla neve, di un effetto sorprendente» (P. G. Merciai, “La Rivista Cinematografica”, n. 8, 25.5.1923).
«Luciano Doria, sia nella riduzione del libretto per lo schermo tratto dal romanzo omonimo di Gyp, ma più ancora nella magnifica, quasi impeccabile messa in scena, rivela oltre misura le sue prodigiose doti di esperto e sagace conoscitore di stupendi effetti plastici e insieme di raffinato esteta, dominato però sempre da un raro senso d’equilibrio e di umanità viva e contingente. L’azione sfila quindi davanti agli occhi del pubblico, chiara, logica, coesiva: fluisce libera e limpida come se venisse rampollando dalle sorgenti stesse del pensiero fecondo, animata di scorci, piena di movimento, continuamente cangiante e avvincente, intessuta con abile e fine mano di provetto artefice. Da tempo non rammento di avere assistito alla proiezione di un’opera così bene tagliata, inquadrata, finita come un prezioso monile in tutte le sue rabescature più riposte, lisciata quasi dalla carezza amorosa dall’artista. Dico che ho provato un sincero godimento davanti alla immediata e brillante realizzazione di un sogno d’arte, in un gioco di maschere e di scene così semplice, così armonioso, così leggiadro. [...] Il romanzo di Gyp, bisogna ammetterlo, offre situazioni altamente drammatiche fino a rasentare la tragedia sia pur soffocata e ruggente in sordina, delinea personaggi con tocchi magistrali ed incisivi, è tutto avvolto in quella particolare atmosfera boulevardienne che dà alla letteratura francese un’impronta singolarissima colorendo cose e persone d’una tinta inimitabile, un serico pulviscolo d’oro, l’avventura della povera gamine [...] piace, interessa, commuove indubbiamente, ma a chi ben guardi, non contiene poi tesori d’invenzione o di forma o di pensiero... E allora? Risponderò che il successo della film è dovuto ad infiniti elementi, ad un complesso di coefficienti tutti concomitanti alla sua piena riuscita... Interpretazione, fotografia, soggetto, intesi a fondersi, a trasformarsi in un’opera intera, sostenuta, concitata e vibrante. Luciano Doria deve andare orgoglioso di questa sua meritata vittoria, se pure più luminoso sarebbe stato il trionfo qualora nel quarto e quinto atto si fosse accorciata un po’ la serie dei quadri troppo insistenti sul motivo della seduzione e della fuga, attraverso il nevaio, di Michè inseguita da Malasson, indugiando invece a chiarire un po’ di più la pazzia e la susseguente finzione della fanciulla, situazione invero rimasta assai buia, avendo il Doria assegnata la sua spiegazione alla semplice didascalia, mentre avrebbe potuto offrire il destro a costruzioni originali mediante scene di sovrapposizione sempre d’ottimo effetto. Questo a mio parere, l’unico appunto da farsi alla simpatica Storia di Clo-Clo» (P. Amerio, “La Rivista Cinematografica”, n. 14, 25.5.1923).
«Questo film fu tratto dal romanzo: Miche di Gyp., a cura di Luciano Doria, che ne diresse personalmente l’esecuzione scenica e recitativa, dimostrandosi un fine conoscitore dell’arte muta. Quale interprete dell’eroina di questo eccezionale capolavoro, fu scelta la bravissima ed ormai notissima Diomira Jacobini, che, nell’impersonare la parte di Miche, rifulge per la sua recitazione sempre ottima; i suoi tratti birichini ed originali la rendono sempre più piacevole e gradita. Al suo fianco agisce Alberto Collo, che interpreta a meraviglia la parte del giovane Conte, che, con un suo atto gentile, conquista il cuore della povera Miche, la quale tutto tenta pur di poter contraccambiare il bene ricevuto. In questo ruolo il Collo si afferma un bravissimo artista, che non difetta in nulla. V. Pieri interpreta molto bene la parte del vecchio Conte, che, soggiogato dal suo intendente, rinuncia persino a suo nipote, e cadrebbe vittima di quel farabutto, se in buon punto non intervenisse Miche, suo nipote e gli agenti che arrestano quell’uomo brutale e violento. La parte dell’intendente è coperta da V. Rossi Pianelli, che recita a meraviglia la parte dell’uomo odiato da tutti per il suo carattere violento ed il suo fisico alcoolizzato, che mira alla cospicua fortuna del vecchio Conte. Ubaldo Arata, ha curato la fotografia di questo film, con perfetta conoscenza tecnica, dando il massimo della nitidezza della fotografia. Grandioso successo» (G. Bologna, “La Rivista Cinematografica”, n. 8, 25.5.1924).