Nulla Osta n. 14.288 del 23.5.1953
Consulente alla sceneggiatura: Cesare Longo; canzoni: C. A. Bixio; altri interpreti: Emma Gramatica, Nino Manfredi, Elsa Merlini, Ettore Petrolini, Ruggero Ruggeri, Alida Valli, Ermete Zacconi, Nino Zuccarelli; produttore associato: Luigi Mondello; consulenza ambientale: Enzo Longo
Un restauro è stato effettuato dalla Rol Film di Torino nel 2001. In questa occasione è stato pubblicato il libro C’era una volta Angelo Musco: il film (a cura di Alberto Friedmann, pubblicato dall’Associazione F.E.R.T., Torino) che contiene, tra vari testi, anche a sceneggiatura a posteriori completa.
«Il film C’era una volta Angelo Musco, prodotto dal Commendatore Liborio Capitani nel 1953, è molto importante poiché ci tramanda la visione e la storia di un grande comico siciliano, purtroppo da troppo tempo ignorato. […] L’amico Capitani, regalandomi una copia di C’era una volta Angelo Musco che, a mia volta, ho donato con piacere alla nuova F.E.R.T., ha reso un prezioso servizio anche a se stesso e a Musco, consentendo così di mantenere vivo il ricordo di questo attore dalla convulsa mimica e dalla straripante comicità non disgiunta da grande umanità» (M. Fiorio, in A Friedemann, a cura, C’era una volta Angelo Musco: il film, Associazione F.E.R.T., Torino, 2001).
«C’era una volta Angelo Musco venne realizzato […] da Liborio Capitani, che era stato nel 1939 tra i fondatori della Società Anonima Industria Cinematografica Italiana Fert, insieme al regista Carlo Borghesio, al maestro compositore Cesare Andrea Bixio e ad Angelo Besozzi, ed era, all’epoca, presidente del Consiglio d’Amministrazione della Società. […] Certamente la realizzazione della pellicola si deve ad un tentativo di Capitani di inserirsi nel facile filone del film comico dialettale (è la grande epoca dei film di Totò), sfruttando il ricordo ancora vivo di Musco e, soprattutto, i diritti delle pellicole realizzate prima della guerra con l’attore siciliano. Il calcolo si rivelò sbagliato, dato che gli incassi furono assolutamente modesti (31.600.000, cit. in Chiti/Poppi, Dizionario del cinema italiano, vol. 2, Gremese, Roma, 1991) anche in rapporto al costo di produzione sicuramente bassissimo. A questo proposito merita citare una testimonianza dello stesso Manfredi, che ricorda di aver abbandonato il set perché non percepiva la paga settimanale. Secondo il Centro Cattolico Cinematografico, il film doveva essere riservato agli “Adulti con riserva”» (E. Darchini, in A Friedemann, a cura, Op. cit.).
«[…] in C’era una volta Angelo Musco, frettolosa e grossolana antologia dei vecchi film di Angelo Musco, vi sono, fra i diversi frammenti, alcuni di cui è innegabile la solare vis comica, lo schietto valore spettacolare ed il vivido significato umano. […] Indubbiamente la matrice teatrale è fin troppo presente. Ma quella è appunto la parte caduca, la parte che non ci può né commuovere né interessare. Dove invece si resta colpiti e avvinti come spettatori, là appare evidente il vigore dell’arte e di un’arte che non può non dirsi cinematografica, se il suo mezzo è tale. Si può forse obiettare che si tratta di una illustrazione compiuta col mezzo cinematografico, come nei film d’arte illustranti celebri opere. Ma si tratta di un interesse culturale, che introduce all’opera d’arte anziché sostituirla. L’attore è invece qui vivente e si esprime nel modo che egli, a torto a ragione, ritiene consono alla macchina da presa» (V. Pandolfi, “Rivista del Cinematografo Italiano”, n. 9, 1953).
«Non credo d’invadere il territorio del collega cinematografico qui accanto se parlo un poco delle “disjecta membra” di Angelo Musco, offerte in pasto al pubblico estivo in un orrido polpettone filmico che si chiama C’era una volta Angelo Musco, come se Musco fosse stato una fata, o un principe azzurro, o un gatto con gli stivali. Il titolo fiabesco non inganni nessuno: si tratta di un rito d’antropofagia. […] A dare per intero tutti i frammenti che rimangono, stampati su pellicola, di Musco nei personaggi del suo repertorio, questi cinematografari non ci hanno neppure pensato: sarebbe stato toppo lungo, avrebbe mancato dell’unità lirica necessaria. […] Questo è cannibalismo celebrativo, antropofagia del luogo comune. A un livello acceso di sciatteria, non è tuttavia senza rapporto con la sorte che subì nella vita il fenomenale siciliano: il pubblico, infatti, se lo mangiava vivo ridendo: non poteva fare altro» (N. Chiaromonte, “Il Mondo”, n. 33, 18.8.1953).
«C’era una volta Angelo Musco è un curioso caso produttivo. Negli elenchi porta la firma di Giorgio W. Chili e porta l'indicazione “realizzato negli studi Fert di Torino”, ma la sua storia è molto più complessa. A volerlo fu Liborio Capitani, un costruttore edile di Roma che era poi entrato stabilmente nel cinema come produttore dopo aver costruito gli stabilimenti della Cines di via Veio a Roma. Negli anni Trenta aveva prodotto molti film, tra i quali alcune commedie interpretate da Angelo Musco, l'attore siciliano che morirà poi prematuramente nel 1937. Nel 1939 Capitani fonda a Torino la Società Anonima Industria cinematografica Fert, rilevando gli stabilimenti torinesi di corso Lombardia. I suoi soci sono il regista Carlo Borghesio, il compositore Cesare Andrea Bixio (quello di tante canzoni di successo) e Angelo Besozzi. Come produttore, Capitani aveva lavorato parecchio con Totò e con Macario e ben conosceva le possibilità commerciali del cinema comico. Avendo in magazzino le copie e i diritti di una dozzina di film interpretati da Musco, decise di ripresentarlo al pubblico fingendo trattarsi di un film nuovo con una nuova cornice e nuovi attori. II narratore è Rossano Brazzi e un controcampo immaginario è fornito da un improbabile Nino Manfredi vestito da ufficiale. L'operazione non funzionò perché il film incassò solo trenta milioni sul territorio nazionale. C'è da dire però che costò pochissimo, come lamentava Nino Manfredi che abbandonò il set non ricevendo la paga settimanale» (S. Della Casa”, “La Stampa - TorinoSette”, 30.5.2008).