Nulla Osta n. 4.732 del 16.10.1914
Secondo alcune fonti, la fotografia è di Natale Chiusano.
In Italia ebbe molto successo, tanto da rimanere in programma per sette giorni al Salone Edison di Trieste, per otto giorni al Cinema Centrale di Milano e addirittura per dieci giorni al Cinema Centrale di Genova.
«Quadro per quadro, metro per metro, l’emozione, l’interesse il più vivo ci prende con un crescendo tale che, osiamo dire, pochi lavori cinematografici ci hanno mai fatto provare. Alla fine l’emozione è al colmo, è come se l’attore fosse lì, vivente ad ascoltare, un plauso potente, spontaneo, scroscio per la sala ancora oscura. [...] Abbiamo trovato una virtù nuova in questo artista [Zacconi], nuovo al cinematografo. La spontaneità, la mancanza di ogni artificio, l’assoluta indifferenza all’obbiettivo, la naturalezza assoluta. Zacconi in Padre è stato vero!... [...] E si aggiunga a questo che (sia lode a chi diresse la film) gli altri attori come presi da uno spirito di emulazione, da un desiderio di degnamente coadiuvare il grande, furono diversi da l’ordinario; efficacissimi senza esagerazioni; corretti e espressivi. [...] Inutile dire della grandiosità degli scenari: basti dire che la ricchezza, la novità e l’immensità dello scalone in cui si svolgono le scene dell’incendio, contribuirono assai al raggiungimento del lusinghiero successo ottenuto dal Padre» (Il rondone, “La Vita Cinematografica”, n. 21, 25.11.1912).
«The development of the picture play has been rapid, and whereas, in its initial stages, the actor merely relied for his effects on the situations, comic or dramatic, invented by the playright, far more is now demanded of him. The public has shown its desire for the portrayal of human characters and emotions on the screen, and it becomes the duty of the actor to cater for the public demand. In order to do this successfully it is essential for the actor to make an intimate study of the method to his hand. The greatest actor of his time is not necessarily a successful film actor [...]. The Itala Company’s latest production Father is a fine example of what is being accomplished in this direction. The story is simple, explicit, and full of human sympathy, and so well constructed that it would be easily understood even without the occasional sub-titles; but it is chiefly remarkable, in the first place, for the beautiful effects of light and shade, by means of which the most ordinary subjects have been glorified into artistic pictures; and in the second place, for the performances of two principal characters, who both reach a pitch of excellence which is a revelation in the art of pantomime. [...] Signor Zacconi’s interpretation of the old rag picker is masterly in every detail. It is full of pathos, and his accusation of Marny is delivered with astonishing force and vehemence. On as high a level, though of a different character, is the superb performance of the actor who plays the part of Tonio» (“The Bioscope”, 28.11.1912).
«Todas las bellezas de esta obra están en la realidad. Verdad el hecho, verdad el sentimiento del gran actor, verdad los elementos constitutivos del trabajo cinematográfico; y, partiendo del valor de los artistas y acabando por el del operador, todo es grande, immenso, sublime. [...] No hay desplantes, hay sentimiento; no hay aspavientos ni contorsiones extrañas, hay lo que exige el arte, naturalidad, identificación del sentimiento artistico con la realidad. Marni cumple bien y Tonio es un excelente borracho de alcohol y de sangre [...]. Padre es dignìsimo complemento cinematográfico de Los miserables, llevándole aquél de ventaja la mayor verosimilitud» (Film Omeno, “Arte y Cinematografia”, n. 53, 30.11.1912).
