Regia Ugo Gregoretti
Soggetto Ugo Gregoretti
Sceneggiatura Ugo Gregoretti
Fotografia Carlo Di Palma
Musica originale Piero Umiliani
Montaggio Nino Baragli
Scenografia Carlo Gentili
Interpreti Renato Salvatori (Angelo Trabucco/Omicron), Rosemarie Dexter (Lucia), Gaetano Quartararo (Midollo), Mara Carisi (moglie di Midollo), Ida Serafini (Vedova Piattino), Calisto Calisti (Torchio), Dante Di Pinto (Commissario), Franco Luzzi, Giuliana Corbellini, Vittorio Calef, Fausto Del Duca, Gustavo D’Arpe, Antonio Raffai, Ugo Gregoretti, Ferdinando Gerra
Produzione Lux Film, Intra Film, Franco Cristalli per Vides Cinematografica
Distribuzione Paramount
Note Girato in Vistavision; altri interpreti: Luigi Caputo, Filippo Pelle, Angelo Innocenti, Carlo Vitale, Augusto Signoracci, Giovanni Fattirolli, Libero Grandi, Lamberto Pippia, Aldo Pietrucci, Pat Stark, Maria Grazia Grassini.
Premio come Miglior Film al Festival del Film Umoristico di Bordighera, 1964.
Sinossi
Sulla riva del Po viene trovato morto un operaio, Trabucco, ma del cadavere prende possesso un alieno, Omicron, proveniente dal pianeta Ultra, i cui abitanti progettano di invadere la terra. Gradatamente Omicron riesce a muovere il corpo e a parlare, imitando coloro che gli sono accanto. In fabbrica prende il posto di Trabucco dando prova di grande capacità fisica e nessuna solidarietà con i suoi compagni di lavoro. L’amore per una ragazza, Lucia, suscita in lui coscienza di classe; le numerose letture gli chiariscono i meccanismi con i quali si svolge la vita tra gli uomini.
Dichiarazioni
«Omicron era un film sulla fabbrica, o meglio, sulla Fiat, tant’è vero che la sua base documentaria è l’inchiesta sulla Fiat fatta da Giovanni Carocci e comparsa sulla rivista “Nuovi Argomenti”, diretta da Alberto Moravia, che analizzava le difficili questioni sindacali all’interno degli stabilimenti Fiat dopo la creazione di una polizia segreta che vigilava sul lavoro nelle fabbriche. Alcune cose vennero da un incontro a Torino con dei giovani dei “Quaderni Rossi”, Fofi e Soave. Dopo i miei primi lavori e dopo il successo del film Ro.Go.Pa.G. Cristaldi mi propose nel 1963 di girare un film di soggetto fantascientifico, che dapprima pensai di girare direttamente a Torino. Omicron era un curioso esempio di satira sul lavoro operaio in una grande fabbrica, con un alieno che si incarnava in un operaio. Andai in Fiat, un po’ ingenuamente, per chiedere l’uso di un grande stabilimento dove poter girare, ma ovviamente la Fiat non ci diede il permesso. Andai allora all’Eni che, spinta dal desiderio di dimostrare come gli enti pubblici fossero più aperti dei privati, ci mise a disposizione immediatamente uno stabilimento di Firenze, il Nuovo Pignone, specializzato nella costruzione delle bombole a gas per le cucine. Restammo lì quasi un mese, a Torino girammo solo alcuni esterni in Piazza San Carlo e in periferia» (U. Gregoretti, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
Influenzato culturalmente dal giornalismo radicale e sulla scia delle inchieste di costume televisive che in quel periodo avevano sottolineato, nel mondo dell’informazione, l’apertura al sociale della nuova fase politica, Ugo Gregoretti osserva in I nuovi angeli, lavoro del 1961, coloro che abbandonano le campagne e che lavorano alle catene di montaggio in grandi complessi metallurgici, proponendone un approfondimento con Omicron, “un film sulla fabbrica o meglio sulla Fiat”.
