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Lungometraggi |
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La spettatrice
Italia, 2004, 35mm, 100', Colore
Altri titoli: The Spectator
Regia Paolo Franchi
Soggetto Paolo Franchi
Sceneggiatura Paolo Franchi, Heidrun Schleef, Diego Ribon, Daniela Caselli, Daniela Caselli, Rinaldo Rocco
Fotografia Giuseppe Lanci
Operatore Stefano Paradiso
Musica originale Carlo Crivelli
Montaggio Alessio Doglione
Effetti speciali Franco Galiano
Scenografia Ettore Guerrieri, Maurizia Narducci
Costumi Alessandro Lai
Aiuto regia Angelo Vicari
Interpreti Barbora Bobulova (Valeria), Andrea Renzi (Massimo), Brigitte Catillon (Flavia), Matteo Mussoni (Andrea), Chiara Picchi (Sonia), Giorgio Podo (lo sconosciuto al pub), Carlotta Centanni (agente immobiliare), Cesare Cremonini (il gufo), Giorgio Marchesi (Marco), Raffaele Fallica (portiere), Danielle Baker (relatrice), Guido Zaccagnini (mediatore), Settimio Piaciotti (relatore)
Produttore esecutivo stripslashes(Roberto Buttafarro), Marco Quintili, Marisa Greco, Frano Zuliani
Produzione Emme Produzioni, Ubu Film
Distribuzione Istituto Luce
Note
2730 metri.
Operatore steadycam: Stefano Paradiso; suono Dolby Digital.
Il film è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino (via Milano, via S. Agostino, Porta Nuova, corso Casale, Sassi, aiuola Cavour), Roma.
Premi: Premio della Giuria al Festival du Film Italien de Villerupt 2004; Rosa d'Argento al Bergamo Film Meeting 2004; Premio a B. Bobulova come Miglior Attrice ad Annecy Cinéma Italien 2004; Premio Kodak al festival International du Film d'Amour de Mons 2005; Globo d'Oro 2005 per la Miglior Opera Prima; Grolla d'Oro all'Innovazione 2005 a Saint Vincent; Premio al Miglior Film e alla Miglior Sceneggiatura al Syracuse International Film & Video festival 2005; è stato scelto da Robert De Niro per partecipare al Tribeca Festival di New York.
Sinossi
Valeria, che di mestiere fa l’interprete, vive a Torino. È una giovane donna molto timida ed è innamorata di Massimo, un suo vicino, che osserva tutti i giorni dalla finestra. Quando lui si trasferisce a Roma, Valeria lo segue e qui, per entrare nella sua vita, fa amicizia con la donna che l’uomo frequenta, Flavia, professoressa di diritto. Quando il rapporto tra Massimo e Flavia si rompe ed egli inizia ad interessarsi a Valeria, questa decide di fuggire una volta ancora e tornare a guardare il mondo restandone una solitaria spettatrice.
Dichiarazioni
«Tutti i film sono in qualche modo personali, ma devo dire che di personale in questo mio film c’è poco: molti anni fa avevo letto un romanzo di Eça De Quieroz, uno scrittore portoghese di fine Ottocento, che mi aveva colpito; poi ho conosciuto una donna che si chiama Valeria anche lei e che per certi versi somiglia alla Valeria del film; infine ci sono i film che ho visto, ovviamente. Insomma, l’idea è nata da vari spunti: da letture e da persone che ho conosciuto e che si sono amalgamate tra loro, dando vita a questa storia. […] Il cinema che a me interessa vedere e fare è un cinema sulla psiche, di introspezione. Che è il percorso che ritengo più interessante. Basta che questo non diventi una tesi precisa, un film analitico ma freddo. Cercare soprattutto di andare a raccontare, senza per forza dare delle risposte, l’irrazionalità che c’è in ognuno di noi […] Non penso che si riesca a conoscere gli altri o se stessi fino in fondo. Per cui allo spettatore secondo me devi lasciare la possibilità di interpretare quello che succede; se c’è una psicodinamica che hai raccontato è fondamentale dare la possibilità al pubblico di darne una soluzione. Non credo in una sola interpretazione della realtà. […] Valeria è un personaggio molto idealistico e perciò rischia di non avere più rapporti concreti con la realtà. Altrettanto si può dire di Flavia o di Massimo. Sono tutti e tre personaggi che alla fine fanno delle scelte o non le fanno per evitare puntualmente di vivere la realtà, di affrontare il presente» (P. Franchi, “Nuova Agenzia Radicale”, 16.6.2004).
