Nulla Osta n. 31.183 del 28.12.40; 2.090 metri.
Assistente operatore: Franco Vitrotti; altri interpreti: Giulio Battiferri (capo dei creditori), Nino Marchetti (impiegato del negozio), Ciro Berardi (proprietario del caffè), Amleto Filippi (secondo medico), Nino Marchesini (cliente del negozio), Livia Minelli (cliente), Emilio Brunetta (benzinaio). Wanda Osiris è accreditata con il suo vero nome, Vanda Osiri.
Le riprese in interni sono state realizzate negli stabilimenti Safa Palatino (Roma), quelle in esterni in Piemonte.
Cavalcando la formula vincente di Lo vedi come sei?, «nel ’40 Mario Mattoli diresse Macario nel film Non me lo dire!, anch’esso battezzato con un altro dei tipici intercalari con cui, con voce stupefatta e cantilenante, l’attore era solito rivolgersi sul palcoscenico alla spalla Carlo Rizzo: inutile dire che anche questo diventò ben presto un vero e proprio tormentone che passava di bocca in bocca. Del resto Macario era pur sempre Macario. Il film, questa volta girato negli studi torinesi della Fert, gli offriva tra l’altro l’occasione per lavorare vicino a Giulia (detta affettuosamente Lia) che amava con profondo e autentico sentimento, ancor più accentuato, se possibile, dalla continua lontananza dalla propria città, nella quale l’affascinante studentessa viveva invece con i genitori» (M. Ternavasio, Macario, Lindau, Torino, 1998).
Con Non me lo dire! Macario torna a uno di «soggetti che a noi sembrano più confacenti alla sua vena comica: quelli, cioè, dove egli è semplicemente lui, col quel suo modo di entrare e uscire ogni momento dall’argomento, dalla vicenda, che gli è caratteristico anche sul palcoscenico e che è una delle sue particolarità più simpatiche, per quella apertura, per quella bonaria semplicità che crea. […] La trama, d’altronde, non è che un pretesto per infilare trovate e trovatine, alcune delle quali sono davvero felici; altre lo sono più nella ideazione che nella esecuzione, causa la non perfetta scelta del “tempo”. Comunque, il film è piacevole, movimentato anche se ricorda un poco nell’andatura qualche modello d’oltreoceano. Macario è lui, cioè spassoso come ben lo conoscete, gli altri bene lo assecondano» (A. Ceretto, “Gazzetta del Popolo”, 2.1.1941).
«Sì, questo ultimo film indubbiamente il migliore di quelli che Macario ci ha dato fino ad ora; il migliore perché, ci sia consentito il bisticcio, l’inorganicità e l’alogicità del suo umorismo, hanno trovato, senza alterazione alcuna, una organicità di composizione ed una logicità di spettacolo. […] Mattoli ha dato veramente alla cinematografia italiana un bel film e un film […]. Al regista va la nostra lode completa, per la sua guida, per il suo saper dosare, soprattutto per la chiara testimonianza che ci dà di aver saputo perfettamente capire Macario e il “macarismo” e le possibilità e i limiti entro i quali tale “materia” può venire somministrata al pubblico» (G. Isani, “Cnema”, 10.1.1941).
«Se con Non me lo dire! intendevate realizzare una divertente scena comica senza pretese, vi siete riusciti in pieno. Come scena comica, Non me lo dire! è esilarante. Lo sarebbero altrettanto quelle di Ridolini se ad un produttore venisse in mente di “rigirarle” con quella generosa larghezza di mezzi, quella modernità di tecnica e quella sveltezza di regia usate per questa di Macario. Se invece il vostro assunto era di realizzare un film (dico ”film” e non “scena”) comico originale, nuovo nelle sue trovate, moderno nel suo meccanismo umoristico, allora sono costretto a dirvi che non mi sembra siate riusciti in pieno» (“Film”, 4.1.1941).
A fare da valore aggiunto è la città di Torino: una «Torino così esibita (dal castello di Stupinigi a piazza San Carlo) non s’era mai vista. Serve a sottolineare il rientro di Macario nella dimensione dialettale, mentre le gag sono nuovamente costruite sul meccanismo dell’assurdo. A parte un tardivo e poco riuscito ritorno nel dopoguerra, Non me lo dire! Conclude la collaborazione tra Mattoli e Macario, avvenuta sotto il segno di un’apertura del cinema comico verso orizzonti nuovi. Il regista esalta in Macario, come più tardi in Totò, gli aspetti più onirici e surreali, proponendo una formula a siparietto (ambiente unico, molte cineprese per coprire tutte le possibilità che una scena può fornire, stop ritardato il più possibile per sfruttare a fondo la verve dell’attore) che farà scuola e giungerà praticamente intatta sino alle prove migliori dei nuovi comici anni ’80» (S. Della Casa, Mario Mattoli, La Nuova Italia, Firenze, 1989).