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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



I primi della lista
Italia, 2010, 35mm, 85', Colore

Altri titoli: The First on the List

Regista
Roan Johnson

Soggetto
Renzo Lulli

Sceneggiatura
Davide Lantieri, Roan Johnson

Fotografia
Tommaso Borgstrom

Operatore
Alex Brambilla (steadycam)

Musica originale
Ratchev & Carratello

Musica di repertorio
Fabrizio De André (Quello che non ho)

Suono
Stefano Campus (fonico), Andrea Viali (microfonista)

Montaggio
Marco Guelfi

Costumi
Andrea Cavalletto

Trucco
Fiorella Novarino

Casting
Paola Rota, Gianluca Greco

Produttore esecutivo
Patrizia Massa

Scenografia
Mauro Vanzati

Assistente alla regia
Elisabetta Boni

Direttore di produzione
Erik Paoletti

Arredamento
Giulia Parigi

Assistente di produzione
Stefano Bisa, Ivano Coia

Interpreti
Claudio Santamaria (Pino Masi), Francesco Turbanti (Renzo Lulli), Paolo Cioni (Fabio Gismondi), Sergio Pierattini (padre di Lulli), Daniela Morozzi (mamma di Lulli), Fabrizio Brandi (padre di Gismondi), Pierpaolo Capovilla (barista)

Produzione
Palomar (Roma) e Urania Pictures, con Rai Cinema, in co-produzione con Rectangle Productions

Distribuzione
Cinecittà Luce

Note
Costumisti: Andrea Vanzetta, Alessandro Baro (aiuto), Chiara Russo (stagista costumi); parrucchiere: Fiorella Novarino; assistente operatore: Martino Pellion; aiuto operatore: Sandro de Frino; montaggio del suono: Alessandro Feletti, Dario Calvari; segretari di produzione: Denise Fregnan, Ivano Coia, Matteo Lioce; location manager: Federico Fusco; amministratore: Giuliana Claudione; elettricisti: Gianfranco Soro (capo squadra), Pietro Rosso, Beltrame Fiore; capo squadra macchinisti: Enzo Pontil; attrezzista di set: Raffaele Aldo Molinino; fornitura armi e oggetti di scena: Roberto Ferrarese; autista cinemobile: Paolo Bussolin; bicamper: Davide Camozza; segretario di edizione: Marta Loza Alonso; ufficio stampa: Marzia Milanesi; supervisore post produzione: Gianni Monciotti; produttore Palomar: Gloria Giorgianni.

Renzo Lulli ha collaborato alla sceneggiatura e a Francesco Bruni è riconosciuta "la materna supervisione".

Il film è uscito in Italia venerdì 11 novembre, in 20 copie.

Il vero Pino Masi fa una comparsata nelle scene finali e canta Quello che non ho, di Fabrizo De André, già intonata dai protagonisti, in una scena del film, anche se la canzone originale è del 1981.

In concorso al Sulmonacinema, festival del cinema italiano indipendente, 29esima edizione, 3/7 dicembre 2011, conquista l’Ovidio d'argento per la miglior regia, a Roan Johnson, e il premio per la miglior interpretazione maschile, alla coppia Paolo Cioni e Francesco Turbanti.

Prodotto da Carlo Degli Esposti, Nora Barbieri, Conchita Airoldi, Patrizia Massa, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac) - Direzione Generale Cinema, in associazione con Fip - Film Investimenti Piemonte, con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e Toscana Film Commission (Fondo cinema Regione Toscana).

Locations: Bardonecchia (To), Névache (Francia), Pisa.



