Altri titoli: A Farewell to Arms
Regia Charles Vidor
Soggetto dal romanzo omonimo di Ernest Hemingway e dalla pièce teatrale di Laurence Stallings
Sceneggiatura Ben Hecht
Fotografia Oswald Morris, Piero Portalupi
Operatore Arthur Ibbetson, Idelmo Simonelli
Musica originale Mario Nascimbene
Suono Charles Knott, Murray Spivack
Montaggio John M. Foley, Gerard Wilson
Scenografia Mario Garbuglia, Alfred Junge, Gastone Medin
Arredamento Veniero Colasanti, John Moore
Costumi Veniero Colasanti, John Moore
Aiuto regia Andrew Marton
Interpreti Jennifer Jones (Catherine Barkley), Rock Hudson (tenente Frederick Henry), Vittorio De Sica (maggiore Alessandro Rinaldi), Oskar Homolka (Dr. Emerich), Mercedes McCambridge (Miss Van Campen), Elaine Stritch (Helen Ferguson), Kurt Kasznar (Bonello), Victor Francen (colonnello Valentini), Franco Interlenghi (Aimo), Leopoldo Trieste (Passini), Georges Bréhat (capitano Bassi), José Nieto (maggiore Stampi), Alberto Sordi (padre Galli), Carlo Pedersoli [Bud Spencer] (carabiniere), Giacomo Rossi Stuart (carabiniere), Tiberio Mitri (avventore in un caffè), Carlo Hinterman (avventore in un caffè)
Produzione David O. Selznick per Selznick International Pictures, Fox
Distribuzione Fox
Note Cinemascope, colore De Luxe; regista della seconda unità: Andrew Marton; direttore della fotografia non accreditato: James Wong Howe; direttore d’orchestra: Franco Ferrara; montaggio del suono: Audrey Granville; parrucchiere: Larry Germain; altri interpreti: Luigi Barzini (colonnello della Corte Marziale), Johanna Hofer (Mrs. Zimmerman), Eduard Linkers (tenente Zimmerman), Eva Kotthaus (infermiera), Clelia Matania (parrucchiera), Memmo Carotenuto (Nino),Guidarono Guidi (medico civile), Patrick Crean (tenente medico), Umberto Sacripante (autista di ambulanza), Albert D’Amario (ufficiale arrestato), Angelo Galassi, Stephen Garret, Peter Illing, Vittorio Iannitti, Diana King, Antonio La Raina, Carlo Licari, Guido Martufi, Alex Revidis, Umberto Spadaio; produttore associato: Arthur Fellows.
Questo film è un remake dell’omonimo realizzato da Frank Borzage del 1932 (non girato in Italia).
John Huston firmò un contratto con Selznick per dirigere il film, ma il giorno precedente l’inizio delle riprese abbandonò il set italiano e ripartì per l’America. Fu sostituito immediatamente da Charles Vidor.
Sinossi
Frederick Henry, un giornalista americano che si trova in Italia nel 1915 allo scoppio della guerra contro l'Austria, si arruola volontario nell'esercito italiano. Il suo amico Rinaldi, maggiore medico, gli presenta una crocerossina inglese, Kitty: in breve tempo i due si innamorano. Frederick, ferito da una granata, è inviato all'ospedale americano di Milano in cui viene trasferita anche Kitty. Lui vorrebbe sposarla ma, appena guarito, viene rimandato al fronte proprio mentre a Caporetto gli Austriaci hanno sfondato le linee italiane e tutto l'esercito è in ritirata. Frederick si unisce ad un colonna che cerca di sfuggire all'accerchiamento insieme a Rinaldi il quale, prostrato, prorompe in parole violente contro la guerra. Le sue espressioni lo portano davanti ad un tribunale militare che lo condanna alla fucilazione. Frederick rischia la stessa fine, ma riesce a mettersi in salvo e insieme a Kitty fugge a Stresa. Ricercati dai carabinieri, dopo un fortunoso viaggio notturno sul lago in burrasca i due riparano in Svizzera. Passano dei mesi. Kitty, incinta, entra in una clinica dove, dopo aver perso il figlio che aspettava, muore fra le braccia di Frederick.
Dichiarazioni
«In Addio alle armi, il tema tipico di Hemingway della violenza - la guerra – appare in tutta la sua tragicità, fino a travolgere in un unico dramma i protagonisti, le figure di secondo piano e l’anonima folla. Ecco perché le pagine sulla ritirata di Caporetto e sulla vita in trincea e nelle retrovie assumono un particolarissimo rilievo. In tutte le guerre, la vita degli uomini al fronte, i loro rapporti, i loro problemi, le loro reazioni rimangono eternamente gli stessi. La guerra ha lo strano potere di rendere simili tutti i paesi che essa visita con la distruzione e con la rovina. In questo scenario non esteriore del dramma della guerra, l’Italia di Hemingway è autentica e vera. Posso ben dirlo io che ho conosciuto il vostro paese durante il secondo conflitto mondiale, quando sul fronte di Cassino realizzavo The battle of S. Pietro» (J. Huston, “Cinema Nuovo”, n. 104, 1957).
