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Lungometraggi |
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Il bivio
Italia, 1951, 35mm, 88', B/N
Altri titoli: Brigades volantes
Regia Fernando Cerchio
Soggetto Leo Benvenuti, Marcello Giannini, Giuseppe Mangione
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Aldo Bizzarri, Fernando Cerchio, Giuseppe Mangione, Calogero Marrocu, Corrado Pavolini
Fotografia Renato Del Frate
Operatore Cesare Allione
Musica originale Carlo Rustichelli
Suono Mario Amari, Giovanni Canavero
Montaggio Rolando Benedetti
Scenografia Luigi Ricci
Arredamento Luigi Ricci
Trucco Libero Politi
Aiuto regia Leo Benvenuti, Stefano Strucchi
Interpreti Raf Vallone (Aldo Marchi), Charles Vanel (commissario Lubiani), Claudine Dupuis (Giovanna), Saro Urzì (brigadiere Carlin), Carlo Sposito (vice commissario Sani), Mimmo Billi (vice commissario), Gianni Rizzo (Beppe detto il Curato), Saro Arcidiacono (Bergomi), Evaristo Maran (Mario detto il Bello), Francesco Navarra (l’americano), Piero Pastore (De Vecchi), Pierangelo Attino (Gino), Natale Cirino (Aldrighi), Franco Balducci, Alberto Collo
Ispettore di produzione Antonio Buzzola
Produzione Luigi Rovere per Rovere Film, Epica Film
Note Assistenti regista: Secondo Maronetto, Stefano Strucchi; assistente operatore: Giuseppe Comori; direttore d’orchestra: Ugo Giacomozzi; assistente scenografo: Italo Gilardi; direttore di produzione: Rosario Capaci; assistente di produzione: Maggiorino Canonica; segretario di produzione: Ermanno Pavarino; segretari di edizione: Christian De Vita, Vittorio Guidi; distribuzione in Italia: regionale. Registro Cinematografico n. 904; incasso: 160.823.000 lire.
Sinossi
Aldo Marchi, già decorato durante la guerra e poi diventato criminale a capo di una pericolosa banda di ladri, riesce ad entrare nella squadra mobile della polizia di Torino col fine di dirigere in modo sicuro le rapine dei compagni. Ma via via, di fronte agli innocenti arrestati e alla morte di un collega nel corso di un colpo da lui organizzato, sotto le contestazioni del suo superiore entra in crisi e decide di ravvedersi, consegnando la sua “gang” alla polizia e morendo nel conflitto.
Dichiarazioni
«I miei primi lavori dietro la macchina da presa li ho fatti come assistente operatore di Piero Portalupi, un genovese, per i documentari sul Salone dell'Automobile, una volta si cominciava sempre coi documentari. Poi ho cominciato a lavorare con Venturini, con cui ho fatto, ad esempio, tutti i film tratti da Salgari. Avevo già lavorato per lui nel Bivio di Fernando Cerchio, un grande regista torinese, dove ero microfonista e operatore della seconda macchina. Venturini l'ho reincontrato nel 1952, verso maggio o giugno, quando stava girando Il figlio di Lagardère ed arriva alla FERT, perché aveva fatto un contratto con Michele Fiorio, uno dei proprietari della società, che prevedeva una serie di film da girare a Torino. Arriva accompagnato da tutti i suoi collaboratori e noi lavoriamo insieme per quasi cinque anni, l'ultimo film è stato La vedova X, un po' un insuccesso» (A. Gasperini, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla FERT (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
Il bivio rappresenta un’opera curiosa e originale in cui sono evidenti le ispirazioni al noir americano e l’intenzione di trasportarlo con rigore e coerenza nel contesto italiano del dopoguerra, amalgamando gli elementi di importazione con le atmosfere e la denuncia sociale del cinema neorealista.
Si tratta del primo film prodotto da Luigi Rovere dopo la separazione da Dino De Laurentiis, con il quale aveva fondato la casa di produzione RDL (Rovere-De Laurentiis). Il budget - dì 97 milioni – è per l’epoca uno sforzo economico notevole. Più del 30% di questa somma è fornito dalla Francia, sia con denaro, sia con i contratti di due attori: il grande Charles Vanel (già utilizzato da Rovere in In nome della legge, nel ruolo del capo mafioso) che interpreta la parte del commissario capo, e Claudine Dupuis, un'attrice molto carina ma poco nota. Ormai notissimo – dopo l’nterpretazione di Riso amaro - è invece l’attore protagonista, Raf Vallone.
