Regia Gabriellino D’Annunzio, Mario Roncoroni
Soggetto Dalla tragedia omonima di Gabriele D’Annunzio
Sceneggiatura Gabriellino D’Annunzio
Fotografia Narciso Maffeis, Giuseppe Paolo Vitrotti
Musica originale Ildebrando Pizzetti
Interpreti Ida Rubinstein (Basiliola), Ciro Galvani (Sergio Gràtico), Alfredo Boccolini (Marco Gràtico), Mary Cléo Tarlarini (la diaconessa Ema), Mario Mariani (il monaco Traba)
Produzione Ambrosio- Zanotta
Distribuzione U.C.I.
Note 1.742 metri
Nulla Osta n. 16.207 del 1.7.1921
Prima visione italiana: Roma, 25.11.1921
Note sul restauro: copia: 35 mm, colore, versione italiana, 1.742 metri, 90’ a 16 f/sec.
Restauro effettuato da: Cineteca di Bologna, Cineteca Italiana (Milano), Filmoteca Española con il contributo del Projecto Lumière. L’edizione del film restaurato è stata stabilita sulla base di un negativo originale B, in avanzato stato di decomposizione, contenente parti duplicate in epoca muta dal negativo A, e riprese scartare dal primo negativo; e sulla base di una copia positiva colorata d’epoca su supporto nitrato, stampata dal negativo A, incompleta e parzialmente decomposta, conservata dalla Filmoteca Española. Le didascalie – assenti dal negativo e in spagnolo nella copia madrilena – sono state ricostruite sulla base del testo spagnolo e del testo della tragedia di D’Annunzio.
Copia conservata presso: Cineteca Italiana (Milano), Filmoteca Española (Madrid), Cineteca del Comune di Bologna
Sinossi
Una tragedia segna le origini della città di Venezia: Basiola, figlia di Orso Faledro, un tribuno pagano destituito e accecato dai Gràtici, suoi avversari cristiani, medita la più crudele delle vendette. La donna, colma di risentimento, usa la sua bellezza e sensualità per spingere i fratelli, Marco, il nuovo tribuno, e Sergio Gràtico, il vescovo, ad un duello fratricida: Marco uccide Sergio, ma Basiola viene condannata alla stessa pena cui fu condannato il padre. Punita la donna, Marco salpa verso l’Egitto su una nave imponente, per riportare a Venezia le spoglie di San Marco.
Dichiarazioni
«[...] j’avais demandé un collaborateur ou un guide qui me fut accordé; mais dés le commencement il se retira spontanément pour se donner seulement aux soins, certes pas faciles, de l’organisation administrative. [...] J’ai cherché , avant tout, de supprimer le caractère nécessairement statique de ses quatre épisodes en décomposant les éléments dramatiques, lyriques, ou pittoresques, en les recomposant sans changer le texte suivant la technique du cinéma qui est essentiellement active et dynamique. Je n’ai ni délaissé ni oublié aucun motif substantiel du poëme, j’ai fait tout mon possible de rendre, par succession et l’animation des tableaux plastiques, ce qui dans le livre est rendu par l’éloquence de la parole et la puisance du rythme. [...] Et la présence continuelle de l’Elément qui dans la tragédie est sentie divinement à travers je ne sais quelle magie de paroles, j’ai tâchè de la mettre en relief en mélangeant aux actes et aux mouvements des personnes la vision continuellement renouvelée de la lagune dans ses innombrables teintes des eaux, des sables et des “barene”. [...] Puisque Le Navire , comme vous le savez, est antérieure à la fondation de Venise et il chante justement les labourieuses origines de la ville glorieuse. Figurez-vous la lenteur, la pénurie, les enormes difficultés des transport d’une ville si directement éprouvée par la guerre, le rôle pénible de réunir et discipliner la foule nécessaire à une film dans laquelle la foule est la protagoniste continuelle. On appela et l’on instruisit des pêcheur et des rameurs de Chioggia, de Pellestrina e de Burano, hommes arrachés à leur travail ordinaire, amassés et immobilisés devant l’objectifs, ignorant tout artifice cinèmatographique, contraires à toute discipline. Ils avaient néanmois, dans les visages, les gestes, les attitudes, le caractère immuable des primieres habitants de la lagune [...] Une partie du primier épisode a eu lieu à Ravenne, ou je suis allé chercher les restes de cette immense sapinière de lagune qui s’étendait alor depuis Ravenna jusqu’à Grado, [...] d’après des dessins du peintre Guido Marussing, une parfaite reconstruction de la Basilique du VI siècle, inspirée au meillur modèle conservé, qui est celui de l’île de Torcello où , au contraire, se représentèrent les tableaux exterieurs» (Gabriellino D’Annunzio, Une entrevue avec Gabriellino D’Annunzio sur “La Nave”, “La Rivista Cinematografica”, a. I, n. 3, 10.2.1920).
