Prime proiezioni all’estero: Gran Bretagna 24.9.1911 (1.600 feet); Usa 2.9.1911; Germania 1911 (516 metri); Austria 9.1911 (478 metri)
Clio, la bella figlia di re Diomede, ama il giovane Filate. I due hanno già ottenuto dal padre della ragazza il consenso alle nozze. Durante una festa data in suo onore, il barbaro Haxar, alleato di Diomede, si innamora di Clio e, ubriaco, ne domanda la mano. Al rifiuto della ragazza, Haxar promette vendetta. Alcuni giorni dopo, infatti, aiutato dai suoi soldati, invade il palazzo, rapisce Clio e scaccia il re, che viene nascosto da Filete in montagna. Filete reagisce all’affronto e, riunito l’esercito, si introduce nel palazzo reale e libera la sua promessa sposa; il giovane appicca poi le fiamme all’edificio intrappolando così Haxar e il suo esercito. Il palazzo crolla distrutto dalle fiamme: tutti i barbari muoiono sotto le sue macerie. Diomede può così ritornare a regnare grazie al coraggio del giovane Filete.
«In questo lavoro della grande Casa Torinese riscontriamo tutti i difetti che rilevammo nella Caduta di Troja, ed è vero peccato, perché la trama si sarebbe prestata ad una film davvero interessante se gli artisti avessero posto maggior impegno e si fosse curata la parte tecnica. Se la Lydia Quaranta (Clio) ebbe momenti di buona drammaticità, non altrettanto possiamo dire del Pozzoni (re Diomede) e del Bernard (Filete), e ciò dobbiamo rilevarlo con rincrescimento, trattandosi di artisti che han dato prova della loro capacità e dei quali in altre occasioni ci siamo interessati con compiacimento. La figura del re Diomede è – secondo noi – resa a torto spoglia di ogni sovranità e dignità – sia pure un monarca dei tempi preistorici – specialmente quando lo troviamo frammisto al popolo in quel tale giorno di mercato alla... Corneiville, e s’intromette a sedare una contesa senza che la sua presenza imponga un po’ di rispetto fra i sudditi. Nella scena del banchetto offerto all’ospite re Haxar, noi assistiamo ad una riunione di gaudenti avvinazzati piuttosto che ad un convito regale; perchè? [...] Il Pozzoni lo troviamo anche esagerato nei gesti; troppi segni tracciano le sua braccia continuamente in aria: ce lo perdoni l’egregio cavaliere, ma dobbiamo pensare ch’egli nelle vesti di questo re Omerico si sia trovato a disagio. [...] Bernard – che noi apprezziamo come un ottimo artista e lodammo in varie occasioni – se ha qualche momento buono (nelle vesti di Filete), ha per contro un gestire esagerato e qualche volta assolutamente in contrasto con la parte che deve rendere. Nella scena dell’incendio ai sotterranei della regia, la sua azione dovrebbe svolgersi fulminea, con parsimonia di movimenti e rumori, preoccupato soltanto di far presto per riuscire a liberar la sua Clio dalle grinfie dei barbari che gozzovigliano di sopra. Tutti i gesti, le minacce, i discorsi con se stesso, erano inutili e guastano l’effetto che si sarebbe ottenuto se in un attimo avesse concepito e realizzato il suo piano. Le masse non sono disciplinate e talvolta sembrano legate assieme ad un filo e comandate ad un eterno movimento meccanico che indispettisce (ad esempio nella scena del ricevimento di re Haxar e quando costui viene acclamato sullo scalone del palazzo di re Diomede). Uomini e donne, poi, passano continuamente da un punto all’altro, senza altro scopo che quello – pare – di rompere la monotonia della scena. Nell’insieme poi notammo una generale incertezza e confusione: chi aspetta il colpo sulla testa per cadere; chi attende il crollo del palazzo per salvarsi e chi lo attende per piegarsi su se stesso e permettere ai fuggiaschi di svignarsela. Le colonne enormi del palazzo cadono sulla testa di parecchi, come fossero delle feluche, non schiacciano nessuno, anzi vendono smosse con la migliore facilità da chi cerca una posizione migliore per cadere... Peccato, ripetiamo! Perché soggetto, décors grandiosi e messa in scena splendida, consentivano qualche cosa di artistico realmente. La fotografia, per ultimo, lascia molto a desiderare e difettano gli effetti di luce, massime in qualche scena notturna, dove neppure la presenza di qualche torcia riesce a far balenare un bagliore qualunque. Ci aspettiamo qualcosa di più buono dall’Itala-Film, trattandosi di una Casa che può e deve, in quest’epoca di gara fra le fabbriche del mondo, produrre come le consentono i suoi grandi mezzi e la capacità del suo personale direttivo ed artistico» (“La Vita Cinematografica”, a. II, n. 17, 10.10.1911).
«I due lungometraggi [La caduta di Troia e Clio e Filete] [...] ottengono un moderato consenso di pubblico in madrepatria, ma all’estero scatenano il putiferio. Thomas Harper Ince guarda e riguarda il finale di Clio e Filete, e se ne entusiasma e lo piega alle necessità del suo cinema fatto di racconti scarnificati e di prospettive naturali mai viste prima di allora [...] gli impresari di New York, da anni assuefatti ai fondali della Pathé respirano aria nuova e si infiammano di entusiasmo» (P. Cherchi Usai, Giovanni Pastrone, La Nuova Italia, Firenze, 1985).