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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Se devo essere sincera
Italia, 2004, 35mm, 105', Colore


Regia
Davide Ferrario

Soggetto
dal romanzo "La collega tatuata" di Margherita Oggero

Sceneggiatura
Luciana Littizzetto, Anna Pavignano

Fotografia
Fabio Cianchetti

Operatore
Massimiliano Trevis

Musica originale
Fabio Barovero

Suono
Marco Giacomelli, Lilio Rosato, Tiziano Crotti

Montaggio
Claudio Cormio

Scenografia
Francesca Bocca, Valentina Ferroni

Costumi
Cristina Francioni

Interpreti
Luciana Littizzetto (Adelaide), Dino Abbrescia (Renzo), Donatella Finocchiaro (Gina), Fabio Troiano (Arturo), Neri Marcorè (Gaetano), Lidia Biondi (Eselda), Romana Olivetti (Livietta), Mia Benedetta (Bianca), Alessandro Adriano (Vaglietti), Pasquale Bonarota (Arnuffi), Francesca Vettori (Floriana), Michele Nani (Bagnasacco), Luca Ferrero (Valente), Cristina Odasso (D'Aprile), Cecilia Salmè (Mariconda), Gabriele Goria (Stizzoli)

Direttore di produzione
Stefano Benappi

Produttore esecutivo
Maurizio Federati

Produzione
Beppe Caschetto per I.T.C. Movie, Medusa Film

Distribuzione
Medusa Film

Note

2600 metri.

Suono Dolby Digital; altri interpreti: Dario Leone (Lucci), Luca Di Prospero (Bonocore), Simona Nasi (Doriana), Enrico Ceva (Maresciallo), Germana Pasquero (Vasile), Zoe Tavarelli (Elena); organizzatore generale: Luca Bitterlin.

Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.

Locations: Torino (corso Casale, corso San Maurizio, Cimitero Generale, Parco del Valentino, Borgo Medioevale, Museo Lombroso, Museo Ferroviario del Gruppo Torinese Trasporti, Mole Antonelliana).




Sinossi
Adelaide è un’insegnante torinese sposata con Renzo, titolare di una Scuola Guida. Si improvvisa appassionata investigatrice in seguito all’omicidio di una sua collega e vicina di casa, e affianca nelle indagini il Commissario di Polizia Gaetano, con il quale si instaura un rapporto amoroso.



Dichiarazioni
«Mi intriga molto il meccanismo che si cela dietro una bugia… un processo molto umano! Poi dal punto di vista storico stiamo vivendo un periodo dove non regna di certo la sincerità: sono proprio le bugie che fanno girare ed andare avanti il mondo! Ho sempre fatto dei film sull’ambiguità ed oggi più che mai è il tema giusto da affrontare!» (D. Ferrario, www.fctp.it).
 
«[...] quasi tutti dimenticano che il primo film di Luciana Littizzetto è stato Tutti giù per terra, nell’ormai lontano 1997. A me Luciana è sempre piaciuta come attrice, punto e basta. Essendo poi una donna intelligente e di talento, sono ben contento che sia diventata un personaggio famoso. Così quando mi ha fatto leggere la sceneggiatura di Se devo essere sincera, non avevo alcun pregiudizio. Lo script mi è piaciuto, l’ho trovato divertente e niente affatto banale. Ho accettato di dirigere il film. Mi piaceva anzi – per una volta – proprio l’dea di non lavorare su un soggetto o una storia “miei”. [...] Inoltre credo che in Italia mettere insieme un personaggio famoso e un “autore” sia un tipo di esperimento che si pratica troppo poco. Di solito i comici considerano la regia una specie di optional praticabile da qualsiasi cretino e i film se li fanno da soli. Inversamente, registi riconosciuti hanno quasi sempre paura di sporcarsi le mani col “popolare”. [...] Infine, last but not least, il film si gira a Torino. Questa città mi piace perché è un set inesauribile e visivamente emozionante» (D. Ferrario, “La Stampa –TorinoSette”, 20.10.2004).
 