Sinossi
Questa è una storia vera, successa il 1 giugno 1970. Dopo le manifestazioni degli studenti e gli scioperi, l’Italia è a un bivio: da un lato ci sono ancora l’ingenuità e i sogni sinceri della stagione del ’68, dall’altro sta iniziando una lotta interna sempre più cruenta. Nell’agosto del ’69 scoppiano otto bombe sui treni, a dicembre c’è piazza Fontana. È l’inizio della stagione delle stragi di Stato, dei servizi segreti deviati e della destra eversiva: sotto il cielo c’è grande confusione.
A Pisa, nell’ambiente del movimento studentesco, arriva la notizia che sta per scattare un colpo di stato militare come quello dei colonnelli in Grecia del ‘67. “Dormite fuori casa per tre, quattro notti. Se fanno il putsch vi vengono a prendere a casa uno per uno.” È questo l’ordine per tutti i ragazzi più esposti. Tra loro c’è anche Pino Masi, un cantautore che ha fondato da poco il Canzoniere Pisano e fa concerti davanti a migliaia di ragazzi. Ha scritto le canzoni di lotta più famose, ed è uno dei più in vista. Ma è anche una persona con un’infanzia difficile, istintivamente diffidente, per cui quella notizia lo agita molto. Quel giorno nella sua soffitta vitale e caotica ci sono due liceali: Renzo Lulli e Fabio Gismondi. Hanno appena vent’anni e sognano di suonare nel Canzoniere Pisano. Per loro il Masi è un mito, un leader indiscusso. Quando li prende da parte e gli spiega che devono andare fuori città per evitare pericoli, accettano. “Prendiamo la Cinquecento del Lulli e si va verso il confine. Se il golpe non c’è, s’è fatta una gita. Se invece accade il peggio, andiamo in esilio e da lì gireremo il mondo con le nostre canzoni per fare luce sulle ingiustizie in Italia”.
Dopo aver trovato delle scuse con i genitori e bruciato le agende personali per non lasciare traccia, i tre si mettono in marcia verso il confine jugoslavo. Nella notte si fermano a fare benzina e, mentre prendono un caffè per rimanere svegli, vedono il bar riempirsi di soldati che scherzano fra di loro, con le mitragliette a tracolla: stanno andando verso Roma, all’alba saranno lì. I nostri tre non pensano che il giorno dopo è il 2 giugno e ci sarà la parata militare a Roma per la festa della Repubblica. Pensano che il colpo di stato ormai è cosa certa.
“Pigia, Lulli. Pigia!” La cinquecento color avana corre verso il confine e la salvezza, mentre i tre hanno nel cuore la malinconia per quello che si stanno lasciando alle spalle e l’eccitazione per quello che li aspetta. Arrivati davanti al confine jugoslavo, si imbattono nella cortina di ferro: buio, fili spinati, torrette con luci che scrutano nella notte. Sembra un campo di concentramento. I tre decidono di ripiegare in Austria. Peccato che arrivati al nuovo confine si accorgano di non avere i documenti validi per l’espatrio. Il poliziotto alla dogana guarda perplesso le loro patenti e va a parlare alla radio per capire se si può fare un permesso giornaliero. Non potendolo sentire, i nostri tre si convincono che stia parlando con Roma, che li abbiano beccati, e così si lanciano con la macchina verso l’Austria e la salvezza. Il Masi e il Gismondi vengono arrestati dai poliziotti austriaci insieme ai carabinieri che li hanno seguiti armi in pugno oltre il confine. L’unico che riesce a scappare è Renzo Lulli. Proprio lui, il ragazzo di buona famiglia, con i capelli pettinati e la camicia pulita. Mentre corre verso la libertà, ricercato dalle polizie di due paesi e senza una casa dove tornare, si sente un eroe, un vero ribelle in fuga. Lo ritrova il Masi su una jeep degli austriaci: “Tranquillo, ci danno l’asilo politico!”.
Li portano in un carcere e qui iniziano ad affiorare i dubbi: perché ci hanno messo in cella e ci guardano perplessi quando parliamo di golpe? All’interrogatorio con l’Interpol tutto si fa chiaro: non c’è stato nessun colpo di stato, hanno fatto una cazzata e sono nei guai. Una posizione giudiziaria non facile, i genitori incavolati, tutti a Pisa pronti a prenderli per i fondelli per anni. La loro strana amicizia viene messa a dura prova durante settimana che passano in carcere. Quando li liberano, i tre si tolgono la soddisfazione di fare il loro primo e ultimo concerto davanti alle inferriate dell’istituto. Nessuno li ascolta, ma per loro comunque è un momento importante. Poi, sul treno che li riporta in Italia, tentano di nuovo la fuga. Per evitare interrogatori e ramanzine e perché, un po’ ci hanno preso gusto.




Dichiarazioni
«Avevo sentito parlare di questa storia, ma non la ricordavo e non la conoscevo nei dettagli. Poi mi è arrivato il racconto di Renzo Lulli, tramite un amico. Mi aveva colpito il fatto che fosse scritto con eleganza e con un sguardo autoironico. Comunque quando l’ho letto non pensavo ci avremmo fatto un film perché mi sembrava poco vicino agli stereotipi della commedia italiana di oggi. Per esempio non ci sono donne. E poi è comunque un film politico che racconta - anche attraverso l’ingenuità di quei ragazzi- la repressione della polizia e l’Italia dopo la strage di Piazza Fontana. […] L’episodio, seppur ingenuo, è stato una conseguenza di quello che si viveva negli anni ’70 in Italia. I tentativi di colpo di stato ci sono stati veramente: quello del generale Giovanni De Lorenzo e di Junio Valerio Borghese tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. I presupposti c’erano, c’era la paura di un ritorno al fascismo e alla dittatura, anche il disagio dei giovani era reale e inoltre Pino Masi era veramente la star del momento, quindi probabilmente si sentiva proprio sotto i riflettori e pensava di essere tra “i primi della lista”. In un certo senso poi quella generazione è rimasta sempre un po’ emarginata» (R. Johnson a S. Preziosi, “il Fatto Quotidiano”, 11.11.2011).




