Regia Gianfranco Barberi, Marco Di Castri
Fotografia Gianfranco Barberi, Marco Di Castri
Musiche di repertorio Dimistri Shostakovi?, Sergej Prokofiev, Erik Satie, Aleksander Vertinskij
Montaggio Massimo Moretto
Produzione KWK Kinowerke Cinema & Video Torino
Note Girato in Video da 1".
Consulenza scientifica: Gastone Pedrieri e Nicoletta Misler; grafica elettronica: Sergio Gastaldi; realizzazione: Euphon International, Torino
Materiale cinematografico tratto da: La sigaraia del Mosselprom (1924) di Zeljabužskij, La ragazza con la cappelliera (1927) di Barnet, La casa sulla Trubnaja (1928) di Barnet, L’undicesimo (1928) di Vertov, L’uomo con la macchina da presa (1929) di Vertov, Il circo (1933) di Aleksandrov, An evening of Russian Constructivist Theatre (1983) di Law/Gordon.
Video realizzato per la mostra L'abito della rivoluzione. Tessiuti, abiti e costumi nell'Unione Sovietica degli anni '20, organizzata al Lingotto di Torino da GFT Gruppo Finanziario Tessile.
Sinossi
Con l’uso di film sovietici d’epoca e di documenti iconografici sull’attività delle avanguardie artistiche, il video ci conduce in un emozionante viaggio di immagini e suoni attraverso i fermenti culturali e le profonde trasformazioni sociali del decennio che seguì alla Rivoluzione d’Ottobre.
Dichiarazioni
«Abbiamo iniziato a lavorare con il video per una ragione di costi. Si poteva benissimo girare in pellicola se avessimo avuto i mezzi. Ma, con il tempo, il linguaggio dell'elettronica ha assunto nel nostro lavoro una sua specificità. Pensiamo a L'abito della Rivoluzione. Non abbiamo però mai adottato il linguaggio della frammentazione, del videoclip per intenderci. La nostra narrazione è cinematografica, anche perché la nostra scommessa era di fare del cinema. Ma c'è un film fondamentale che ci ha fatto capire l'importanza del linguaggio dell'elettronica: Now I know Snow, del 1986. Qui si inseriscono grossi elementi di novità rispetto a Ouverture di due anni prima. L'effetto elettronico entra in gioco in modo forte, non solo in fase di montaggio. È stato l'incontro con Michael Snow a darci questo tipo di suggestione. Lui è un grande artista, uno sperimentatore, un ricercatore di linguaggi visivi e sonori. Snow è un film fatto in cucina: non c'erano soldi. lo e Marco abbiamo inventato e costruito dei marchingegni ispirati alle truke del cinema, più che ad un mixer video. Di lì siamo poi approdati a L'abito della Rivoluzione, cioè all'utilizzo totale dell'elettronica in postproduzione. Ma quella era una produzione professionale, i soldi c'erano. Se il linguaggio rispetto a Ouverture è cambiato, è rimasta comunque la nostra idea di cinema-racconto. Il cinema storico sovietico, ne L'abito entra prepotentemente con la sua memoria attraverso l'uso di materiali di repertorio: le avanguardie, Vertov, Barnet e altri. Le sequenze scelte, non sono state manipolate nel loro montaggio originale, non lo faremmo mai. […] La musica nei nostri lavori è fondamentale. La mia fortuna è stata incontrare Marco che, con la sua esperienza, ha dato al nostro cinema, anche da questo punto di vista, un enorme contributo. L'abito della rivoluzione senza il lavoro sulla musica di Marco sarebbe un altro film. La sua selezione è straordinaria. Lui è stato capace di aggiungere qualcosa al racconto di completarne la frase. Per me la colonna musicale è sempre stata un elemento fondamentale dei film. Non solo la presa diretta in sé, tanto che a volte l'abbiamo girata e messa da parte per utilizzarla, magari elaborata, in altre parti come accompagnamento alle immagini, come sottolineatura. Ma ripeto, non sono un esperto di musica come Marco, vado avanti guidato dalla mia sensibilità.» (G. Barberi, in Paola Scremin (a cura di), Gianfranco Barberi e Marco Di Castri. Quando il video incontra il cinema, Antenna Cinema Arte, Treviso, 1996).
