Nulla Osta n. 3.127 del 2.4.1941; 2.120 metri.
Costruzione scenografie: Luigi Rovere.
«L’ultimo combattimento è quello che dovrebbe segnare la fine della breve e non eccezionale carriera del pugile Bruno Dal Monte. Era un modesto, bravo ragazzo; con l’aiuto di Peppino de Filippo, suo allenatore, aveva vinto qualche incontro, pareva promettere; e di lui era trepida una povera figliola. D’un tratto, quello t’incontra una ricca e capricciosa americana, già divorziata due volte, e che ora s’incapriccia del quasi-campione, e se lo sposa e se lo porta in America. Ma qui Bruno si trova a disagio: troppi quattrini, troppi capricci eccetera: il dissidio fra moglie e terzo marito è ormai palese: e quella, con una somma di denaro, convince l’impresario del Madison Garden a opporre, in un incontro, Bruno a Gorilla James, il tremendo campione d’America. Questi gli darà certo una “buona lezione” e la cara mogliettina se la pregusta. Ma Bruno, invece, abbatte Gorilla: lascia in asso la quasi-miliardaria; e ritroverà in Italia la sua ragazza, che lo ha atteso. Il film è diretto da Piero Ballerini, che con Piccolo Hotel ed È sbarcato un marinaio aveva mostrato di voler seguire una sua via, con accenti personali, ai quali qui rinuncia, speriamo provvisoriamente. Con Peppino De Filippo sono tra gli interpreti del film Milena Penovich e il pugile Bruno Fiermonte, che è anche l’autore del soggetto» (M. Gromo, “L’ultimo combattimento” di P. Ballerini, “La Stampa”, 20.5.1941).
«L’aver scelto Piero Ballerini, regista di mezzitoni, a dirigere un film di pugilato, lascia capire quale fosse l’intenzione dei produttori di Ultimo combattimento: farne un film sportivo con sottofondo [...] intimista. E realmente c’è nel soggetto e nella sceneggiatura lo sforzo di innestare il fatto sportivo sul caso psicologico [...]. Purtroppo, o sia l’ingenuità della costruzione e del dialogo, o l’impacciata esilità della regia, non molto risulta di quelle intenzioni psicologiche e ambientali, tutto il meglio del film concentrandosi nella rinfrescante presenza di due tipi nuovi e interessanti: Enzo Fiermonte [...] e Jone Salinas» (F. Sacchi, “Corriere della Sera”, 13.6.1941).
«La storia avrebbe potuto essere interessante purché fosse stata studiata in profondità [...] invece tutto è narrato a colpi d’obiettivo avvicendati rapidamente, senza troppe preoccupazioni costruttive o estetiche, sicché quello che avrebbe potuto essere un dramma umano o almeno una commedia satirica piena di mordente, risulta un raccontino piuttosto scialbo, i cui episodi sono visti da un lato puramente esteriore. [...] Fra gli interpreti Enzo Fiermonte nella sua parte di protagonista mostra di possedere, oltre a una bellissima figura, delle qualità espressive che potrebbero fare di lui un ottimo elemento del nostro cinematografo. Milena Penovich ha dello stile e riesce a disegnare un’americana che, per la prima volta nel nostro cinematografo, sembra verosimile. [...] Peppino De Filippo ha trovato una parte fatta su misura nell’allenatore del pugile. Le figure secondarie, poi, sono perfettamente a posto - e ci dispiace di non poter dare il nome del tormentatore di Fiermonte, nel principio del film – per quel tal difetto dei nostri produttori di non indicare i personaggi interpretati dagli attori: egli ha tutte le qualità per diventare una stella di prima grandezza, idolo delle spettatrici italiane» (G. Setti, “Il Lavoro”, 8.6.1941).
«Miglior fortuna [di Troppo tardi t’ho conosciuta!] ebbe l'altro film del primissimo periodo torinese di Dino [De Laurentiis], L'ultimo combattimento, che narrava una vicenda semiautobiografica scritta e interpretata dall'ex campione dei pesi medi Enzo Fiermonte, appena reduce da un soggiorno negli Usa dove aveva avuto grossi fastidi con i gangster della boxe e con una moglie americana. Dino afferma di essere andato a prendere Fiermonte al suo arrivo in transatlantico a Napoli e di avergli fatto firmare un contratto di esclusiva. Tra il fiasco di un tenore e il successo di un pugile, Dino, forte di queste due esperienze, si ripresenta a Torino in veste di salvatore della Fert, facendo il primo grosso salto di carriera» (T. Kezich, A. Levantesi, Dino. De Laurentiis, la vita e i film, Feltrinelli, Milano, 2009).