«Probably the most remarkable view of conflagration ever shown on the screen, exhibiting a palatial interior throughout a process of gradual destruction, picturing exciting incidents of rescue, this photography is decidedly superior to those that ordinarily portray mechanical devices of ingenuity because of fine acting and the interesting story told. It is highly dramatic without being too closely associated with the highly incredible. Its sensations are not drawn from the old box of stale tricks. [...] The conflagration [...] is the high scene of the play. It is shown in various place and from different points of view, but the piece of resistance is the grand hall and marble staircase. Flames eat their way gradually in this noble structure, while Andrea, having nothing to live for, defies death in magnanimous rescue. He appears carrying his arch enemy as the stairs crumble slowly and fall into a veritable furnace beneath. The scene is thrilling and sensational on the screen and is a masterpiece of accurate timing and ingenuity. [...] Aside from the magnificent and well chosen scenic effects, spectacular in the extreme at the crisis, the acting in the leads is remarkable, that of Tonio being a marvel of truth in knavishness, and that of Andrea of high finish. Ermete Zacconi desired to have this enduring portrayal made of his art, a discovery, it is said of Eleonora Duse, in whose company he played. His performance has the rare quality of delicacy characteristic of the great Signora’s art, and might be studied to advantage by other interpreters of the photodrama as well as those who appreciate what is refined, discriminating and in the best of good taste. His acting and the splendid motive give dignity to the whole presentation» (L.R. Harrison, “The Moving Picture World”, 21.12.1912).
«Nous avons applaudi successivement les divers tableaux de ce beau film. Notamment Treize ans aprés, L’Auberge des “Deux Yerres’’, Le billet révélateur, L’incendie, Sauvé par sa victime et le dernier tableau Tardives révélations. Les metteurs en scéne d’Itala méritent des félicitations. Ils ont su monter cette piéce avec un luxe inouï de décors et de mise en scéne. Quant à l’interprétation inutile d’en parler car rien ne peut la décrire: disons seulement qu’elle est sublime et que les partenaires de Zacconi l’ont admirablement secondé. Film merveilleux et dont le succés fut incomparable» (N. Karton, “Le Cinéma et L’Echo du Cinéma réunis”, n. 48, 21.1.1913).
«Ermete Zacconi [...] s’é addimostrato attore di non comune versatilità, oltreché dalla mimica efficace ed espressiva. Il suo nome resterà certamente legato a quello di uno tra i più importanti avvenimenti cinematografici; la sua fama crescerà a dismisura ora che la sua arte, mercé appunto il Cinema, è pervenuta direttamente alle folle. Gli altri artisti [...] hanno dimostrato di possedere intuito grandissimo e giusto senso di misura, formando con l’attore illustre un tutto omogeneo, un complesso equilibrato e fuso, tale da evitare il benché lieve contrasto. Scene d’innegabili e incomparabili pregi artistici ha questa film, come pure scene di alta potenza drammatica, di grandioso e impressionante realismo. Cito ad esempio quella dell’incendio. [...] Nulla qui è trascurato perché l’illusione della realtà sia completa. [...] Peccato che dinanzi a tanta grandiosità di quadri, lo scenario risulti d’una manchevolezza sconfortante, peccato che il contributo artistico d’un attore eminente non abbia suggerito qualcosa di meno solitamente incongruente e farraginoso, di più nuovo ed originale anche. Credo si sia voluto fare a tutti i costi un lungo metraggio, non ostante l’azione si prestasse ad essere svolta con minor numero di quadri, meno frammentari, meno brevi, e, logicamente, più densi, più conclusivi. Questo difetto è comune a quasi tutti i lunghi metraggi» (G.L.L., “La Cinematografia Italiana ed Estera”, n. 146, 20.2.1913).