«A proposito del racconto, per i due film sull'arte russa e sovietica, bisogna aggiungere che non avevamo un storyboard preciso. Le idee di montaggio, come nostra abitudine, sono nate dai materiali che ci ha messo a disposizione Gastone Predieri della Cineteca dell'Associazione Italia-URSS di Roma e dalla fondamentale collaborazione con lui: una mente-memoria del cinema sovietico, senza il quale non avremmo potuto fare ciò che abbiamo fatto. Per esempio trovare le uniche immagini di quell'attrice che recita indossando un abito di stoffe disegnate dalla Goncarova. La vasta scelta di materiale iconografico è stata curata da Fabio Ciofi Degli Atti, con il quale abbiamo avuto un ottimo rapporto creativo. Tutto ciò ci ha dato grosse suggestioni. Gianfranco, per esempio, ha avuto l'idea di animare un'opera di Lissitzkij, ma non era una forzatura perché lo stesso artista ci aveva pensato. Il video serviva a completare la mostra di tessuti stampati delle avanguardie artistiche sovietiche, doveva fornire, con le sole immagini e suoni, una collocazione storica ai materiali esposti. Il video è stato montato senza le musiche, seguendo un puro ritmo visivo, e in seguito ho fatto un grosso lavoro di ricerca di musiche originali dell'epoca, e di adattamento tra il ritmo delle immagini e il ritmo musicale. Non è un videoclip dove le immagini vengono montate su musica già fatta, è piuttosto un incontro riuscito di musica e immagini» (M. Di Castri, Ibidem).
«La prima volta che mi è venuto in mente di adoperare il video è stato quando ho visto L’abito della Rivoluzione di Gianfranco Barberi e Marco Di Castri. È curioso perché questo desiderio è scaturito vedendo le opere di due convinti cinefili che non si sono mai posti problemi di superiorità o inferiorità di un mezzo rispetto all’altro. Eppure, vedere quel video ed altri mi aveva convinto dell’estrema differenza dei due mezzi, diversità ovviamente colta da Gianfranco e Marco, ma senza accanimenti ideologici. Le cose che più mi avevano colpito erano l’utilizzo dei materiali d’archivio, unito ad un certo uso dell’effettistica elettronica e soprattutto il rapporto con il sonoro. Il cinema ritrovato, il frammento del film, il cosiddetto repertorio viene utilizzato veramente come materiale [...] come singole cellule che fanno parte di un organismo regolato dal potere della memoria, quindi naturalmente utilizzabili e manipolabili come qualsiasi altro materiale, dato che il frammento, soprattutto se si tratta di un’immagine, cambia a seconda dello sguardo che lo riattiva dal suo insieme originario. Non c’è mai voce o suono fuori campo nel video di Gianfranco e Marco: l’audio è sempre rigorosamente interno alle immagini, fa parte del flusso visivo come un naturale contrappunto. Spesso vedendo le loro opere si ha l’impressione di vedere delle immagini sonore, delle immagini cioè che hanno un suono necessario, naturale. Inutile tentare di separare la banda audio da quella video: corrono insieme secondo le modalità di quella che negli anni ’20 veniva chiamata sinfonia visiva, e non è un caso che Barberi e Di Castri si siano trovati così a loro agio con materiale dei primordi del cinema. [...] In alcuni loro video si innesta l’elettronica, la manipolazione della regia video, l’immaginario strategico della sala di montaggio. Con la solita leggerezza e naturalezza, ovviamente, anche quando gli inserti sono computer grafica bidimensionale o violente colorazioni da palette elettronica su immagini d’archivio in bianco e nero. […] Barberi e Di Castri accarezzano le immagini così come accarezzano il mondo delle immagini e i suoi abitanti: gli artisti» (A. Amaducci, in Paola Scremin (a cura di), Gianfranco Barberi e Marco Di Castri. Quando il video incontra il cinema, Antenna Cinema Arte, Treviso, 1996).
Scheda a cura di Isadora Pei
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