Progetto tipico dell’idea magniloquente del cinema del produttore David O. Selznick, Addio alle armi è la seconda versione del romanzo di Ernest Hemingway ambientato in Italia durante la Grande Guerra. La pubblicità del film puntò molto sull’audacia della storia d’amore, sulla grandezza delle scene di guerra e sul richiamo dei divi protagonisti, Rock Hudson e Jennifer Jones. In questo lungo adattamento ci sono cose di grande bellezza, momenti che riescono a convertire efficacemente in immagini la narrazione di Hemingway e lo spirito del romanzo, che parla della futilità della guerra e di un amore disperato che travolge due sconosciuti. Il film è prevalentemente un melodramma, arricchito dalle maestose scene della rotta di Caporetto.
«Un romanzo come Addio alle armi, con il suo robusto respiro drammatico, la varietà e vivacità dei colori, il gusto dell’avventura, la volontà di vivere e il trionfo della morte, doveva riuscire singolarmente congeniale al regista John Huston, la cui ispirazione anarchica e pessimista bene avrebbe potuto muoversi sul filo della narrazione di Hemingway. Ma, com’è noto il posto di Huston è stato preso dal più docile Charles Vidor, il quale si è volenterosamente prestato a seguire le direttive del produttore, teso soltanto a realizzare un altro supercolosso sul tipo di Via col vento. Rifacendosi a quel modello, il regista ha infatti centrato il film su una storia d’amore romantica e melodrammatica, lasciando sullo sfondo il grande affresco della guerra 1915-18, la cui funzione resta essenzialmente quella di conferire risalto alla privata vicenda dei due protagonisti. È interessante notare che, come già nell’opera di Fleming, così anche in questa sono proprio gli sfondi ad avere maggior evidenza e maggior rigore: le lunghe file di alpini che si arrampicano sulle montagne, i bombardamenti, tutta quella parte insomma destinata a culminare nella descrizione della grande ritirata di Caporetto – descrizione che, pur non priva di magniloquenza, ha tuttavia una sua tragica intensità. […] Ma se questo quadro rivela una certa serietà d’impegno, i ritratti di Catherine e Henry sono invece riusciti assai fiacchi e grossolani. […] E tutto il film, per quanto gli amori del romanzo siano stati assai addomesticati, mantiene un aspetto positivo, di denuncia della inutilità e dell’inumanità della guerra, di appello alla sincerità dei sentimenti e all’amore per la vita. Purtroppo ciò è ben lungi dal riscattare il convenzionalismo di cui è intriso il rapporto amoroso fra i due personaggi centrali: convenzionalismo che sempre più si accentua man mano che essi vengono occupando tutta la scena, e che rende insopportabile l’ultima parte del film, quella in cui viene descritto prima lo zuccheroso idillio della coppia in Svizzera, poi il travagliato parto della donna e la sua morte (“Cinema Nuovo” n. 129, 1958).
«New version of the Ernest Hemingway World War I story marks Selznick\\\'s return to filmmaking after an absence of eight years, and the results add up to a dazzling piece of camera workmanship. […] There are things of great beauty in this long adaptation, and parts of it are handled sensitively, conveying some of the Hemingway spirit that speaks of the futility of war and a desperate love that grips two strangers in its midst. This is primarily a woman\\\'s picture, with all the emotional strains and stresses that go to make up such a film. But sweep and frankness alone don\\\'t make a "great" picture: and Farewell suffers from an overdose of both. Selznick and director Charles Vidor, shooting all of the film in Italy and a good part of it on location in the Dolomites, have concentrated heavily on nature and war. […] Hudson and Miss Jones never takes on real dimensions. In part this must be blamed on Miss Jones\\\'s performance, which tends to go overboard on the dramatics. […] Such a tragic story requires great performances to put it across. It gets only a few of them in this picture. The real star is the color camera, guided by Piero Portalupi and Oswald Morris. Scene after scene catches the breathtaking grandeur of the Alps and of the men fighting in the deep snow. Here, Vidor’s direction is superb and the film draws much of its strength from these sequences. The retreat irom Caporetto is charged with exciternent and expertly staged. There is doom in the air, and confusion and tragedy. By contrast, the scenes of Hudson and Miss Jones escaping across the lake to Switzerland have a calm beauty that has the quality of paintings. Ditto their moving farewell at the railroad station. […] in the supporting roles, Selznick has cast a group of very good actors. Vittorio De Sica plays the cynical Major Rinaldi with dash, and in him the Hemingway spirit comes alive with full force. He symbolizes the waste and futility of war. […] Director Vidor, working with a thoroughly mature script and natural backgrounds, has turned out a film that makes magnificent use of the wide screen and that often rises Io sharp dramatic heights. There are vignettes in this picture that are gems of their kind and contribute mightily to the story itself. This is unquestionably one of the year\\\'s best photographed films, and the De Luxe color - often muted for excellent effect - is expertly used. Hecht\\\'s script knows where to balance drama and humor. It is forever to his credit that so much of the picture is Hemingway. Film\\\'s emotional qualities are underscored effectively by Mario Nascimbene\\\'s music, revolving around a catchy theme» (Hift, “Variety”, 25.12.1957).
Scheda a cura di Matteo Pollone
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