A proposito della soggettività narrativa in alcuni film dell’Itala dei primi anni Dieci: «In Padre c’è un’inquadratura che sintetizza esemplarmente l’efficacia di questa strategia: Andrea Vivanti, dopo tredici anni di prigionia e un’evasione, ha trovato le prove che lo scagionano e che invece inchiodano il suo ex socio Evaristo Marny. Si reca a casa di quest’ultimo per vendicarsi. Marny riconosce le sue colpe, ma nello stesso tempo gli rivela che la figlia che credeva perduta è ancora viva e ora è la fidanzata di suo figlio Roberto. Vivanti deve quindi risolvere un inatteso conflitto di coscienza. Ed è a questo punto del racconto che si colloca l’inquadratura che ci interessa. Marny e Vivanti si avvicinano a una finestra. Si collocano ai suoi bordi, e cominciano a guardare fuori. La finestra occupa stabilmente il centro dell’immagine. Diventa uno schermo, un surcadrage, soprattutto, è ovvio, per Vivanti. All’interno di quella cornice, invalicabile come la soglia che divide lo schermo dalla sala, Vivanti vede in lontananza la figlia che amoreggia con Roberto Marny. La relazione tra due azioni simultanee, A (Marny e Vivanti che si fronteggiano nella stanza) e B (la figlia e Roberto nel giardino) in questo caso è garantita da uno sguardo intradiegetico: non c’è sproporzione tra il sapere di Vivanti e il nostro, anzi si crea quella tendenziale identità cognitiva che è propria della focalizzazione interna (perché non solo noi vediamo Vivanti, ma possiamo sapere, attraverso un’inferenza innescata dai suoi gesti, quello che sta pensando e sentendo dentro di sé)» (S. Alovisio, L’Itala Film nei primi anni Dieci, Museo Nazionale del Cinema/Il Castoro, Torino/Milano, 1998).
A proposito invece degli espedienti adottati per creare la suspense: «[nell’inquadratura conclusiva di Padre] La superficie del quadro è divisa in due settori. Nell’area di destra, sul proscenio, si sviluppa l’azione A: Marny, l’ex socio traditore di Vivanti, sta agonizzando, assistito dal figlio e dalla nuora, nonché figlia di Vivanti; i personaggi sono inquadrati in figura intera. Nell’area di sinistra il proscenio è lasciato vuoto per aprire lo sfondo (l’ingresso dell’abitazione di Marny), dove si sta sviluppando l’azione B: Vivanti dopo avere salvato dalle fiamme Marny, sta per congedarsi definitivamente, il maggiordomo gli porge una mancia ma lui declina l’offerta. Queste due azioni simultanee generano nello spettatore una forte tensione scopica. Il suo sguardo segue alternativamente i due microeventi. Nello spazio A Marny sta rivelando tutta la verità; Vivanti è riabilitato. Nell’altro settore Vivanti è prossimo all’uscita. Tra i due poli dell’azione si crea un dialogo indiretto ma contiguo, non sull’asse della profondità ma su quello della lateralità e della superficie, pur trattandosi di due azioni a diversa grandezza scalare. Ancora qualche esitazione e questo dialogo indiretto sfumerà in un’uscita di scena. Finalmente si arriva alla definitiva comunicazione tra i due settori. Vivanti viene richiamato e risale dallo sfondo al proscenio. Qui potrà riabbracciare la figlia perduta; una sorta di salvataggio all’ultimo minuto splendidamente compresso in una sola inquadratura che esaurisce da sola un ambiente drammatico e un epilogo narrativo cruciale» (Ibidem).
«Oltre alla Torino “patinata” raccontata dai film “internazionali”, un’altra modernità, meno scintillante, emerge [...] dal filone realista. [...] Padre [...] gioca sulla complessificazione figurativa di valori morali appartenenti a questa composita modernità. Il male è mascherato laddove parrebbero regnare le forme del progresso e di una nuova civiltà. La malvagità e l’ipocrisia pervadono l’industriale capace di appiccare il fuoco alla ditta del rivale; il lento cammino verso una tremenda verità — la propria figlia allevata dall’incendiario — accompagna la vittima nei luoghi sordidi di un popolo senza speranza: galere, bettole, stamberghe sino all’addio alla città — ancora una volta osservata dall’alto, verso Piazza Vittorio Veneto — e alla catarsi finale nel maestoso incendio purificatore» (M. Bertozzi, Cinegrafie di una capitale, Museo Nazionale del Cinema/Il Castoro, Torino/Milano, 1998).