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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Il vagabondo
Italia, 1941, 35mm, 83', B/N


Regia
Carlo Borghesio

Soggetto
Erminio Macario, Bel Ami (Anacleto Francini)

Sceneggiatura
Mario Amendola, Oreste Biancoli, Vincenzo Rovi, Ákos Tolnay

Fotografia
Giorgio Orsini, Giovanni Pucci

Operatore
Gianni Alberto Vitrotti

Musica originale
Pasquale Frustaci

Suono
Luigi Mondino

Montaggio
Riccardo Cassano

Scenografia
Luigi Ricci

Arredamento
Idolo Tancredi

Interpreti
Erminio Macario (Pippo, il vagabondo), Memo Benassi (Fanfulla), Luigi Almirante (Cresima), Carlo Rizzo (Battista), Lilli Granado (Lucilla), Nicoletta Parodi (Patrizia), Evelina Paoli (la marchesa), Stefano Sibaldi (il dottore Camillo), Carlo Moreno (il barone fidanzato di Patrizia), Giuseppe Zago (il marchese Andrea), Alfredo De Antoni, Lilli Morgan, Idolo Tancredi, Vittorio Vaser



Produzione
Liborio Capitani per Capitani Film

Distribuzione
ENIC

Note

Nulla Osta n. 31.484 del 31.12.1941; 2.390 metri.

Supervisore alla regia: Oreste Biancoli; doppiatori: Rosetta Calavetta (Lilli Granado), Giorgio Capecchi (Carlo Moreno), Tina Lattanzi (Evelina Paoli), Amilcare Pettinelli (Giuseppe Zago).





Sinossi
Pippo il vagabondo non ha una lira in tasca, ma neanche una preoccupazione per la testa. Fa la corte alla servetta di una casa nobile quando scopre per caso che il promesso sposo della figlia dei padroni mira esclusivamente ai soldi. Rivela la notizia alla famiglia e, invece di sfruttare la loro riconoscenza, va via come sempre libero e felice.




«Tra la fine del ’40 e il ’42, […] il produttore Capitani scritturò il comico torinese, ormai pienamente convinto della bontà di quella scelta artistica, per un’altra serie di tre pellicole: Il pirata sono io! di Mattoli, Il chiromante diretto da Oreste Biancoli e Il vagabondo, con la regia di Carlo Borghezio, nel quale compariva nel ruolo di spalla Memo Benassi, uno dei migliori gigioni del teatro di prosa. Questi film, seppure diretti da tre diversi registi, avevano in comune il fatto che Macario riversava in essi in maniera un po’ ripetitiva lo stile delle sue riviste e la propria maschera. Se sul set il lusso e lo sfarzo teatrale non erano riproducibili se non per aride immagini, giocoforza lontane dal calore e dal colore degli allestimenti dal vivo, il personaggio invece vi era presente in tutti i suoi tratti caratteristici. La macchina da presa indugiava a lungo su quel giovane ingenuo facilmente beffato che puntava su indubbie doti mimiche (l’espressione sorniona e stralunata dei tondi occhi, la bocca a fetta di cocomero, la camminata ondeggiante del “mamo” dall’abbigliamento raffazzonato) e sugli strani vezzi verbali (la cantilena tipicamente piemontese, l’epentesi, il ripetitivo intercalere, la dizione incerta e frammentata). E gli spettatori non potevano far altro che ridere e commuoversi di fronte alle imprese del candido e involontario buffone dal calcolato vittimismo un po’ piagnucoloso e dalle battute assolutamente inaspettate che spiazzavano tutti. […] Gli attori e i registi che hanno lavorato con Macario sino ai primi anni ’50 avevano tutti la non nascosta ambizione di prendere come modello Charlie Chaplin, e di cucire addosso al piccolo e fragile uomo ai margini della burrascosa fase storica di quegli anni alcuni soggetti realistici nei quali egli potesse dimostrare tutte le proprie capacità espressive e recitative. Spesso Macario, con un po’ troppa supponenza, amava mettersi sullo stesso piano del popolarissimo attore americano del cinema muto: “Charlot a volte è cattivo o maligno: nelle brevi comiche mute prende a calci anche i derelitti suoi pari, mentre io, in quei personaggi dotati di affinità con lui, sono abitualmente timido e remissivo anche troppo, sicché le busco sempre”» (M. Ternavasio, Macario, Lidau, Torino, 1998).

«Macario “seconda maniera”: tolto di mano agli umoristi bizzarri che avevano provveduto alla realizzazione dei suoi primi quattro film, il comico del ricciolo è passato a un’altra “gestione”, più mite nelle intenzioni e nelle risoluzioni: Il vagabondo è il secondo prodotto di tale nuova collaborazione: di gran lunga migliore del primo, quel misero Chiromante […]. Schiettamente riuscita è una sequenza del racconto: quella in cui Macario entra nelle enormi stanze della villa e si meraviglia, come un bambino, di tutto quello che vede e che tocca. Che si debba farlo muovere in questo senso, non ci par dubbio. Vedete che risultati affettuosi e giocondi ha qui la sua libera mimica, non turbata da nessuna interferenza d’altra natura» (Vice, “Cinema”, n. 143, 10.6.1942).

«Lo spunto di questa favoletta macariana è moralmente e psicologicamente interessante. […] È un Macario edulcorato e alquanto denicotizzato che interpreta questo personaggio affettuoso e candido, un Macario senza il sale ma anche senza le scempiaggini del suo cliché rivistaiolo. Nicoletta Parodi con quella sua figurina così gentile e moderna, conferma la grazia e la spontaneità del suo gioco recitativo, e solo aspetta ancora una parte a lei adatta. […] Memo Benassi e Luigi Almirante sono i due compagni di poetici stenti di Macario: bravi e persuasivi» (S. De Feo, “Il Messaggero”, 3.6.1942).



Scheda a cura di
Matteo Pollone

Persone / Istituzioni
Carlo Borghesio
Erminio Macario
Gianni Alberto Vitrotti
Memo Benassi
Luigi Almirante
Carlo Rizzo
Luigi Ricci


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