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Lungometraggi |
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La sonnambula
Italia, 1942, 35mm, 88', B/N
Regia Piero Ballerini
Soggetto Carlo Salsa, Domenico Valinotti
Sceneggiatura Piero Ballerini, Carlo Salsa, Domenico Valinotti
Fotografia Antonio Marzari
Musiche di repertorio Vincenzo Bellini
Montaggio Max Calandri, Piero Ballerini
Scenografia Guglielmo Borzone
Arredamento Carlo Malatesta
Costumi Guglielmo Borzone
Interpreti Roberto Villa (Vincenzo Bellini), Germana Paolieri (Giuditta Turina), Luisella Beghi (Ornella d'Engelsbourg), Osvaldo Valenti (Osvaldo Merola), Loris Gizzi (Gioacchino Rossini), Anita Farra (Giuditta Pasta), Umberto Mozzato (Gaspare Merola), Carlo Tamberlani, Loredana, Felice Minotti, Giacomo Osella, Giuseppe Zago, Angelo Alessi, Ernesto Conte, Dina De Rossi, Desiderata Ferrero
Produttore esecutivo Max Calandri
Produzione Dora Film
Note Nulla Osta n. 31.509 del 13.1.1942; 2.527 metri.
Adattamento delle musiche di Vincenzo Bellini: Nino Piccinella.
Il film fu girato, almeno in parte, nel nuovo teatro di posa della ICI FERT alla Pellerina (costruito, in via provvisoria, sopra due campi da tennis).
Sinossi
Il famoso compositore Vincenzo Bellini, convalescente da una grave malattia, soggiorna nei dintorni di Como. Qui incontra una ragazza che abita nella villa vicina: tra il maturo musicista e la ragazza nasce una storia d’amore, ma la giovane è già fidanzata, senza esserne innamorata, con un suo cugino. Questa situazione sentimentale, aggravata anche dal ferimento del musicista in un duello, fa ammalare la ragazza che si reca a Torino, dove incontra nuovamente Bellini. La giovane viene fatta allontanare dalla famiglia e la sua salute peggiora. In uno stato di depressione, diviene sonnambula e una notte cade nelle acque del lago di Como. Ritrovata ancora in vita, muore tra le braccia di Bellini, giunto da Torino. Da questo avvenimento il compositore trae l’ispirazione per la stesura de La Sonnambula.
Il critico del quotidiano “La Stampa”, Mario Gromo, dimostra di apprezzare questo film anche per il fatto che esso testimonia il tentativo di ridare slancio all’attività produttiva cittadina in un momento storico difficile. «Si tornerà a lavorare a Torino? Forse si ricomincia. Pare di sì. Pare di no. E così via. Chi non ricorda le alternative che la cosiddetta “ripresa” degli studi torinesi dovette subire? Poi, un giorno, le cose cominciarono a camminare. Anche se non tutti di prima grandezza, i film, finalmente si facevano. Ben presto gli studi furono impegnati quasi ininterrottamente; tanto che si credette di dover accaparrare, come capannone studio di riserva e di fortuna, anche il solo tennis coperto esistente nella nostra città. Così il rosso battuto scomparve sotto i tavolati, docili a diventare in quattro e quattr’otto splendenti pavimenti di marmo; e i tonfi dei “diritti” e dei “rovesci” furono sostituiti da quelli del ciac. Usato dapprima per qualche sequenza di non molta importanza, il capannone, per l’infittirsi delle richieste, doveva presto affermarsi come aspirante... a studio: unico inconveniente, il suo freddo siberiano. Il film La sonnambula è stato quasi interamente girato là dentro. Chi l’ha veduto avrà forse trovato le sue osservazioni da fare per quel che è dialogo, regia, attori; ma non certo per quel che è ambiente, quadro , illuminazione. Anzi, raramente in un nostro film si videro tentativi così frequenti e spesso felici per creare un’atmosfera; non per nulla questi tentativi furono amorosamente curati anche da un pittore, il Valinotti. Che significa tutto ciò? Semplicemente questo: che le attrezzature complesse e aggiornatissime sono le benvenute quando ci sono; altrimenti basta un po’ di buona volontà e qualche piccolo sacrificio per sostituirle almeno in parte» (M. Gromo, La sonnambula al tennis, “La Stampa”, 5.2.1942).
«Un episodio, discretamente fantastico e abbastanza romanzato, della vita di Vincenzo Bellini nel periodo, in parte vissuto a Moltrasio, che va dalla creazione de La straniera (1829) quella della Sonnambula (1831); ed è dare un nuovo stimolo all’estro del catanese e a fargli comporre il primo dei suoi tre capolavori, La Sonnambula, la Norma, i Puritani. Non è certo questo un procedimento inedito nell’immaginare per lo schermo una pagina più o meno biografica di un grande musico. La regola del genere vuole che la nuova e più alta creazione nasca dal dolore; e quale più benefico per l’arte, come almeno l’immaginano i soggettisti, di uno sfortunato amore? Così la piccola Ornella D’Olancourt [sic!], innamoratasi giovanissima di Bellini e da lui teneramente riamata, non volendo cedere a un matrimonio di convenienza che i parenti vorrebbero imporle si ammala, intristisce, diventa isterica, persino sonnambula; soccomberà in seguito a una crisi più lancinante delle altre. Non sarà difficile trarne le conseguenze, per l’estro del biondo, efebico compositore. Il film ha il merito di non imporre brani e brani musicali incastrati volenti o nolenti nella trama del racconto, come per l’appunto in un film del genere; ha inoltre il merito di sfiorare un tema non facile, quello di un triste periodo nella vita di un compositore nel quale egli si sente sfiduciato, stanco, finito; ma lo sfiora soltanto. Inscenato con cura negli Studi torinesi, con parecchi pittoreschi esterni, con una lentezza di ritmo un po’ insistente, ha interpreti attenti e volenterosi, dal Villa alla Paolieri, dal Mozzato al Valenti e al Tamberlani, anche se la grazia serena di Luisella Beghi, qui resa da questa fotografia addirittura paffuta, non era fisicamente la più adatta a impersonare la figlia di un di un’Ornella nevropatica e isterica. Il commento musicale è di pagine belliniane liberamente “elaborate” come dice una didascalia» (M. Gromo, “La Stampa”, 31.1.1942).
Guido Piovene apprezza soprattutto le qualità formali de La sonnambula. «Il bel paesaggio del lago di Como, che si accompagna alla vicenda e si fonde con essa, forse è la parte migliore di questo film: graziosa serie di stampe dell’Ottocento, collezione garbata di fogli di calendario, fatti passare a suon di musica, e di una musica geniale: dicendo questo, con i pregi del film, s’è detto anche il suo difetto: quello di andare a sbalzi, a visioni staccate, a scapito della fusione e quindi dell’emozione» (G. Piovene, “Corriere della Sera”, 28.2.1942).
Meno positivi appaiono invece altre rcensioni: «Con grande lusso di costumi e di interni squisitamente pittoreschi, Piero Ballerini ha realizzato un film che appaga soprattutto gli occhi. La sostanza è invece troppo dolciastra, tanto che chi volesse fare dello spirito potrebbe rimpiangere che anche per lo zucchero non vi sia stato il razionamento. [...] L’interpretazione è corretta da parte dei due protagonisti Luisella Berghi e Roberto Villa che cercano di supplire colla loro buona volontà alla poca aderenza del loro aspetto a quello che dovrebbe essere l’aspetto del giovane musicista appassionato e della fanciulla ardente e malaticcia» (G. Setti, “Il Lavoro”, 25.3.1942).
Scheda a cura di Valeria Borello
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