La spettatrice è la storia dell’amore virtuale di una ragazza che osserva, spia, pedina uno sconosciuto che abita in un alloggio di fronte alle sue finestre, poi lo segue da Torino a Roma, restando sempre spettatrice passiva della sua vita. La vicenda si snoda in silenzio attraverso gli sguardi della protagonista la quale si trova costantemente separata dall’oggetto del proprio sguardo a causa di vetri (della finestra di casa, della cabina della traduzione simultanea, del taxi preso da Massimo, delle vetrine di negozi, bar, autobus).
Il piacere dell’osservazione sfocia nel patologico quando l’osservazione stessa prende il posto della vita, quando la solitudine si perpetua in uno stato menale immodificabile e il sentimento di inadeguatezza che caratterizza la protagonista si rivela ostacolo insuperabile all’azione, alla presa di coscienza. Ma al di là della patologia, si può dire che il sentimento che non si concretizza mai pare l’emblema della paura, diffusa nella società odierna, di trasformare in realtà infatuazioni, vagheggiamenti, sogni.
Inoltre il film si pone esplicitamente come l’ennesima declinazione di un topos cinematografico, il triangolo amoroso (benché questa volta atipico, poiché costituito da Massimo, Flavia e da un terzo elemento che non si dichiara mai, Valeria) che rimanda a quel Jules e Jim di Truffaut il cui poster campeggia appeso ad una parete.
«L'autore è fornito di una capacità introspettiva a livelli di immagini che lo imparentano con i maestri che inquadrano l'invisibile degli affetti, metti Antonioni o Kieslowski e mantiene il film su un'eleganza stilistica costante e a giusta misura e distanza emotiva. […] L'eclisse dei sentimenti in un racconto di una classe molto europea e poco italiana, in cui nessuna immagine è inutile, nessuno sguardo va perso e i raccordi psicologici sono precisi e la mano della regia è invisibile ma presente nel raccontare un incrocio di solitudini, ma senza angoscia. Per esempio nella direzione di tre attori straordinariamente sintonizzati: Barbora Bobulova, la spettatrice della vita che insegue un sogno d'amore, l'amica-complice Brigitte Catillon e il bravissimo Andrea Renzi, che viene dal teatro di Martone e fa il discreto oggetto del desiderio» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 8.5.2004). Il riferimento a Kieslowski si trova in molte recensioni del film; leggiamo infatti su “la Repubblica”: «incastri di coincidenze - un po' casuali, un po' volute - e piccole interferenze nei destini, note dolenti sospese in un vuoto di relazioni umane, ci dicono che siamo in quel clima che era caro al cinema di Kieslowski. Il disegno è ardito e la sfida interessante» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 7.5.2004).
