Regia Roberto Savarese, Maria Teresa Ricci
Soggetto da una fiaba di Luciana Peverelli
Sceneggiatura Luciana Peverelli, Roberto Savarese, Maria Teresa Ricci
Fotografia Ugo Lombardi
Musica originale Ezio Carabella
Suono Mondino e Mario Amari
Montaggio Ines Donarelli
Scenografia Luigi Ricci
Arredamento Luigi Ricci
Costumi Riccardo Leone Silveri
Aiuto regia Ines Donarelli
Interpreti Irasema Dilian (Elisabetta), Antonio Centa (principe Goffredo Ardesiani), Maria Melato (Margot), Olga Solbelli (Clotilde), Annibale Betrone (nonno di Goffredo), Jone Frigerio (madre di Goffredo), Carlo Lombardi (Carlo), Gina Sammarco (cantante lirica), Emilio Petacci (Giovani, il maggiordomo), Lina Tartara Minora (Francisca, domestica della cantante), Nicola Maldacea (cantante Tonti), Liana Del Balzo, Lydia Johnson, Alda Adari (amiche della cantante), Gioia Collei (Mirka)
Direttore di produzione Vittorio Glori
Ispettore di produzione Giovanni Laterza
Produzione Fono Roma
Distribuzione Artisti Associati
Note Nulla Osta n. 31.691 del 19.8.1942; 2.032 metri.
Direttore d’orchestra: Alberto Paletti; altri interpreti: Annette Ciarli (domestica dell’orfanotrofio), Lellina Roveri (orfana), Alda Grimaldi (ragazza al ballo), Giuseppe Zago (notaio); doppiatori: Lola Braccini (Jone Frigerio), Gualtiero De Angelis (Carlo Lombardi), Rina Morelli (Gina Sammarco), Giovanna Scotto (Maria Melato); segretario di produzione: Mario Canonica; prima proiezione pubblica: 11.8.1942.
Le riprese in interni sono state realizzate negli studi FERT di Torino.
Sinossi
Elisabetta è una ragazza giovane, allegra e soprattutto una grande sognatrice: cresciuta in orfanotrofio, continua a credere alle favole ed è fermamente convinta che nel suo destino vi sia il matrimonio con un principe. Un giorno incontra realmente un principe e se ne innamora, ricambiata. Come in tutte le favole, però, la famiglia del ragazzo si oppone al matrimonio con Elisabetta che è povera e, per giunta, senza famiglia. Dopo un incidente che mette in pericolo la vita della ragazza i due si sposano segretamente. La ragazza è accolta con freddezza dai “principeschi” suoceri, ma, grazie al suo carattere dolce e gentile, riuscirà a farsi accogliere nella nuova famiglia.
«“I bambini non devono sapere che le favole non sono vere” – dice verso la fine del film la “principessa del sogno”. Ma se le favole (le narrazioni, le fantasie, le fiabe) dovessero essere tutte così meschine e false come la vicenda di questo film tratto da un soggetto originale di Luciana Peverelli, anche i bambini sarebbero da tutti noi autorizzati a compiere il più assoluto boicottaggio di qualsiasi racconto scritto, letto o filmato. La convenzionale impalcatura del soggetto è basata sul non mai abbastanza logoro motivo delle differenze di classe: lei povera e umile, lui ricco e principe. E la finale non può essere che la scena patetica del saluto della Melato alla Dilian che sale sul cavallo col principe e con lui parte: “e vissero felici e contenti...”. Ma questa pseudo-favola filmata (da raccomandare alle “giovanette” borghesi che per consiglio di mamma devono leggere solo i romanzi cosiddetti “rosa”) nella verosimiglianza della fotografia – che è piattezza banale irrimediabile – oltre che perdere ogni possibilità di sottile fantasia, irretisce gli attori, la interpretazione dei provenienti dalla scuola del teatro è o patetica o retorica; quella dei giovani, fatta nel cinema, è statica e più che mai principiante. Dalla Dilian in giù (per età) c’è una gradazione di bambine imbeccate che recitano la lezioncina. Centa corre molto “bene”. (Vorrei consigliare inoltre agli operatori che fotografano Irasema di riprenderla più spesso di profilo e di non appiattirle il viso nella ripresa frontale)» (Vice, “Cinema”, n. 149, 10.9.1942).
«Il film [...] è profondamente compromesso da un potente squilibrio tra gli elementi fiabeschi e quelli realistici. E innegabilmente la parte più persuasiva è quella che fa pensare a un romanzo d\'appendice piuttosto che a una poetica favola. Irasema Dilian, che pare non sappia staccarsi da vicende legate a collegi e orfanotrofi, rende la parte con convenzionale candore e manierata ingenuità» (S. De Feo, “Il Messaggero”, 8.9.1942).
«Naufraga, questa fiaba cinematografica tratta da un racconto di Luciana Peverelli, in un oceano di glucosio. La principessa del sogno, senza averne la poesia e la grazia, ha il lezio e l’affettazione delle storielle infantili» (Vice, “Corriere della Sera”, 5.9.1942).
«Roberto Savarese e Maria Teresa Ricci, in coppia, dirigono La principessa del sogno: la delicatezza del soggetto, infatti, richiedeva, oltre alla competenza tecnica e al gusto di Savarese, una sensibilità femminile; e l’esperimento di questa coppia di registi si annunzia ottimo sotto tutti gli aspetti. [...] Salutiamo dunque con letizia questo film che ci porta un’ingenua trama d’amore, riaccostandoci a quella purezza e semplicità di sentimenti, che purtroppo la vita ci ha fatto perdere, e che ci ritorna alla memoria, a volte, dandoci un nostalgico accoramento» (F., “Film”, 25.4.1942).
Scheda a cura di Franco Prono
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