«E’ sospeso proprio come il periodo che racconta – tra l’ingenuità degli anni ’60 e lo spauracchio di una guerra civile – il film d’esordio di Roan Johnson, I primi della lista, road-movie grottesco e surreale che prende le mosse dalla storia vera di un episodio nella vita del cantastorie Pino Masi (La ballata del Pinelli, Compagno sembra ieri, Prendiamoci la città) e dei due giovani musicisti che in quei giorni provavano con lui, decisi a raggiungere dapprima la Jugoslavia, poi l’Austria, per evitare il temuto colpo di stato. Ed è proprio grazie a questo continuo sguardo disincantato, mai troppo appesantito dal fardello ideologico, che il film riesce a perseguire il proprio obiettivo, raccontare l’incredibile, grottesca vicenda, ormai colorata di leggenda, dei “tre ragazzi che chiesero asilo politico all’Austria» (V. Sammarco, “Il Sole 24 ore”, 30.10.2011, e "cinematografo.it”, 10.11.2011).

«Non è facile realizzare un film che racconti pezzi degli anni ‘70 nell’epoca del post-terrorismo: si è troppo lontani nel tempo per non abbandonarsi a revival di sottofondo (Mio fratello è figlio unico, Romanzo criminale), cosicché da opere rappresentative e analitiche come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto o Io ho paura (per citarne alcuni) si è passati - ora che quel quadro storico è un ricordo che si sta ingiallendo - a una riproposizione degli anni 60-70 in chiave mitica, con opere dalla connotazione idealistica che strizzano l’occhio ai fervori giovanili. Il merito di Roan Johnson, invece, sta proprio nell’essere riuscito a raccontare una storia, vera e ambientata in un periodo storico colmo di ambivalenze, senza cadere nella facile ideologia e dosando la giusta ironia, che non eccede mai, sfociando in derive farsesche. Merito di una sceneggiatura, scritta con Renzo Lulli (il vero), che sa scegliere il tono da dare alla storia. Roan Johnson sembra tagliato per giocare di equilibrismo e la sua regia è quanto mai azzeccata; il taglio intimista lambisce l’impresa (sur)reale dei tre giovani e ne conferisce un realismo granitico. Il film, pur tra i sorrisi, rivela il clima di paura e agitazione che si viveva negli anni ‘70, raggiungendo esiti di astratto complottismo quando l’impeto giovanile si oscurava in persecuzione» (F. D’Ettorre, “ondacinema.it”).

«Ispirato ad un fatto realmente accaduto, il film che, sulla carta, sembrerebbe una sorta di Amici Miei in salsa politica è una storia molto più raffinata e decisamente complessa, quasi esclusivamente fondata sul talento e l’ambiguità di un ottimo Claudio Santamaria impegnato a raccontare un personaggio insolito che pur – in apparenza – sopra le righe e ossessionato da complotti e dietrologie, invece, offre perle di grande saggezza e una visione del mondo che per quanto estrema e in apparenza farneticante risulta essere tutt’altro che infondata. […] Un piccolo film on the road con una ricostruzione intrigante degli anni Settanta e del loro spirito, ma – al tempo stesso – anche un omaggio ad una generazione di ragazzi e ragazze cresciuti con una coscienza e una consapevolezza politica molto forti» (M. Spagnoli, “primissima.it”, 10.11.2011).

«Il film ha i toni leggeri della commedia, con il contrasto tra la realtà e la serietà con cui i protagonisti vivono la loro presunta condizione di fuoriusciti politici, convinti dell’avvenuto golpe, soprattutto dopo aver visto sfilare sull’autostrada una lunga fila di mezzi militari - che in realtà andavano a Roma per la parata militare del 2 giugno - per cui chiedono l’asilo politico suscitando la buffa perplessità dei poliziotti austriaci» (M. P. Fusco, “la Repubblica”, 8.11.2011).


Scheda a cura di
Cristina Nebbia


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