Regista Sandro Bolchi
Soggetto dal romanzo omonimo di Alessandro Manzoni
Sceneggiatura Sandro Bolchi, Riccardo Bacchelli
Fotografia Alberto Savi
Operatore Antonio Garampi
Musica originale Fiorenzo Carpi
Suono Cesare Coppo, Umberto Lanterna, Tullio Querin
Costumi Emma Calderini
Scenografia Bruno Salerno, Romana Arcelli Beltrachini
Interpreti Paola Pitagora (Lucia Mondella), Nino Castelnuovo (Renzo Tramaglino), Tino Carraro (don Abbondio), Lea Massari (Gertrude, la monaca di Monza), Massimo Girotti (fra’ Cristoforo), Salvo Randone (l’Innominato), Luigi Vannucchi (don Rodrigo), Mario Feliciani (cardinale Borromeo), Franco Parenti (l’avvocato Azzeccagarbugli), Elsa Merlini (Perpetua), Fosco Giachetti (Il principe, padre di Gertrude), Germana Paolieri (la madre di Gertrude), Gianni Bonagura (Tonio), Lilla Brignone (Agnese), Sergio Tofano (Don Ferrante)
Produzione Rai Radiotelevisione italiana
Note Consulenza storica e letteraria: Claudio Cesare Secchi; assistenti operatori: Adolfo Bellatalla, Sergio Bertoia, Giuseppe Clemente, Annibale Menin, Giuliano Piol; assistenti operatori seconda unità: Marina Bonifacio, Marco Pellegrini, Piero Pinotti, Rodolfo Schianni; assistenti alla regia: Francesco Dama, Bianca Da Col; assistenti scenografi: Antonio Locatelli, Armando Nobili; assistente costumista: Franco Carretti; altri interpreti: Carlo Cattaneo (il conte Attilio), Cesare Polacco (il conte zio), Glauco Onorato (il Griso), Lino Troisi (il Nibbio), Aldo Soligoj (Egidio), Ennio Groggia (Gervaso), Mario Pisu (Il Podestà di Lecco), Carlo Sabatini (Fra Galdino), Gabriella Giacobbe (Donna Prassede), Antonio Battistella (il sarto), Bianca Toccafondi (la moglie del sarto), Edoardo Toniolo (Il Gran Cancelliere Ferrer), Augusto Mastrantoni (Padre Provinciale), Raffaele Giangrande (Don Gonzalo), Mara Berni (madre di Cecilia) , Mauro Di Francesco (Menico), Guido Lazzarini (padre Felice), Elio Crovetto (uno sfaccendato), Armando Benetti (Ambrogio), Cesare Bettarini (Vicario di Provvisione), Daniela Goggi (Gertrude giovane), Annabella Andreoli (cameriera di Gertrude), Armando Anselmo (vecchio servitore), Mario Bardella (Bortolo Castagneri), Gino Bardellini (il notaio), Enrico Baroni (paggio), Piero Buttarelli (Pedro), Rina Centa (fattoressa del monastero di Monza), Franco Mezzera (mercante), Neda Naldi (Madre Badessa), Antonio Colonnello (Capitano di Giustizia), Carlo Montini (zio di Gertrude), Dino Peretti (Grignapoco), Enrica Corti (mercantessa), Enzo Fisichella (un Bravo), Cesarina Gherardi (vecchia del castello), Virgilio Gottardi (Lodovico Settala), Sergio Le Donne (oste di Gorgonzola), Michele Malaspina (presidente del Tribunale di Sanità), Sandra Mantovani (donna nell’osteria), Egisto Marcucci (Residente di Venezia), Gianfranco Mauri (Ambrogio Fusella), Michele Riccardini (Padre Guardiano), Ermanno Roveri (fra’ Fazio), Gina Sammarco (governante), Augusto Soprani (principino), Nando Tamberlani (Vicario delle monache), Cesare Valletta (un Commissario del Lazzaretto), Anna Wilhelm (Gertrudina), Luciano Zuccolini (oste della Luna Piena), Giancarlo Sbragia (voce over), Giulia Lazzarini, Ilaria Occhini, Franco Tuminelli, Bruno Vilar, Toni Barpi, Carla Agostini, Adalberto Andreani, Aldo Bassi, Stefano Bestini, Ugo Bologna, Angelo Botti, Giovanni Brusadori, Alberto Caporali, Enrico Carabelli, Franco Carli, Liana Casartelli, Angela Cicorella, Federico