Nulla Osta n. 10.736 del 27.11.1915
Film restaurato nel 2005 dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla Cineteca del Comune di Bologna.
«Il film rappresenta efficacemente le catastrofi provocate dal panico di cui è vittima Cretinetti. La macchina da presa è a volte animata da leggere panoramiche e il film presenta numerosi piani ravvicinati e qualche primo piano del protagonista. Segno dell’evolversi dello stile, il racconto è più sorvegliato e contiene pochissimi sguardi in macchina, che invece infioravano i film del periodo precedente nei quali Cretinetti prendeva sistematicamente lo spettatore a testimone delle sue stravaganze, delle sue disgrazie e delle sue sciocchezze» (J. A. Gili, André Deed, Cineteca di Bologna/Le Mani, Bologna/Recco, 2005).
«[…] l’omaggio di Cretinetti all’impegno italiano in guerra confonde la risata con il grido di terrore. [Ne] La paura degli aeromobili nemici (1915) [assistiamo al] sistematico abbattimento di specchi, stanze da letto e soprammobili; ma perché distruggere per paura? Il corteo nuziale che apre il film è subito turbato dall’imminenza del bombardamento, la sposa teme che la propria felicità salti in aria sotto l’urto degli Zeppelin. Uno sguardo a un avviso murale, e la gioia di Cretinetti e dei convitati trascolora nell’angoscia: i velivoli della parte avversa potrebbero ridurre la città in macerie, bisogna correre ai ripari. Sacchi di sabbia in tutte le stanze, bacili d’acqua per fronteggiare i possibili incendi, l’orecchio sempre teso a cogliere il lamento delle sirene d’allarme. La casa del signor Deed sarà ugualmente distrutta, ma senza l’intervento dell’aviazione. Cretinetti è condotto a viva forza a compiere il proprio dovere di militare. Dietro di sé lo sposo lascia moglie e commensali sommersi dalle macerie, alla disperata ricerca di un aiuto che non verrà. Nel finale, quando i gendarmi rinchiudono André Chapais in un barile, si nota sullo sfondo una figura fradicia d’acqua, lacera, che implora pietà. Nessuno accorrerà a salvarla. Così finiscono gli amici di Cretinetti; così, nella realtà, naufraga il cinema italiano: per paura. Paura di aggiornare modelli realizzativi da tempo superati, paura della competizione fra le grandi compagnie, paura che le piccole disturbino la formazione di un oligopolio; paura infine, di chi non pretende che la routine sia produzione d’arte» (P. Cherchi Usai, Giovanni Pastrone, La Nuova Italia, Firenze, 1985).