«Credo si possa dire che gli unici film a soggetto che rappresentano la realtà operaia torinese in modo non banale né moralistico sono due commedie: in quanto tali, esse ribaltano il sentimentalismo in beffa, il patetismo in ironia. Mi riferisco a […] Omicron di Ugo Gregoretti ed a I compagni di Mario Monicelli, entrambi del 1963, ambientati a Torino, ma girati qui solo in minima parte […] Omicron era un film sulla Fiat, sullo sfruttamento classista del proletariato, e per questo fu a lungo boicottato a livello di distribuzione. L'idea del film ebbe origine dalla lettura da un'inchiesta sulla Fiat fatta da Giovanni Carocci. […] Il film è piacevole e divertente ancora oggi, nonostante siano cambiate per tanti versi le condizioni politiche, sociali ed esistenziali della classe operaia: grazie alla sottile ironia che il regista riesce a calibrare con sapienza, la satira assume insieme vigore polemico e leggerezza scanzonata, offrendo così un esempio quasi unico, nel cinema italiano, di “commedia operaia”» (F. Prono, in G. Alonge, F. Mazzocchi, a cura, Ombre metropolitane, DAMS Università di Torino, 2002).
«Un mondo di robot: la previsione di tanta letteratura fantascientifica, in certe zone italiane - come la Torino di Omicron - sta velocemente avviandosi a diventare realtà,grazie anche alla stanchezza e alla crisi del movimento operaio e sindacale. Di questo mondo Omicron, l'ultriano piovutoci dentro per preparare l'invasione della Terra, scopre, a se stesso e al pubblico, le leggi e le regole. Nessuno in Italia, e pochissimi altrove avevano osato farlo con tanta chiarezza. Il film è dunque uno dei più nuovi e coraggiosi visti da tempo. Ma... Purtroppo i ma ci sono, e sono non tanto di natura ideologica quanto di capacità di realizzazione. Gli spunti, spesso felicissimi, di cui è disseminato il film, sono affastellati e messi insieme da na sceneggiatura irrisolta, pesante, riva di quel ritmo e di quella adesione dello sviluppo al tema che per un film del genere ci sembra indispensabile» ("Il Nuovo Spettatore Cinematografico" n.s., n. 4, agosto 1963).
«La critica è stata concorde nel distinguere, con diversa valutazione, le due parti in cui, grosso modo, Omicron può dividersi. Anche a me sembra che Gregoretti sia molto più persuasivo nella prima parte (per intenderci, quella che ha per protagonista Omicron-Salvatori non ancora umanizzato) che nella seconda: del resto la migliore riuscita è logica poiché all’impostazione narrativa a contrasto meglio si addice ovviamente un personaggio la cui sola presenza radicalizzi le continue contrapposizioni della vicenda, immaginata dallo stesso regista, anche autore del soggetto e della sceneggiatura. Le contraddizioni sulle quali si appunta l’asprigna ironia di Gregoretti […] sono quelle della società italiana del cosiddetto “miracolo economico”: e già nell’assunto c’è un’intenzione di agitare le paludose acque del quieto vivere cinematografico che è senza dubbio il merito precipuo di Gregoretti» (L. Quaglietti, “Cinemasessanta”, n. 39, settembre 1963).
«Gregoretti non ha l'anima del saggista, né del comiziante retore e scandalizzato: se qualche maestro egli ha iscritto nell'esile albero genealogico della sua isprazione, questi è ilClair di A noi la libertà, e praticamente nessun altro. Ma la sua vena si sviluppa per impensati indirizzi personali, va a piluccare in altri campi: in quello della fantascienza, nella sua branca ironica di derivazione volterriana; in quello di certo surrealismo pencolante tra Campanile e Zavattini; in quello del giornalismo alla Malaparte; nella malizia di certe inchieste televisive; e addirittura quasi, benché non vi siano couplets o siparietti, nella commedia musicale. […] Certo è che, nell'esiltà di stile e spesso di invenzione figurativa, Omicron ha la grinta di un film agghiacciante, spietato, giustamente feroce contro il quietismo nazionale sui problemi del lavoro. […] L'apologo è schiacciante: un giudizio che taluno riterrà settario o inconcludente, ma che sembra proprio nato dalla osservazione non estranea al modo in cui si sono svolte, e malamente concluse, certe lotte sindacali degli scorsi anni» (T. Chiaretti, "Mondo Nuovo", 8.9.1963).