«È una storia d’amore con venature gialle. Io sono Adelaide, un’insegnante sposata con figlia, che all’improvviso tradisce il marito [...] con un commissario di polizia [...] che sta indagando sull’omicidio di un ‘altra professoressa. Quella dell’amante è una veste in cui mi sono trovata, ma che davvero non fa per me: per resistere bisogna avere grandissima energia e memoria. È come investire in Borsa, eccitante ma logorante. Il film parla di tradimento e della fine della passione, che arriva per tutte le coppie, prima o poi; l’ironia può servire a rinsaldare il rapporto, ma forse, come suggerisce il titolo, non bisogna neanche dirsi sempre tutto: credo che ci sia una parte di noi che deve essere taciuta all’altro. La sceneggiatura è stata tratta da un libro giallo comico (La collega tatuata, di Margherita Oggero), in cui io e Anna Maria Pavignano abbiamo inserito la storia d’amore, lei lavorando sulla struttura, io sui dialoghi. Con Abbrescia e Marcorè sul set ci siamo divertiti molto. Neri era già il mio fidanzato in Ravanello Pallido... Adesso però basta!, voglio uscire dal tunnel di Marcorè; nel prossimo film vorrei un bellone, non dico Raoul Bova, ma almeno Andy Garcia!» (L. Littizzetto, “Ciak”, Ottobre 2004).





«Un film di Luciana Littizzetto diretto da Davide Ferrario? 0 un film di Davide Ferrario nonostante Luciana Littizzetto? La risposta è trina: valgono le prime due ma vale soprattutto il prodotto, che non è un capolavoro ma un'aspro-gradevole commedia agrodolce di tipo francopiemontese (le due etnie confinano) che riesce ad avere un suo ritmo (merito di Ferrario) nonostante certe lungaggini recitative (demerito di Littizzetto) e certe estravaganze (demerito di Ferrarlo) nel pieno di un protagonismo (merito di Littizzetto). Insomma, due a due. È la prima volta che il regista si affida a un copione altrui, già quasi confezionato e dalla lunga storia: un romanzo apparso con successo, una sceneggiatura di lungo termine che lo traduce e in parte lo tradisce (la scrittrice, si dice, appare un po' perplessa dal risultato), e poi la volontà di porsi nelle mani di un cineasta che districhi la materia e pur lasci la sua impronta. […] Messi insieme i due, come da copione, ne combinano di tutti i colori, tra il giallo e il rosa, tra il nero e lo sbiadito, con la preminenza di una sorta di slapstick in salsa umorale. Che il film si intermezzi e si concluda (fermo immagine) con una prova di bungee-jumping (sapete, il salto da un ponte tramite lungo elastico legato alla caviglia) la dice lunga sulla temerarietà dell'impresa. Eppure come in uno sport estremo ci si diverte, ci si appassiona, e si prova anche qualche brivido. Ne venissero di spettacoli del genere, che bene o male riflettono anche la vita. […] Carico di elementi grotteschi (la sepoltura del gatto, l'urna cineraria, la visita all'istituto di medicina legale con i reperti di Cesare Lombroso, l'irrequieta lavatrice, lo scacciapensieri, e tanti altri piccoli appunti), improbabile nel suo plot (una fatidica pagina di agenda conservata nel posto sbagliato, un commissario di polizia che accorre a Nizza per trarre d'impaccio l'amata assieme al di lei marito, e tornano a Torino in tre su un'accogliente Multipla: capito il messaggio?), variegato nel suo dispiegarsi ove ognuno sta a due e due non stanno a nessuno, il film si giova di altre invenzioni: tipo gli inserti in cui Françoise Hardy, rigorosamente in bianco e nero, esibisce il proprio repertorio di canzoni italiane, ed è il momento sublime del contrappunto» (L. Pellizzari, “Cineforum” n. 10/440, dicembre 2004).