Collino, Eliana Collis, Arturo Corso, Maria Crosignani, Mario Dal Ceo, Claudio Dal Bozzolo, Toni D’Amico, Aldo Danieli, Filippo De Gara, Dori Dorica, Donatello Falchi, Giancarlo Fantini, Franco Ferrari, Luciano Fino, Ugo Fortunati, Franco Friggeri, Renato Fustagni, Loris Gafforio, Guido Gagliardi, Alberto Germignani, Lia Giovannella, Marcella Greco, Nais Lago, Lorenzo Logli, Licia Lombardi, Lilli Loro, Mimmo Lo Vecchio, Evar Maran, Celeste Marchesini, Franco Massari, Ida Meda, Franco Moraldi Franco, Dora Orsi, Fernando Pannullo, Elena Pantano, Laura Panti, Maria Paoli, Vittorio Pedrazzoli, Dario Penne, Pier Luigi Piro, Mario Pucci, Anty Ramazzini, Lia Rho-Barbieri, Gianni Riso, Marisa Rossi, Gianni Rubens, Lino Savorani, Renzo Scali, Sergio Serafini, Bruno Slaviero, Maria Clotilde Talamo, Agatino Tommaselli, Gianni Tonolli, Rodolfo Traversa, Giuliana Vannucchi, Remo Varisco, Maria Zanoli, Dina Zanone; organizzazione: Remigio Paone
Ogni puntata è preceduta da un'introduzione letta da Giancarlo Sbragia, che è anche il narratore.
Romanzo sceneggiato televisivo trasmesso in 8 puntate dal 1° gennaio al 19 febbraioo 1967 sul Programma Nazionale Rai.
Sinossi
Messinscena televisiva del romanzo di Alessandro Manzoni.
Dichiarazioni
«lo scopo era quello di far vendere molte copie del libro. Inoltre si cercava una divulgazione del testo letterario eliminando quella polvere scolastica che in maniera negativa teneva lontana l'opera dai lettori […] il teleromanzo fu seguito da circa venti milioni di telespettatori. Fu un successo tipo Sanremo. […] Negli sceneggiati c'e sempre molto teatro perché lo sceneggiato si richiamava al teatro, non si richiamava al cinema. Questo è il fondamento del genere. Gli attori erano attori di teatro e non di cinema, i mezzi erano della televisione e non del cinema per cui chiaramente gli espedienti erano della televisione. La voce narrante, per esempio, è un espediente televisivo. Io ho inserito volutamente la voce fuori campo, per riprendere, per recuperare certi momenti letterari che altrimenti si sarebbero persi. La voce di commento non ha mai avuto molia importanza nello sceneggialo. […] II successo che ebbe lo sceneggiato contribuì a una vendita clamorosa del romanzo, adempiendo così allo scopo che mi ero proposto. Non ricordo i dati delle vendite del libro ma credo che anche questi fössero clamorosi. […] la cosiddetta - discutibile - fedeltà inevitabilmente "taglia", i luoghi sono diversi, anche il montaggio cambia per cui ci può essere un certo disorientamento da parte del lettore. II lazzaretto, per esempio, non mi ha soddisfatto pienamente, forse doveva essere meno truculento, più casto, più limpido, ma mediamente oggi sui personaggi forse farei altre scelte. Oggi proporrei una Lucia più popolaresca, più contadina, più lombarda. Nello sceneggiato ha perso l'aria contadina lombarda, quella si è un po' smarrita in una stilizzazione letteraria eccessiva. Avrei dovuto renderla più semplice, più contadina. Si, in effetti c'e una scarsa dimensione popolaresca che limita il tutto. Non c'e in Lucia, in Perpetua, questa bella Lombardia del popolo. È tutto un po' inamidato. È un mio sbaglio, è stata una rinuncia stupida. Bastava rendere la Pitagora meno "infilzata". Eppure l'ho scelta per questo carattere popolaresco» (S. Bolchi, in G. Tabanelli, Il teatro in televisione, Rai Eri, Roma, 2002).
