Altri titoli: Les camarades, The Organizer, The Strikers
Regia Mario Monicelli
Soggetto Age (Agenore Incrocci), (Furio) Scarpelli, Mario Monicelli
Sceneggiatura Age (Agenore Incrocci), (Furio) Scarpelli, Mario Monicelli
Fotografia Giuseppe Rotunno
Operatore Giuseppe Maccari
Musica originale Carlo Rustichelli
Suono Adriano Taloni
Montaggio Ruggero Mastroianni
Scenografia Mario Garbuglia
Arredamento Mario Garbuglia
Costumi Piero Tosi
Trucco Giuseppe Banchelli
Aiuto regia Renzo Marignano
Interpreti Marcello Mastroianni (professor Sinigaglia), Annie Girardot (Niobe), Renato Salvatori (Raul), Gabriella Giorgelli (Adele), Folco Lulli (Pautasso), Bernard Blier (Martinetti), Raffaella Carrà (Bianca), François Perier (maestro Di Meo), Vittorio Sanipoli (cavalier Baudet), Elvira Tonelli (Cesarina), Mario Pisu (ingegnere), Kenneth Kove (Luigi), Edda Ferronao (Maria), Anna Di Silvio (Gesummina), Giampiero Albertini (Porro)
Direttore di produzione Giorgio Adriani, Fausto Lupi
Ispettore di produzione Claudio Agostinelli
Produttore esecutivo Giorgio Adriani
Produzione Franco Cristaldi per Lux-Vides, Méditerranée Cinéma Production
Distribuzione Lux Film
Note
Girato in Vistavision; collaborazione a soggetto e sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico; aiuto operatore: Pino Di Biase; fotografo di scena: Franco Vitale; direttore d’orchestra: Pierluigi Urbini; microfonista: Umberto Bonelli; assistente al montaggio: Vanda Olasio; aiuto architetto: Ferdinando Giovannoni; aiuto costumista: Vera Marzot; parrucchiera: Iole Cecchini; assistenti alla regia: Ferdinando Morandi, Bata Stoyanovic; altri interpreti: Pippo Mosca (Omero), Antonio Di Silvio (Pietrino), Gino Manganello (zio Spartaco), Giuseppe Cadeo (Cenerone), Pippo Starnazza (Bergamasco), Giulio Borsetti, Edda Ferronao, Anna Di Silvio, Roberto Diamanti, Elvira Tonelli, Giampiero Albertini, Antonio Di Silvio, franco Ciolli, Bruno Scipioni, Anselmo Silvio, Pippo Stanazza, Sara Simoni, Anna Glori, Enzo Casini, Antonio Casamonica, Gino Manganello, Giuseppe Marchetti, Fred Borgognoni; segretaria di edizione: Graziolina Campori; segretario di produzione: Sandro Rocco; collaborazione alla produzione: Avala Film di Belgrado.
Locations: Torino (cortile in via Verdi: esterno della casa di Raul), Cuneo (portici, piazza Garimberti, mercato coperto), Savigliano (altri esterni), Fossano (esterno della fabbrica), Zagabria (interni della fabbrica).
Premi: Nastro d’Argento 1964 a Foco Lulli come Miglior Attore Non Protagonista; premio come Miglior Film al Festival Internazionale di Mar Del Plata.
Sinossi
Nella Torino di fine Ottocento gli operai di un’industria tessile dopo un incidente sul lavoro iniziano a prendere coscienza delle loro condizioni e chiedono una riduzione dell’orario di lavoro. La protesta fallisce, ma arriva da Genova un “agitatore” socialista, il professor Sinigaglia, che diventa la loro guida ideologica organizzando uno sciopero ad oltranza. L’arrivo di un treno carico di crumiri provoca accesi tafferugli nei quali perde la vita uno degli operai. Lo sciopero prosegue e la resistenza dei padroni vacilla, ma gli operai sono stremati e meditano di tornare al lavoro. L’intervento della polizia e dell’esercito sancisce il fallimento della rivolta. Gli operai ritornano in fabbrica sotto il peso della sconfitta, ma con nuove prospettive per il futuro.