«Chi ha visto Dopo mezzanotte rimanendone suggestionato non dovrebbe lasciarsi sfuggire Se devo essere sincera… Non tanto perché il secondo valga il primo, quanto per lo stralunato corto circuito che divampa nelle insistite inquadrature di Ferrario sulla Mole Antonelliana, sui tetti di Torino, sulle vedute dall’alto di una città che il regista bergamasco ama come un figlio d’adozione. E anche le storie dei due film si incrociano e si rincorrono, due storie di triangoli isosceli di cui però non si intravedono mai i due lati uguali. È come se i resti (o gli extra o alcuni “fegatelli”) di Dopo mezzanotte si fossero allontanati nottetempo per rifugiarsi in un’altra zona del capoluogo piemontese e rientrare quindi sull’altro set, meno aggrovigliato intellettualmente, più di genere (un giallo spostato in commedia che si dimentica del giallo) e all’aria aperta, meno claustrofobico e cinefilo e più libero e personale (ci sono, infatti, molte delle maniere ferrariane e segni inequivocabili di autorialità: la prima inquadratura dal basso verso l’alto, la colonna sonora più francese della storia del cinema italiano, Françoise Hardy…)» (A. Fittante, “Film TV”, www.film.tv.it).
 

«Dopo l'originale Dopo mezzanotte, Davide Ferrario ritorna a Torino e a un romanzo ambientato nei viali sabaudi. L'aveva fatto con Tutti giù per terra, lo rifà con La collega tatuata di Margherita Oggero, un giallo scolastico-borghese ampiamente mutato nei risvolti narrativi e persino nella conclusione. Se devo essere sincera diviene l'ennesima rivisitazione della crisi della coppia, che trova uno sbocco grazie ad una (duplice) liaison à trois. […] Varietà di toni, di ritmi, di situazioni, di interpretazioni (decorosissime, però, forse influenzate dagli abituali modi recitativi di Luciana Litizzetto, Neri Marcoré torna al macchiettismo dei tempi della Gialappa's, dopo la bella prova con Avati) cercano d'imprimere un marchio al film. Se devo essere sincero, ho preferito il libro» (mar.mo., “Segnocinema” n. 135, settembre-ottobre 2005).
 
«Un modo diverso di sorridere, alla “nordica”, per l'uso discreto dell'umorismo, lievemente surreale e adatto allo stile di Luciana Litizzetto, qui professoressa torinese. Una collega è assassinata, il commissario (Marcoré) indaga e, come nell'intreccio della Donna della domenica di Fruttero e Lucentini (più Comencini) la corteggia. Altro cineriferimento, i dubbi del marito fredifrago [...] che vede scorrere sul Po la prova del tradimento (così come Manfredi in Adulterio all'italiana credeva di vedere la prova astutamente disseminata dalla moglie Spaak). Dal romanzo La collega tatuata di Margherita Oggero, un prototipo di cinema differente» (S. Silvestri, “il manifesto”, 23.10.2004).
 
«Luciana Littizzetto è un vulcano in piena attività. Ogni suo intervento, televisivo, teatrale, letterario è un esercizio di comicità dirompente e spiazzante. [...] Ora Luciana ci riprova con maggior impegno [...] non ha ceduto alla tentazione di mettersi alla prova come regista, si è invece rivolta a Davide Ferrario, reduce dai fasti di Dopo mezzanotte col quale aveva fatto una particina in Tutti giù per terra. Poi grande cura nella scelta del cast, da Neri Marcorè a Donatella Finocchiaro, sino a Dino Abbrescia, senza trascurare Fabio Cianchetti alla fotografia. [...] L'obiettivo dichiarato di Adeluciana non è però quello di lanciare messaggi, tantomeno di fare la morale. L'intenzione è quella di intrattenere, divertendo, lanciando frecciate in ogni direzione e forse, paradossalmente, il limite del film sta proprio in questo. Troppo esuberante la vis comica della Littizzetto per non intimidire gli altri personaggi costretti a subirne il fuoco di fila. Neri Marcorè commissario sembra avere ancora il Cuore altrove, Abbrescia funziona meglio come scuola guida per ragazze dell'Est. Nonostante l'impegno di tutti, alla fine si sorride, ma non in maniera diversa dagli spot o dalle apparizioni tv della vulcanica protagonista. (A. Catacchio, “il manifesto”, 6.11.2004).
 