«Rovere inizia un'attività produttiva letteralmente vorticosa, con quattro o cinque film all’anno tra Torino e il resto d'Italia; ne affida uno, Il bivio, a Fernando Cerchio il quale ha finora fatto pochi lungometraggi e non è ancora un nome noto presso il grande pubblico. Dai documenti personali di Rovere risulta che Il bivio parte con un budget di 97 milioni, che nel 1950 sono uno sforzo economico e finanziario notevole. Più del 30% di questa somma è fornita dalla Francia, sia con denaro, sia con i contratti di due attori: il grande Charles Vanel (già utilizzato da Rovere nel In nome della legge, con il ruolo del capo mafioso) che interpreta la parte del commissario capo, e Claudine Dupuis, un'attrice molto carlina ma poco nota. Ormai notissimo, invece, è l'attore protagonista, Raf Vallone, "esploso" con Riso amaro, che è un personaggio importante della vita culturale e sportiva torinese: giornalista de “l’Unità”, giocatore del!a squadra di calcio del Torino, attore teatrale dotato di grande cultura e intelligenza. Vallone inizia a girare Il bivio mentre sta finendo Il cammino della speranza (1950) di Germi, sempre per Rovere. […] La lavorazione de Il bivio inizia a metà del 1950 con una previsione di undici settimane di riprese. Si tratta di un progetto ambizioso, visto che a quel tempo la maggior parte dei film in Italia viene fatta in tre-quattro settimane. Rovere mette nelle mani di Cerchio tutto ciò che è necessario, e Cerchio risponde con un film di straordinaria compattezza e di grande splendore figurativo, con un finale bellissimo in collina: il cielo livido, le vie della vecchia Torino... Il bivio si inserisce nel filone dei noir torinesi dopo II bandito di Lattuada e prima di Avanzi di galera di Cottafavi. Penso soprattutto all'episodio di questo film che ha per protagonista Eddie Constantine: sono venti minuti straordinari, quasi totalmente muti, segnati solamente da un suono di tamburi. Come Venturini, anche Rovere va incontro al fallimento perché commette un errore che un produttore non dovrebbe mai fare: non contento di lavorare con la Lux e di avere tutti gli appoggi da Gualino, compra una casa di distribuzione, la Film Cine, nata sulla ACI Europa Film di Vittorio Mussolini, per distribuire da solo i suoi film. Ma non valuta bene la situazione, non si accorge che centinaia di milioni di cambiali non appaiono sui libri contabili e sui bilanci. Per non mandare a monte le produzioni in corso di lavorazione, Rovere paga di tasca propria tutti i debiti, dando fondo a tutto il patrimonio. Così ll bivio (come pure Napoleone (1951) di Borghesio con Renato Rascel), che dovrebbe essere distribuito dalla Film Cine, risente di questo disastro tecnico, organizzativo e commerciale. Pertanto si può dire che i primi lungometraggi di Cerchio sono opere realizzate con competenza, sensibilità e raffinatezza, ma per diversi motivi sono stati molto sfortunati dal punto di vista commerciale» (L. Ventavoli, “Mondo Niovo 18-24 ft/s” n. 2, 2006).
Il film si avvale di un ottimo lavoro di sceneggiatura a più mani, di una raffinata fotografia e complesse scenografie, in cui si può riscontrare un utilizzo sapiente di luoghi tipici della Torino del dopoguerra (gli interni, le scale e i cortili delle case del vecchio centro storico). Ma risultano determinanti le intense interpretazioni, con Raf Vallone, fresca e potente rivelazione grazie a Riso amaro, affiancato dalla presenza marcata di Charles Vanel, il quale interpreta il ruolo del Commissario di Polizia. Costui riassume l’intento sociologico di smascheramento delle ipocrisie quando dissuade il protagonista dal denunciare la corruzione, perché ciò provocherebbe la perdita di fiducia nelle istituzioni. Proprio per la presenza di elementi ritenuti provocatori e polemici, il film risulta uno dei titoli più colpiti dalla censura dell’epoca, sia in fase di sceneggiatura sia durante la distribuzione e finisce per non ottenere l’attenzione meritata.
« [Nel 1951] Cerchio gira alla Fert // bivio, uno dei suoi film più significativi, un noir neorealista che è senza dubbio uno dei lavori più personali e apprezzati di tutta la carriera del regista, e segna forse un cambiamento di direzione nella propria attività professionale. II protagonista del film, ex combattente partigiano, diventa capo di una banda di ladri, poi s'infiltra nella polizia e organizza dall'interno del commissariato i suoi colpi. La critica alla corruzione latente che, nel dopoguerra, fa irruzione in tutte le istituzioni, tra le quali la Polizia, non viene ammessa, per cui sono "tagliate" le scene più scomode: il film perde 24 minuti di pellicola (112' era la durata iniziale, 88' quella proposta al pubblico) e questo intervento censorio segna sensibilmente le prospettive di lavoro di Cerchio. Forse intenzionato a riscattarsi da un passato troppo legato al fascismo, in questo film Cerchio tenta di affrontare un tema di impegno civile, ma le sue velleità sono stroncate sul nascere e così abbandona, almeno nel campo dei film a soggetto, qualsiasi forma di cinema di denuncio, scegliendo la strada dei generi popolari, "di serie B"» (N. Heys Cerchio, “Mondo Niovo 18-24 ft/s” n. 2, 2006).
I critici dell’epoca sembrano non cogliere gli elementi nuovi e provocatori: «Cerchio ama le situazioni violente e le trame a colpi di scena. Abbondano le une e le altre in questo film […] in cui i personaggi […] agiscono in base a sentimenti grossolani e posseggono una psicologia appena accennata» (Vice, “Cinema”, 15.8.1952). E inoltre: «Non sarebbe difficile produrre, dirigere e interpretare un film “poliziesco” in Italia, se non si tentasse in continuazione di scimmiottare gli americani e soprattutto se sceneggiatori e dialoghisti avessero maggior senso narrativo. Comunque Il bivio dimostra da parte del regista una buona padronanza del mestiere, anche se Raf Vallone, con tutta la sua buona volontà, non è Burt Lancaster e quando piglia uno per il collo, chissà perché, non convince lo spettatore» (F. Gabella, “Intermezzo”, 13.7-15.8.1952).
«[…] ci si può spingere ad affermare che il copione di cui disponeva non ha reso a Cerchio quel che si dice un buon servizio. Sarà un’impressione magari fallace, ma mi sa tanto che con una materia di quel genere tra le mani, cerchio poteva forse mettere insieme un pregevole album di fumetti, ma non certo un film […] Non fosse per il vano impegno moralistico che lo rende più uggioso di quanto forse non sarebbe stato, il film è sul piano della media produzione poliziesca americana: un poco meno abile, un poco più lento, ma grosso modo il piano è quello» (g.c., “La Gazzetta del Popolo”, 3.5.1951).
Scheda a cura di Isadora Pei
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