Punta massima dell’intento “pedagogico” della Rai anni Sessanta, I promessi sposi di Bolchi affrontano l’unico romanzo letto (a scuola) da tutti gli italiani, il grande classico della narrativa e letteratura nazionale, riescono a coglierne la sua dimensione di storia eterna ed intramontabile trasferendolo nella dimensione televisiva risultando al tempo stesso fedeli e avvincenti. Risultato raggiunto con un “teleromanzo” indimenticabile, in otto puntate in onda la domenica sera, che all’epoca, nel 1967, ebbero più di 18 milioni di telespettatori fedeli – ma a tutt’oggi lo sceneggiato sorprende per il suo essere meravigliosamente fuori dal tempo, per il suo saper essere rigoroso e allo stesso tempo brillante, profondo e toccante ma di grande intrattenimento. I promessi sposi di Bolchi si avvale di una eccellente e molto fedele trasposizione da romanzo a sceneggiatura (curata da Bolchi con lo scrittore Riccardo Bacchelli), di una realizzazione pionieristica in elettronica nello studio 3 della Rai di Milano, allora il più grande della televisione pubblica, inaugurato per l’occasione, di un cast eccezionale, fondamentalmente il meglio della scena teatrale dell’epoca più un paio di giovani rivelazioni. E, per quanto riguarda i pochi esterni, di un contributo specifico del paesaggio e delle maestranze piemontesi: come ricostruisce nel 2001 il documentario di Stefano Mordini Questo sceneggiato s’ha da fare – I promessi sposi in Piemonte, Bolchi sceglie la zona intorno a Gavi e Novi Ligure per tutte le ambientazioni non ricostruite in studio: così il castello di Casaleggio Boiro, l’unico della zona a svettare essere isolato dal centro abitato, diventa il castello dell’Innominato; il declivio e il prato sottostante sono teatro dell’incontro tra Don Abbondio e i bravi, ma anche delle cavalcate e dei roghi della guerra; il Lido di Predosa, all’epoca località di balneazione e divertimento, viene utilizzato sia come lago di Como che come fiume Adda, giocando sulla foschia e i campi stretti; e la Pieve di Novi Ligure diventa il convento di Fra’ Cristoforo. Nei caldi mesi di quella lontana estate, così, gli abitanti di Gavi e dintorni vengono coinvolti come carpentieri, comparse, aiutanti, o anche solo come curiosi spettatori delle riprese.
«Il legame con Novi del regista de I promessi sposi e di tanti altri sceneggiati televisivi, da Il mulino del Po ai Fratelli Karamazov, è stato principalmente sua madre e poi naturalmente, il periodo in cui girò alla Pieve alcune scene dell’opera manzoniana. “L’ho conosciuto in quell’occasione - racconta l'assessore alla Cultura di Novi Ligure, Guido Firpo: “Bolchi capitava spesso a Novi e non mancavamo di scambiare qualche parola. Quando girò I promessi sposi molti studenti miei amici furono reclutati per fare le comparse, interpretando i bravi di Don Rodrigo o i lanzichenecchi. Girò alcune scene alla Pieve, al castello di Casaleggio Boiro e al lido di Predosa per raccontare la traversata dell'Adda di Renzo, dalla Lombardia al Veneto”. Ci fu chi come Romano Pasquale, insegnante e giornalista, che aveva intervistato Bolchi alcuni mesi prima che girasse a Novi, venne contattato dal regista per avere suggerimenti sui luoghi più suggestivi e per aiutarlo a reperire le comparse: “Ricordo che la gente chiedeva a me, che potevo muovermi liberamente sul set, di scattargli le foto degli attori: i più gettonati ovviamente Paola Pitagora e Nino Castelnuovo”» (M. Putzu, “La Stampa”, 5.8.2005).
«Nello stesso anno [1966] la Rai ultima la costruzione del suo più grande studio televisivo, lo Studio 3 di Milano, confermando la sua identità di azienda in espansione, in grado di padroneggiare le più moderne tecnologie. Nello Studio 3 viene avviata la produzione del romanzo sceneggiato I promessi sposi, ma per la prima volta le scene di massa (sommossa di San Martino ed epidemia di peste nel Lazzaretto) vengono girate con l’ausilio di una scenografia di una Milano seicentesca ricostruita tutta in esterni. Quella dei Promessi sposi può considerarsi con ogni probabilità l’ultima grande produzione realizzata dalla televisione pubblica italiana con mezzi propri» (A. Grasso, M. Scaglioni, Che cos’è la televisione, Garzanti, Milano, 2003).
Scheda a cura di Franco Prono
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