«La vita, che secondo Pirandello “o la vivi o la rappresenti” (splendido modo di glissare il problema da parte di un grande intellettuale vulnerabile nei sentimenti), diventa, con La spettatrice, una vita da rimirare, da pedinare, da infastidire - all'interno di quel sentimento di "non appartenenza", di estraneità, di impossibile partecipazione al gioco che è il frutto amarissimo della latente depressione che avviluppa entrambi i protagonisti. I quali vivono a Torino, la città del misconosciuto e bellissimo Controvento, aspra e anonima, altezzosa e gelida, elegante involucro della postincomunicabilità. Non sappiamo (né ci interessa sapere) quali siano le cause del disagio affettivo, dell'afasia dei sentimenti in cui galleggiano, come in un liquido amniotico, la ragazza e il suo alter ego maschile, metodicamente spiato da una ennesima "finestra di fronte". II film si nutre di silenzi, di frasi smozzicate, di sguardi privi di parole, di occasioni perdute o volutamente mancate. Ed è immediato il riferimento alle psicologie di Antonioni o Kieslowski, svuotate però di intellettualismi e simmetrie del destino a favore di una "deriva" esistenziale del tutto impalpabile ma irreversibile. […] Si uscirà da questa eclissi del sentimento? Verrà il momento del coraggio? Tornerà il lusso di dichiararsi innamorati in un tempo di aridità, pavidità e contro-valore in denaro (anche amare ha un suo costo materiale)? La risposta è sigillata nello sguardo bellissimo e assente di Barbara Bobulova, attrice di teatro in La mite di Dostoevskij con Gabriele Lavia (vibratile e laconica anche in quel caso), inaspettata rivelazione, in tandem con Andrea Renzi, di questo film anomalo e limpidissimo (nonostante il torpore che lo sottende) che appare come un alieno nel panorama abitudinario del giovane cinema italiano» (A. Pizzuto, “Cinemasessanta” n. 5/279, settembre-ottobre 2004).
«La spettatrice è un film che va in antitesi con i modi del cinema attuale, indirizzato verso una sgargiante esplicitezza della messa in scena. I suoi modelli sono semmai Kieslowski, Sautet, soprattutto Antonioni. Lo stile è allusivo, ellittico, lascia molto all'implicito. Le immagini, più che concentrarsi sui dialoghi, comunque scarni, si fermano sulle reazioni degli interlocutori, sugli infinitesimali movimenti del viso (bravissimi gli attori, con particolare riguardo alla Bobulova), lasciando allo spettatore il compito della ricostruzione dei meccanismi interiori. [...] La prima sequenza unisce attraverso una serie di piani sequenza i due protagonisti, prima indicando un parallelismo tra i due (Massimo esce da un negozio nel quale ha comprato una pietra portafortuna. Un carrello laterale lo accompagna, poi lo abbandona per soffermarsi su un tram, dal quale scende Valeria con la stessa pietra fra le mani), poi stabilendone la distanza, lo schermo che li divide e li fa essere in un certo senso su due piani della realtà diversi. [...] Massimo entra in casa. Seguiamo i suoi movimenti dall'esterno, dalle finestre. Un carrello indietro ci svela che il punto di vista è quello di Valeria, dalla finestra della sua stanza, dalla quale lo osserva tutte le sere). [...] La distanza è quella di una spettatrice di cinema rispetto ai personaggi contenuti nello schermo. Non solo si innamora della loro figura, ma anche dei loro gesti, della loro vita quotidiana. Paradossalmente, quando Valeria è costretta a uscire allo scoperto e ad abbandonare la propria sala cinematografica personale, lo schermo s'inspessisce. A Roma Valeria vive una storia d'amore con Massimo per interposta persona, come una spettatrice che si immedesima con la partner del suo attore preferito» (F. de Girolamo Marini, “Film” n. 70, luglio-agosto 2004).
Paolo Franchi tratta i temi della solitudine sentimentale e del mascheramento della realtà esistenziale con una regia rigorosa, essenziale e discreta nello stesso tempo; in virtù della propria sensibilità e grazie all’ottimo lavoro degli attori riesce a rappresentare incertezze, timori, timidezze, scontrosità, blocchi patologici attraverso gli sguardi, la microfisionomia dei volti, i gesti e i movimenti dei corpi.
Paolo Franchi tratta i temi della solitudine sentimentale e del mascheramento della realtà esistenziale con una regia rigorosa, essenziale e discreta nello stesso tempo; in virtù della propria sensibilità e grazie all’ottimo lavoro degli attori riesce a rappresentare incertezze, timori, timidezze, scontrosità, blocchi patologici attraverso gli sguardi, la microfisionomia dei volti, i gesti e i movimenti dei corpi.
Roma e Torino appaiono due città molto simili tra loro: grigie, fredde, piovose, accomunate dalla tristezza derivante dalla solitudine che impera sovrana nella vita di tutti i personaggi.
Scheda a cura di Davide Larocca
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