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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cinema muto



La Compagnia dei matti
Italia, 1928, 35mm, B/N


Regia
Mario Almirante

Soggetto
Dalla commedia “Se no i xe mati no li volemo” di Gino Rocca

Sceneggiatura
Camillo Bruto Bonzi

Fotografia
Massimo Terzano

Scenografia
Giulio Boetto

Interpreti
Vasco Creti (Momi Tamerlan), Celio Bucchi (Bardonazzi), Alex Bernard (Piero Scavezza), Carlo Tedeschi (Bartolo Cioci), Elena Lunda (Irma Tamerlan), Lillian Lyl (Ginetta), Vittorio De Sica (spasimante di Irma), Giuseppe Brignone (inserviente in casa Bardonazzi), Felice Minotti, Giuseppe Migliore, Andrea Miano, Amilcare Taglienti, Lily Migliore



Produzione
Claudio e Salvatore Argento per la S.E.D.A. Spettacoli e Rizzoli Film

Distribuzione
S. A. Pittaluga

Note
3.250 metri
Nulla Osta n. 24.371 del 31.8.1928
Prima visione italiana: Roma, 3.11.1928
Terza esperienza cinematografica di Vittorio De Sica
Il film è stato girato a Torino, nei teatri di posa della “Pittaluga Films” a Madonna di Campagna
Copia conservata presso: Cineteca Italiana  (Milano), Cineteca del Comune di Bologna
Copia restaurata: 3200 m., 35mm, b/n, 116’ a 24 f/sec. Restauro effettuato dal laboratorio L’immagine ritrovata di Bologna. L’edizione è stata  stabilita a partire dal negativo originale su supporto nitrato della versione italiana, integrata, per alcune scene ormai decomposte, dal negativo della versione spagnola, conservata dalla Cineteca Italiana di Milano. Il testo delle didascalie è stato desunto dalla lista originale, conservata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino.




Sinossi
Momi, Bartolo e Pietro, uomini ormai maturi, hanno fondato, molti anni prima, insieme al loro amico, il conte Bardonazzi, la Compagnia dei matti. Lo scopo era quello del godimento più sfrenato dell’esistenza. Il conte Bardonazzi è morto però neanche trentenne, lasciando agli altri tre un’eredità che ha permesso loro di vivere una vita oziosa e mondana. Il testamento indicava chiaramente che gli eredi avrebbero avuto diritto ai beni solo se avessero continuato la vita di bagordi e di divertimenti. L’avvocato Giostra, incaricato di verificare il rispetto delle condizioni del testamento, rileva come i tre siano diventati dei vecchietti brontoloni e malinconici, e manchino le condizioni per continuare a usufruire dell’eredità. Temendo di perdere tutto, i tre cercano, inutilmente, durante un veglione di Carnevale, di ritrovare lo spirito che animava le loro scorribande, ma  Pietro muore dopo una rovinosa caduta (invocando il figlio morto in guerra) e Momi impazzisce scoprendo il tradimento della giovane moglie. L’avvocato Giostra, pentito di aver causato tanto dolore, garantisce ai due superstiti un vitalizio che permetterà loro di affrontare la vecchiaia.




Dichiarazioni
«Ero proprio arrivato ad una delle scene che maggiormente mi avevano fatto penare durante la lavorazione, ed ero impaziente di vederne i vari pezzi riuniti nella loro successione precisa, ancora lunghi qua e là, ma già come un tutto organico. Interrompere e riprendere poi,  mi avrebbe tolto la possibilità di avere la prima impressione della scena – vista così la prima volta... coma la vedrà poi il pubblico. È sempre la sensazione più giusta; quando si sente, allo stesso modo del pubblico, dove vi è l’effetto e dove le lungaggini. Nel lavoro che segue, passando e ripassando i pezzi, si fa un lavoro d’analisi, ma la visione buona della scena è quella avuta la prima volta che si è vista. [...] Subito ho sentito la linea generale che dovevo poi seguire nell’esecuzione: leggerezza di tocco e... contrasto stridente... spingere certe situazioni sino a sfiorare il grottesco, subito riprendersi con una nota di dolcezza, con una sfumatura. Mantenere insomma nello sviluppo un misto ben armonizzato di doloroso, pietoso, a volte comico, per poi arrivare al  dramma con i suoi riflessi tragici. [...] Non ho voluto vedere la commedia rappresentata a teatro, per non subire influenze di altro genere che avrebbero potuto farmi deviare dallo sviluppo - visivo  -  che mi sembrava capace di materializzare chiaramente l’azione» (M. Almirante, “Cinemalia”, a. II, n. 10, 15.5.1928). 