Non sarebbe propriamente "nelle corde" di un regista come Davide Ferrario - per quando per lo meno ci ha fatto sinora conoscere delle sue corde: più inclini al "serio" che non al "leggero" - una commedia sofisticata come è questo Se devo essere sincera. Ma il risultato è elegante e inappuntabile, semmai a cercare il pelo nell'uovo più professionale che appassionato. Oltre alla storia imbastita con garbo e disinvoltura, e spunti originali, nell'ambito di parametri riconoscibili e consolidati [...] il valore aggiunto proviene da due cose. La prima quel rendere la città di Torino misteriosa e seducente come da Ferrario già fatto con successo in Dopo mezzanotte. La seconda una felice composizione del cast. Una Luciana Littizzetto, peraltro coautrice del film, che se non perde la verve di umorista e cabarettista televisiva e non, trova la sua prima occasione di esprimere un personaggio cinematografico a tutto tondo. Così Neri Marcoré, le cui origini artistiche sono per molti versi analoghe a quelle di Littizzetto, e al cui talento brillante il cinema non aveva forse ancor reso un servizio soddisfacente neanche sotto la direzione di Pupi Avati» (R. Nepoti, “la Repubblica, 15.10.2004).
 
«Un applauso a Davide Ferrario: accettando di dirigere un film “su commissione”, già scritto addosso a Luciana Littizetto, ha fatto quello che troppi nostri autori (?) schizzinosi si vietano per principio. Un applauso e una tirata d’orecchi perché dal regista di Dopo mezzanotte era lecito aspettarsi altro. Più inventiva nello sfruttare la comicità e la simpatia dei protagonisti. Più attenzione al respiro di quella che invece resta una storiellina. Più cattiveria, o più sentimento, o più movimento, mentre il film promette e non mantiene, o mantiene a metà. Questione di gusto, ovvero di buon gusto, che in una commedia può essere castrante. [...] Possibile che lo strambo triangolo fra la maestra Littizzetto, suo marito Abbrescia e il lunare ispettore Marcorè, sia così insipido e inoffensivo? E che l’uccisione della collega, su cui indaga Marcorè, resti meno che un pretesto?» (F. Ferzetti, “Il Messaggero, 9.10.2004).
 
«Marito raffreddato da anni di matrimonio o tenebroso commissario-enologo? Le scelte di cuore della professoressa Luciana Littizzetto si sciolgono all’ombra di un giallo pretestuoso il giusto (chi ha ucciso la bella, antipatica e ricca collega dell’insegnante?). Rimane un po’ bloccato invece l’umorismo dell’attrice e scrittrice torinese, qui in surplace nella nevrosi della velocità di dizione, quasi fosse ingrippata dalla sua stessa voglia di fare [...]. Tutto è insomma un po’ troppo survoltato, anche i numerosi cambi di set (che vanno da Torino e dintorni alle Langhe, sino a Nizza) e la morale in amore e per l’amore meglio mentire, sempre è puro buon senso travestito da spicciola originalità al peperoncino. Dal canto suo Davide Ferrario, che mentre girava questo film stava preparando il delizioso Dopo mezzanotte, mette la marcia da crociera e conduce in porto l’impresa con innegabile cura, limitandosi probabilmente a insaporire le scene di motivi e segni, come le canzoni e le immagini di una Françoise Hardy da stranguglioni» (M. Lastrucci, “Ciak”, Novembre 2004).

«II pretesto giallo che dà il via alla storia (e che nel libro rimane ben in evidenza) diviene nulla più che un sottotesto su cui far muovere e sproloquiare l'invadente protagonista, ancora una volta esem­pio cristallino di quanto possa risultare ingombrante - al cinema - la figura del caratterista prettamente televisivo [...] Per la prima volta impegnato a dirigere un lavoro "non suo", Ferrario ritrova a Torino (città che ormai lo ha adottato da tutti i punti di vista) lo sce­nario in cui far muovere i personaggi: meno magica del suo film precedente, al tempo stesso più aperta (privilegia­te le sequenze in esterni e, soprattutto, in campagna), la "città triste" accoglie questa insipida storiella senza troppo coinvolgimento, rimanendo quasi in disparte seppur chiamata a farsi ricono­scere: il solito passaggio sulla Mole di Antonelli o le escursioni vinicole delle Langhe non bastano a far dimenticare tutto il resto, sequela di dialoghi e situazioni mai accattivanti» (V. Sammarco, “Film” n. 72, novembre-dicembre 2004).




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