Nulla Osta n. 4.331 del 1.7.1948; 2.451 metri.
Incasso: 303.000.000 lire.
L’eroe della strada è il secondo episodio di una trilogia inaugurata con Come persi la guerra (1947) e conclusa con Come scopersi l'America (1950), tutti e tre diretti da Carlo Borghesio e tutti e tre girati a Torino. Al film precedente lo lega una simile struttura narrativa a episodi e un protagonista ignaro e sprovveduto. «La formula di Come persi la guerra si trova nell’altro film di Macario diretto da Borghesio L’eroe della strada. Macario, tornato in abiti civili, è perennemente disoccupato, candido e tapino come era in panni militari. Tutta l’attualità della cronaca nera (contrabbando, furto, truffa) e della cronaca politica (votazioni, scioperi, contrasti sociali) rigurgita nella pellicola, che ha il tono mordace della rivista e che bonariamente sorride. Motivi d’allegria piuttosto facili e smorfie grottesche: ma il fondo è amaro. Brutti tempi, se per metterci di buon umore dobbiamo frugare nella cesta dei panni sporchi» (A. Lanocita, “Corriere della Sera”, 2.10.1948).
«[…] in L’eroe della strada si poteva rinvenire, fra qualche sospetto di qualunquismo, un accenno al contrasto fra la libertà civile raggiunta e i problemi raggiunti sociali ancora largamente irrisolti. Merito non secondario del film era la rivelazione di un Macario attore misurato e sensibile, capace di oltrepassare il repertorio tipico dell’avanspettacolo da cui proveniva» (V. Spinazzola, Cinema e pubblico. Lo spettacolo filmico in Italia 1945-1965, Bompiani, Milano, 1974).
«Macario imita con grazia Charlot e Borghesio, tra una citazione di The Kid (1921) e un’altra di Modern Times (1935), sostanzialmente modella il racconto su City Lights (1931). Accanto alla garbata vena sentimentale il film approfondisce l'aggressiva e insolita visione politica aderente alla concezione del coevo movimento dell'Uomo Qualunque. Il disoccupato cronico Felice e il simpatico ladro Gaetano espongono una filosofia scettica intorno al valore delle ideologie: nostalgici fascisti e zelanti comunisti appaiono come gente fanatica e violenta, professionisti della politica (l'episodio dell'agitatore stipendiato), il cui unico compito è seminare il disordine per favorire l'ascesa al potere del proprio gruppo politico. In questo scenario tormentato, nonché dominato dalla miseria e dalla disoccupazione, non resta che l'italiana filosofia dell’arrangiarsi e del simulare per cavarsela senza troppi lividi. L'eroe della strada è quindi un film anomalo nel panorama di quegli anni, un lavoro apertamente critico ed anzi satirico nei confronti delle pellicole “neorealiste”. Una presa di posizione così apertamente anticomunista, una descrizione tanto aspra delle maniere violente e ottuse dei “compagni” (si veda il pestaggio in fabbrica di un operaio colpevole di essere un ammiratore del padrone), tanto più efficace in quanto contrapposta ai modi delicati e al carattere sognatore di Felice, rende Borghesio una voce decisamente fuori dal coro (ed infatti al clamoroso esito commerciale fa riscontro un totale disinteresse della critica italiana). Lo conferma inoltre l’audacia, quasi unica, nel criticare frontalmente l’“amico americano” nella magnifica sequenza della diva che porta aiuti in una casa di poveracci (ovvero di Giulietta): la natura freddamente propagandistica di questo genere di operazioni viene finalmente stigmatizzata con un sarcasmo tagliente (la donna getta malamente i pacchi, attenta solo a farsi filmare tra grandi sorrisi) che merita ammirazione e che è sufficiente a rendere importante la pellicola in quanto portatrice di numerosi momenti di coraggiosa e lucida sincerità. […] Nella prima sezione Felice, sotto processo per vagabondaggio, viene salvato da Gaetano che testimonia a suo favore: appena esibisce (false) credenziali di capo partigiano il processo si risolve a favore dell'imputato. È una prima stoccata contro una Resistenza fatta da pochi e divenuta facile proprietà di tutti, nonché contro l'eterno vizio di prostrarsi davanti ai vincitori di turno. Anche alla mensa per sinistrati le cose non vanno come dovrebbero: un nugolo di finti poveracci in coda per la minestra viene messa in fuga da Gaetano che annuncia che entro la giornata verrà cambiata la lira in una nuova moneta. La comicità del film nasce a ridosso delle situazioni politiche del momento ed oggi appare a tratti di difficile comprensione per lo spettatore ignaro dei temi dibattuti nei primi anni del dopoguerra. In particolare si parlò a lungo di cambiare la moneta, così da obbligare i profittatori di guerra a uscire allo scoperto (costringendoli ad esibire i loro illeciti capitali accumulati nel momento del cambio) […]. La colonna sonora di Rota commenta in modo appropriato evocando un clima sonoro da opera buffa: un saltellante leitmotiv dominato dai legni si lega alla figura di Felice mentre un motivo accorato agli archi indica il suo sentimento amoroso nei confronti della giovane. […] Negli episodi successivi va in scena la propaganda politica: dapprima un agitatore di sinistra assolda il confuso Felice come spalla, poi un manipolo di comunisti lo paga per imbrattare i muri di scritte e simboli inneggianti al PCI; in entrambi i casi l'imbranato e apolitico Felice fallisce e viene rincorso da gente infuriata. Questi due capitoletti mostrano un’Italia ancora divisa in agguerrite fazioni di fronte alle quali Felice e il suo amico Gaetano rappresentano quella gente qualunque, disinteressata a un dibattito ideologico che viene percepito come lotta per il potere di minoranze professionali e stipendiate, e quindi come un fatto ininfluente nella vita quotidiana dei singoli. In fondo l’amara e disillusa morale compare verso la fine quando Gaetano rimprovera il suo candido amico con le parole “il mondo è disonesto e tu sei l'unico a fare il fesso”. Nel terzo episodio “politico” Felice in fabbrica rischia di essere picchiato da una minoranza operaia decisa a imporre con la forza l'odio di classe contro il padrone: non gli resta che simulare uno zelante monologo marxista, farsi licenziare e tornare nuovamente sulla strada. Anche questa raffigurazione di un universo operaio illiberale e dogmatico, tiranneggiato da uomini di partito, è inconsueta e trasgredisce lo stereotipo diffuso del simpatico lavoratore, docile e impotente vittima del capitale» (G. Rausa, Come persi la guerra, L'eroe della strada, Molti sogni per le strade e Proibito rubare: l'epoca dei furti (1947-48), http://www.giusepperausa.it/come_persi_la_guerra__l_eroe_d.html)