«Il 28 dello scorso mese, una simpatica cerimonia si è svolta in uno dei teatri di posa della ”Pittaluga Films”, a Madonna di Campagna: nel vasto recinto ove da mane a sera stridono le macchine da presa, doveva tenersi a battesimo la traduzione cinematografica della notissima commedia di  Gino Rocca: Se no i xe mati, no li volemo. Alle 16 cominciano a giungere gli invitati, che nell’attesa dell’inizio della cerimonia, hanno agio di assistere alla lavorazione di alcune scene del film Gli ultimi Zar, ormai quasi finto; uomini in tight ed eleganti signore penetrano nel villaggio siberiano, costruito da solide e pur tanto effimere casette in legno, dai tetti coperti di neve; e a molti degli intervenuti, profani di cinematografia, lo spettacolo offre qualche cosa d’insolito e di impreveduto: cosacchi e mujik,  contadini ed esiliati si aggirano sotto l’occhio di lince delle macchine da presa. Alle 16 precise, con puntualità veramente regale, giunge S. A.  R. il Duca di Genova a cui si fanno incontro le Autorità presenti [...]. Mario Almirante [...] dà il via con un lungo sibilo del suo fischietto... da nostromo: sfolgorano le luci, e sotto il raggi concentrati delle Iupiter, i tre vecchietti  supersiti del Club dei matti, eseguono la prima scena, Mario Almirante e il Conte Negroni (quest’ultimo direttore artistico de Gli ultimi Zar) vengono presentati alle Loro Altezze che si interessano vivamente alle loro spiegazioni tecniche» (“La Rivista Cinematografica”, a.  IX, n. 5, 15.3.1928).
 
«La commedia di Gino Rocca è stata tradotta in film, con rara perizia da Camillo Bruto Bonzi, che ha saputo svilupparne ed integrarne cinematograficamente tutti gli elementi, conservandone inalterato lo spirito e la sostanza. Sotto la direzione artistica di Mario Almirante, uno dei più operosi e dei più geniali nostri direttori artistici, i tre protagonisti del lavoro, Vasco Creti, Alex Bernard e Tedeschi, tipici nelle loro truccature, hanno iniziato il loro lavoro. Oltre la valentia degli interpreti, tra i quali figura Elena Lunda, gli ospiti hanno ammirato la scenografia, che rappresenta un tentativo di rinnovamento, presentando scene ed ambienti sintetizzati, seguendo modernissimi criterii artistici che hanno già dato notevoli risultati» (“Al Cinemà”, a. VII, n. 11, 11.3.1928).
 
«Ed è con vero piacere che possiamo constare  come la produzione Pittaluga guadagni con questo film un livello artistico nettamente superiore a quello precedente [...]. La sceneggiatura approvata anche denota un processo di modernizzazione molto sensibile. La scenografia, poi, raggiunge un gusto finissimo ed un senso architettonico robusto, deciso, equilibratamente moderno.
La tecnica fotografica, al pari della scenografia, risulta sensibilmente migliorata, eccezione fatta per le truccature: ottima la disposizione delle luci, buone tutte ed ottime alcune delle inquadrature» (“Cinematografo”, a. II, n. 19, 23.9.1928).
 