Dichiarazioni
«L'idea di girare I compagni mi venne a Parigi, mentre attraversavo piazza della Bastiglia insieme al produttore Cristaldi, e riflettevo sul fatto che in quella piazza, in cui non restava alcuna traccia dell'antica fortezza, era cominciata una nuova fase storica perché un gruppo di disperati voleva ottenere il riconoscimento dei propri diritti, e fece una rivoluzione per ottenerlo. Di lì sono poi passato a chiedermi che cosa doveva essere uno sciopero alla fine dell'Ottocento, quando alcuni poveri operai privi di cultura, capacità, organizzazione, si mettevano in testa - ad esempio - di diminuire di un'ora il loro orario di lavoro. Volevo raccontare una storia del passato che mi è venuta come commedia, perché io vedo il mondo come commedia: la battaglia sindacale poteva essere rappresentata anche con toni divertenti, perché in ogni momento della vita di ogni comunità umana ci sono amori, scherzi, divertimenti, soprattutto se i protagonisti sono giovani. Ho spiegato la mia idea a Cristaldi, che già aveva fatto I soliti ignoti, e lui ha accettato. Allora ho radunato gli amici ed abbiamo cominciato il lavoro di studio, documentazione, ricerca delle foto, ecc. Benché / compagni fosse ambientato a Torino, fu quasi impossibile girare in città, perché non era rimasto nulla dell'aspetto urbano di fine Ottocento; così ho girato a Cuneo, Fossano, Zagabria, e in altri luoghi. Ricordo che quando venni a Torino nel '63 trovai una città molto caotica, sporca, fortemente degradata a causa della straordinaria immigrazione dal Meridione che allora era in corso. Oggi trovo la città molto migliorata, forse anche perché ormai gli immigrati meridionali sono bene integrati, e mi pare che la gente possa vivere in modo tranquillo e piacevole» (M. Monicelli, “Notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema” n. 68, 2001).
«L’idea era quella di fare una commedia con tanti personaggi, un film corale nel quale ci fosse ben presente l’elemento storico. Ci affascinava l’idea di essere i primi a raccontare una storia di operai e di scioperi, argomento che era stato sempre tabù in Italia. Ma, come ho detto altre volte, in Italia la società era a destra ma il cinema stava a sinistra e noi affrontammo il film come una sfida, una piacevole sfida. E come tutte le sfide, mettevamo nel conto che potesse andare male, e infatti il film non ha avuto il successo che speravamo e che meritava. Non è piaciuto ai borghesi perché parlava di scioperi, e agli operai politicizzati perché temevano che l’ironia con la quale raccontavamo la vicenda potesse gettarli nel ridicolo. Ma è stato il film per il quale abbiamo compiuto il massimo sforzo di ricerca. Alcuni nostri collaboratori sono partiti per Torino e sono stati lì per un mese, sono riusciti a rintracciare all’ospizio due vecchietti che avevano partecipato agli scioperi di inizio secolo, e la loro testimonianza è stata utilissima per ricostruire la vita quotidiana e anche alcune scene importanti: ad esempio, la sequenza nella quale gli operai in sciopero rubano il carbone dalla stazione ferroviaria proviene proprio da un loro racconto. Poi siamo andati nelle sedi del sindacato e abbiamo consultato le riviste operaie d’epoca, soprattutto le illustrazioni, e molte tracce di questo lavoro si possono ritrovare nelle scenografie e nei costumi» (M. Monicelli, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono (a cura), Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
«Naturalmente la mia città è Roma, ma Torino ha nella mia carriera un ruolo piuttosto strano. È un po’ come un ciclico avvicinamento, al quale fa seguito una lontananza più o meno lunga. Nell’immediato dopoguerra abitavo a Torino, nel quartiere San Donato, erano i tempi in cui la mia famiglia voleva vedermi calato in una tranquilla carriera come impiegato di concetto mentre io scalpitavo per fare l’attore. Fare l’attore significava stare a Roma e così tornai nella capitale, e non me ne sono pentito. Tornai varie volte in Piemonte, ma la prima importante è stata nel 1962, quando per Monicelli giravamo I compagni. Tutta la storia era ambientata a Torino, ma il film fu girato lì in minima parte. Era molto bello, ma inspiegabilmente andò molto male. Io credo però che una spiegazione ci fosse: fare umorismo sulle lotte operaie non piaceva a nessuno, non poteva piacere a nessuno. […] A Torino il film poi andò particolarmente male perché io e Lulli avevamo un dialogo che non fu preso molto bene. Io gli domandavo: “Che città è questa?” e lui rispondeva: “Una città di merda”… Tutte cose alle quali non ci si pensava, ma che furono poi decisive. Mi piacque però da morire il Piemonte profondo che scoprivo girando nei paesi in provincia di Cuneo, i bar, i portici che sembrava non fossero stati toccati dal tempo» (M. Mastroianni, ibidem.