«È un film discontinuo, che rinuncia a parte delle proprie ambizioni – lungo il cammino – con la maggior dignità possibile. Ma non è mai un film antipatico né provinciale. Oltre tutto lo troviamo perfettamente allineato con i tempi principali del cinema d’oggi, sui quali esercita una non sprovveduta ironia: alienazione, suspense, indagine subliminale, science-fiction; è giovanilmente a giorno, nei suoi momenti felici. Sono vecchi, invece, gli errori. Le sequenze deboli di Omicron fanno pensare subito a Miracolo a Milano. Lo spunto fantascientifico è ovviamente la scusa per una vivace partenza: l’occasione per affrontare quel caso di “alienazione artificiale” che è l’operaio Trabucco. Trabucco diverrà la vittima di due sopraffazioni, che agiscono l’una contro l’altra e lo chiudono in mezzo come in una pressa. Il pianeta Ultra e la grande industria appaiono simili a due fascismi contrastanti e inafferrabili, avviati entrambi alla conquista. L primo parlerà con gli ultrasuoni e mobiliterà i suoi eserciti spaziali, manovranti invisibili nel corpo degli uomini soggiogati. L’altro entrerà in azione con gli slogan paternalistici, le alte protezioni, le human relations e lo spionaggio di fabbrica. Prima cura degli assalitori d’altri mondi sarà di spegnere la coscienza, questo lumino incomodo, nell’interno delle vittime. Ma si accorgeranno che arrivano secondi, perché l’altra forza – quella terrestre – ci ha già pensato. Trabucco avrà ancora un sussulto di ribellione, poi soccomberà. Nessuna particolare chiaroveggenza, nessun messaggio particolare in Gregoretti, […] Ma versatilità di discorso, garbo nella direzione e nella guida degli attori, intelligenza che mette ogni cura nel farsi sempre meno sofisticata» (T. Ranieri, “Cinema Domani”, nn. 10-12, luglio/dicembre 1963).
«Gregoretti tende a darsi un linguaggio surrealista dalle cadenze didattiche e allegoriche, basate sulla ideolgia della civiltà industriale. I risultati sono però modesti, sul piano narrativo, fose per un eccesso di schematismo, per un difetto di stilizzazione, o perché non gli riesce di mantenre un tono continuo e abbastanza sostenuto. Qui i riferimenti al Clair di A nous la liberté, così chiari, si alternano alla parodia dei film di fantascienza made in Hollywood senza una adeguata fusione dei due momenti. Ma ciò che è poco riuscito è soprattutto il ritrovamento dell'ideolgia classista attraverso questo giro fantascientifico» (G.B. Cavallaro, "L'Avvenire d'Italia", 4.9.1963).
«Ugo Gregoretti affronta, in Omicron, un tema […] impegnativo […] – quello del condizionamento e della alienazione operaia nella fabbrica neocapitalistica – mediante lo schermo di un paradosso fantascientifico. Di una favola tutt’altro che rassicurante, di un “conte” volterriano che parli del nostro mondo attraverso la finzione di un altro. E non mancano nella prima parte le notazioni graffianti, le prove di un umorismo risentito nel descrivere la persecuzione antioperaia all’interno della fabbrica e lo squallido servilismo dei capi-reparto e dei funzionari. Viene tuttavia il sospetto di una scarsa serietà, di una angolazione superficiale, se non divertita, di un interesse non sufficientemente decantato per l’ “attualità” del tema e le sue possibili variazioni» (A. Ferrero, “Cinema Nuovo”, n. 165, settembre/ottobre 1963).
«Omicron, che dovrebbe essere un film "sociale", è […] un film rozzamente classista in cui Marx, De Amicis e San Paolo giocano - absit injuria verbis - ai quattro cantoni; e spazzato in lungo e in largo da ventate di quella retorica populista e bonacciona che trenta anni fa deliziava le serate degli ultimi anarchici romagnoli […]. Una specie di apologo fantascientidico di molte pretese insomma, ma senza nerbo, mal costruito, inelegante e aggravato da fragorose volgarità» (O. Orsini, "La Notte", 4.9.1963).
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