Nulla Osta n. 14.418 del 1.7.1919
Prima visione romana: 1.3.1920; prima proiezione portoghese (Lisbona): 5.9.1921.
«È un film che lascia sorpresi, perchè non si capisce cosa sia. Si sa solo che è un film carino. Non è grottesco, non è drammatico sentimentale, non è commedia, non è caricatura... È un film, messo su con gusto, con una bella messa in iscena, con una bella interpretazione... Dentro non c’è niente. Mi richiama alla mente Le Ballerine dei milioni in cui non c’era nulla e che pure ha avuto un grande successo per la messa in iscena e la grazia delle interpreti. Certo Champane Caprice è inferiore a Le Ballerine dei milioni. Rimane un lavoro in cui tutto è carino, tutto è mandato giù sorridendo: ma quando si esce dal cinematografo ci si domanda: Ma cosa è questo Champagne Caprice? Bellissima fotografia» (“L’Illustrazione dell’Arte Cinematografica Italiana”, a. II, n. 8, 31.3.1920).
«Ecco un lavoro che poteva diventare un buon lavoro, un lavoro completo e perfetto in tutte le sue parti, anzi che in qualche sola parte. L’idea o lo spunto che dir si voglia era deliziosa e originale, piena di grazia, sentimento e – perchè no ? – di poesia e di un fine sano umorismo. Una favola ingenua, sentimentale, rosea come un mattino primaverile, ma come un mattino primaverile fresco e puro. C’è pur bisogno nella vita, qualche sprazzo di luci ideali, che sollevi lo spirito dalle bassure della realtà cotidiana e lo diletti. Se non che la smania di creare l’intrigo e il dramma, l’avventura cinematografica, ha deviato gli autori dalla loro visione e li ha trascinati in errore, ed il loro lavoro ha perso la sua iniziale purezza, s’è inquinato di cose comuni e volgari. Ed è risultato un organismo ibrido e indefinito, che non è né carne né pesce, vale a dire, che non è più né commedia leggera, né dramma, e dove i diversi elementi di contrasto non hanno bastevole fusione. Manca persino una conveniente elaborazione di tutta la materia. [...]
E siamo pure nell’illogicità quando vent’anni dopo, Miecio Hatto, violinista tzigano, incontra la fanciulla che è sua figlia e se ne innamora e la rapisce, per arrivare poi alla “scena madre” della rivelazione... [...] L’esecuzione, la messa in scena sono davvero trattate con garbo e con molta cura, sia nell’insieme, sia nei particolari; e ciò torna a lode di Achille Consalvi, il quale ha pienamente compreso lo spirito di questo lavoro e gli ha dato un corpo adeguato. Peccato però ch’egli abbia lasciato troppo tranquilla e quasi impassibile la signoria Edith al momento in cui le si presenta il domino viola con la bambina. Per quanto tutto possa ispirare la più grande fiducia e la stranezza dell’avventura stupore, tuttavia, trovarsi all’improvviso in presenza ad uno sconosciuto, non è a nostro avviso la cosa più naturale di questo mondo ed oltre allo stupimento, alla sorpresa, c’è pure un senso di preoccupazione se non di spavento, per tutto ciò che sa di mistero e misteriosamente avviene. Ma sono queste piccole perdonabili mende. L’interpretazione è ottima in ogni singolo attore. Maria Roasio, che va raffinandosi e migliorandosi, ha avuto momenti di graziosa gaminerie e ha reso assai bene l’ebrezza dello champagne; Ersilia Scalpellini e Umberto Scalpellini hanno creato due personaggi di tipica caratteristica signorile comicità; Renato Maupré è stato corretto ed elegante; Cesare Carini ha cercato di dare quanto più era possibile, il tipo romantico del suo personaggio. Bene anche Mario Saio in una piccola comica particina. La fotografia è degna di “Casa Ambrosio”, cioè è bella e pastosa» (“La Rivista Cinematografica”, a. I, n. 6, 25.3.1920).
«È un film tra il sentimentale, il drammatico, l’ironico, il grottesco, il caricaturale. V’è tutto in esso, tranne due cose: la logicità e la compostezza. Peccato, ché sono queste cose essenziali. Maria Roasio dà prova nuova, in questo lavoro, delle sue rare qualità. È spontanea, è sincera, è viva. È una donna, insomma, e non un’artista cinematografica. E coma tale ha capito, a differenza di tante altre “dive” che vanno per la maggiore, cha la perfezione, nel recitare, si raggiunge solo con la naturalezza. La messa in scena pecca qua e là di manchevolezze e di... esuberanze non poche; ma in complesso potrebbe non dispiacere se fossero soppressi alcuni particolari ornamentali di soverchio cattivo gusto. La fotografia è bellissima, pregio questo non piccolo, sebbene secondario» (A. Piccioli, “Apollon”, 31.3.1920).