I compagni giunge dopo il decennio più leggero e spensierato della commedia all’italiana, lontana dai problemi e dalle miserie della quotidianità del dopoguerra. In quegli anni Monicelli fa parte del ristretto gruppo di registi che attraversano una fase di ripensamento e di riconsiderazione delle forme classiche di quel genere di cui egli è uno dei padri storici. Il film appare così nella sua filmografia come una delle opere di maggior impegno, tesa alla rappresentazione viva e vera della realtà della classe operaia a cavallo tra Ottocento e Novecento, trovando in Torino un palcoscenico ideale. «Fra le città italiane, Torino», annota lo storico Valerio Castronovo, «era, all’alba del Novecento, quella più animata da ideali e fermenti di modernità. […] In breve tempo la capitale piemontese s’era trasformata da ex capitale decaduta del Regno d’Italia in un centro industriale di prim’ordine a livello europeo. Lo sviluppo industriale che aveva trasformato il capoluogo subalpino in un grande distretto industriale, vi aveva anche attirato una massa crescente di gente. […] Tra le masse operaie l’acquisizione di nuovi diritti di rappresentanza, il contatto con giornali e circoli politici, l’associazionismo sindacale e il maggior grado di istruzione, come pure la crisi di alcuni mestieri tradizionali e il mutamento di ruoli nel sistema di fabbrica, avevano aperto nuove prospettive» (V. Castronovo, Storia economica d'Italia: dall'Ottocento ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 1995).
Il desiderio di offrire attraverso il proprio film una rappresentazione autentica del proletariato torinese tra i due secoli spinge Monicelli a compiere diversi sopralluoghi tra Torino e provincia, alla ricerca di architetture e paesaggi soddisfacenti, dimostrando in ogni elemento scenografico una cura estrema e la capacità di saper cogliere con attenzione e finezza sorprendenti le peculiarità e le caratteristiche proprie di una realtà lontana nel tempo. Ma soprattutto Monicelli, che all’epoca del film aderisce al Partito Socialista, chiama a collaborare nel lavoro di ricerca e documentazione Alberto Cappellini, ex capo partigiano piemontese, grazie al quale viene introdotto nell’ambiente sindacale della Regione. Per dare una resa e un rilievo realistici al film, Monicelli decide di stipulare un patto con gli operai: la loro determinante presenza nel film in cambio di un contributo economico alla loro lotta. Tra le comparse utilizzate nella scena cruciale dello sciopero ci sono così gli operai che per l’occasione godono di due giorni di ferie concessi dagli industriali delle cartiere ICA, ma anche i lavoratori della fabbrica Stella che, in quegli stessi giorni, vivono duri momenti di vertenza sindacale.
Nel film sono riscontabili anche precisi riferimenti ad un libro di Paolo Spriano uscito pochi anni prima, Socialismo e classe operaia a Torino dal1892 al 1913: «la maggior parte degli scioperi dal 1895 al 1898 avviene a Torino nelle industrie tessili, sia per rivendicare l‘aumento del salario, sia per protesta contro le multe. Sono agitazioni improvvise, fiammate di ribellione che nella maggioranza dei casi non sortono risultati, e non si trasformano in una ristenda organizzata» (P. Spriano, Op. cit., Einaudi, Torino, 1958).