«Adriano Giovannetti, il valoroso  direttore della bella rivista “Cinemondo” e fervidissimo studioso ed assertore dell’Arte Muta, scrive ne “Il Giornale di Genova”: [...] dobbiamo soffermarci sulla versione cinematografica della commedia Se i no xe mati no li volemo, compiuta da Camillo Bruto Bonzi, scrittore  favorevolmente noto per alcuni suoi  “soggetti” e per una più che decennale, valida collaborazione alla stampa tecnica. Versione intelligente, chiara e logica nel suo sviluppo, colorita, sempre aderente all’originale, spesso sviscerandone con sottile comprensione e con efficacia singolare i toni più umani e i concetti più nobili e più significativi. La difficoltà maggiore della versione consisteva nel trasformare l’opera teatrale  in opera cinematografica, senza che questa tradisse la sua origine da quella. A me pare che il Bonzi l’abbia superata in modo encomiabile. Mario Almirante è stato l’inscenatore del film. I caratteri facilmente rilevabili del suo metodo direttivo sono: lo scrupolo di costruire il “quadro” politamente e dimostrare fedeltà assoluta al pensiero dell’autore della vicenda; vigile cura nell’orientare l’espressione tecnica allo sviluppo da essa raggiunto nei modelli cinegrafici di più recente figura; controllo severo perchè i personaggi agiscano costantemente nell’ambito del temperanza. [...] Gli ambienti ”interni” ed “esterni”, presentatici dal pittore Giulio Boetto, sono originali, coerentissimi al lavoro. Il Boetto è stato un collaboratore prezioso del direttore. Segnaliamo questo autentico artista a chi asserisce che in Italia facciano difetto moderni scenografi cinematografici. [...] Nell’elenco degli artefici di un film una errata consuetudine vuole che si nomini da ultimo l’operatore di presa. Io stesso sarei incorso nello stesso errore, dunque, poiché non ho ancora citato Massimo Terzano. Faccio ammenda, affermando che il Terzano ha impresso nella fotografia de La compagnia dei matti la marca risplendente della sua perizia, marca che non ha nulla da invidiare a quella dei suoi colleghi stranieri» (“Al Cinemà”, a. VII,  n. 46, 11.11.1928).
 
«Alla fine degli anni Venti, con il cinema italiano in profonda crisi produttiva, La compagnia dei matti evidenzia insospettabili qualità formali, in sostanziale sintonia narrativa e in contemporanea autonomia estetica rispetto al testo letterario di Gino Rocca. [...] la scenografia è significante, produttiva e non  meramente decorativa (basti pensare al senso di carcerario soffocamento che pervade la stanza dei due innamorati, Irma e Rosolillo, in fuga), con una efficace alternanza di interni ed esterni, resi ora con un  realismo stilizzato – tipico del teatro d’avanguardia – ora con evidenti riferimenti a motivi “novecentisti”; gli attori sono lontani da certi, per altro necessari, eccessi gestuali dell’arte “muta”, in una recitazione che abbraccia ampi repertori espressivi esaltati da modalità prettamente filmiche; la cinematograficità del testo si dispiega attraverso un notevole campionario di figure e di mezzi tecnico espressivi, utilizzando travelling [...], sovrimpressioni per sequenze onirico - allucinate  [...], film nel film [..] varietà di campi e piani  a scale differenti (gli occhi giganteschi di Momi  mascherato da Pierrot, alla scoperta degli amanti); il repertorio iconografico generale si relaziona infine alle coeve correnti artistico-figurative, nazionali e internazionali, sintetizzandole in un’opera inusuale per il cinema italiano del periodo» (M. Bertozzi, Moderno eppur italiano. “La compagnia dei matti” di Mario Almirante, “Fotogenia”, nn. 4/5,  1997/1998).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Mario Almirante
Massimo Terzano
Vasco Creti
Vittorio De Sica
Giuseppe Brignone
Giulio Boetto


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