Con I compagni Monicelli dimostra una volta di più il proprio desiderio vivo e genuino di avvicinarsi alle vicende collettive, alle storie di gruppo, realizzando un film in qualche modo “corale”, cercando di cogliere in profondità le dinamiche interne a un insieme di persone e i rapporti che tra queste si istituiscono in una dimensione storico-sociale più ampia. Il contesto non è per Monicelli un mero sfondo, ma diventa il nucleo fondamentale, il fulcro centrale attorno a cui ruota il lavoro sui personaggi, essenzialmente dei perdenti (come in altri film di Monicelli, basti ricordare La grande guerra, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone), che tuttavia non accettano di continuare a essere esclusi dalla scena della Storia.
Secondo Maurizio Grande, una caratteristica peculiare delle commedie all’italiana – e in particolare quelle scritte da Age e Scarpelli – è il chiaroscuro, termine con cui «ci si riferisce sia alle diverse tonalità della commedia (il drammatico e il comico) e sia alla alternanza di prospettive adottate nella scrittura (la focalizzazione sull’individuo e la focalizzazione sul gruppo sociale)» (M. Grande, La commedia all’italiana, Bulzoni, Roma, 2003). Anche I compagni mostrano questo chiaroscuro nella modulazione dei momenti comici e di quelli tragici, nella composizione di un epos senza eroi, nell’individuazione delle sofferenze individuali all’interno di una classe sociale.
La cura profusa nel film emerge anche nella qualità espressiva delle interpretazioni, portata all’esplorazione a tutto campo della possibilità di far coesistere toni e livelli stilistici difformi come il drammatico e il satirico, in una dimensione di acutezza e finezza di spirito non comuni. La sensibilità di Monicelli trova come efficace contraltare quella di un giovane Marcello Mastroianni, che con la sua interpretazione regala alla città in cui trascorse anni importanti della propria esistenza un affettuoso e delicato tributo. «Qui», afferma Lino Miccichè, «mancando le prepotenti presenze di un Sordi e di un Gassman, poiché è protagonista del film il più controllabile e meno esuberante Marcello Mastroianni […], sono riscontrabili in misura assai più ridotta le accentuazioni farsesche, gli assolo fondati sulla battuta, le soluzioni narrative basate sull’ammiccamento e sulla smorfia. Mentre la necessità di costruire in qualche modo un racconto, invece che un sia pure elaborato quadro d’ambiente quale era La grande guerra, favorisce una più autentica dialettica tra fatti e personaggi anche minori» (L. Miccichè, Il cinema italiano degli anni ’60, Marsilio, Venezia, 1975).
Come già ricordato da Monicelli, il film suscitò molte polemiche alla sua uscita: «l’atmosfera particolarmente calda di quei primi anni sessanta (i fatti del giugno-luglio 1960 a Genova, gli scioperi alla Fiat del 1962, l’”apertura a sinistra” del 1963; senza contare che lo stesso film era stato presentato in anteprima proprio al 35° congresso del partito socialista) rendeva sicuramente arduo ogni tentativo di distanziazione critica dal film, di una lettura più lucida e distaccata» (M. Coletti, in L. De Franceschi (a cura), Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, Marsilio, Venezia, 2001).
Anche alla presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia e alla sua uscita nelle sale, il film risultò un insuccesso di pubblico e di critica (anche se conquistò le nomination all’Oscar per il soggetto e la sceneggiatura). Ma a distanza di anni la scarsa attenzione al film appare l’effetto di un’Italia assorbita dall’ottimismo spensierato del boom economico e sicuramente non sminuisce il valore di un’opera che resiste talmente bene alla prova del tempo da essere considerata dal suo autore come un punto di arrivo.
I compagni, come già detto, è ambientato a Torino, ma in questa città sono state girate soltanto poche inquadrature (il cortile di una casa in via Verdi); la maggior parte delle riprese sono invece state effettuate a Cuneo e Savigliano. Gli esterni della fabbrica sono a Fossano; gli interni in uno stabilimento di Zagabria.
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