«E sullo schermo la grandiosa tragedia di Gabriele D’Annunzio, La Nave, non perde nulla della sua altra significazione, se pur scompaiono molte sue particolari bellezze, la superba forma letteraria, che ha perspicuità classica, e il robusto lirismo ond’è tutta pervasa, robusto e ampio come il respiro di quel salso mare dal quale trae la sua ispirazione diretta, aspro e duro come le sue onde sonore. Pur tuttavia osiamo dire che anche dai quadri, dalla visione cinematografica, scaturisce una musica che rapisce e fa pensare, che risuscita nell’animo nostro gli echi melodiosi che la tragedia ha lasciati profondi e indistruttibili. [...] Films come La Nave, sono come salutari i ventate d’aria pura e rigeneratrice in ambienti muffosi o fetidi, dalla quale tutto si rigenera. Anche lo schermo e il gusto del pubblico si rigenerano, hanno bisogno di rigenerarsi. [...] Per noi, Gabriellino D’Annunzio ha superato tutte le difficoltà che l’esecuzione presentava, brillantemente superate, dando prova di un alto valore e ponendosi, col primo lavoro, nel novero dei nostri migliori inscenatori. Anzi, noi che avremmo occasione di vedere di lui altri lavori, riteniamo che il suo temperamento si trovi più a posto in questo genere storico, di grande complesso, che non nel dramma moderno e borghese. Egli possiede ingegno, coltura, senso squisito e profondo della bellezza – non invano è figlio di un grandissimo esteta – e potrà lavorare a profitto di questo vituperato cinematografo. [...] La fotografia di Narciso Maffeis è buona, per quanto, come osservammo, non sia ricercata negli effetti fotografici. In sostanza, la tragedia è una realtà di vita di persone e di popoli, maestosa e semplice; come tale non poteva prestarsi alle esercitazioni di un impressionismo fotografico ed esecutivo, o all’acrobatica meccanicità della tecnica americana. Qui il quadro doveva imperare e prevalere sulla tecnica; e perciò ai miopi sembra che la tecnica sia un po’ sorpassata. Che volevano? Un caleidoscopio di immagini fugaci? L’interpretazione, non eccezionale, è tuttavia lodevole. Ida Rubinstein ha superato ogni aspettazione. [...] Ella ha avuto gesti ed espressioni di incomparabile bellezza plastica, ritmati da un movimento interiore, pieni di armonia musicale: sicché anima e corpo appariscono come una corda vibrante tesa sull’arco delle passioni di Basiola. [...] La Nave, in conclusione, è uno di quei lavori che rappresentano una somma di fatiche non indifferenti e che eseguiti alla vigilia della crisi, apparendo in piena crisi sono come il grido della gagliarda forza della nostra Cinematografia che non vuol morire soffocata e servono di ammonimento a tutti, chiamano alla riscossa. [...] E si conclude amaramente, che non la crisi, forse, ma l’ignavia, la poltroneria, l’egoismo e la rapacità, la negazione artistica degli uomini, sono colpa delle terribili condizioni presenti, del decadimento dell’Industria Cinematografica Italiana; e perciò l’industria sarà salva se cadranno gli uomini che vollero la sua rovina» (“La Rivista Cinematografica”, a. II, n. speciale, 10/25 dicembre 1921).
«In questo film, [...] l’influenza del palcoscenico è ancora presente, soprattutto nell’interpretazione della Rubinstein, che, sebbene grande artista, non sa qui muoversi e danzare come richiede il cinema, terribile occhio analitico, che ingrandisce più i difetti che i pregi. Movimenti di troppa studiata lentezza, gesti serpentini e scatti improvvisi, sorrisi troppo fissi, mancanza di sfumature nella espressione del volto ne sono gli elementi negativi. Gli altri interpreti recitano in maniera più cinematografica. Accurata la ricostruzione degli ambienti e dei costumi, una notevole ricerca di sapore pittorico nella fotografia. Le cronache del tempo furono prodighe di lodi a Gabriellino D’Annunzio, che affrontava la regia cinematografica per la prima volta, e alla Rubinstein, di cui venivano giudicate pregevoli soprattutto quelle danze, che forse appunto perchè furono tanto lodate, ci lasciano oggi delusi...» (E.R.R. [Eva Rognoni Landi], “Bianco e Nero”, nn.7/8, luglio-agosto 1952).
«Il lavoro degli archivi ha rimesso in circolazione qualcosa che, con ragionevole approssimazione [...] permette di capire come doveva essere il film di Gabriellino. Così si è costretti a riaprire la questione. Il valore e la particolarità del modo di rappresentazione che si riscontrano nel film, costringono a considerarlo assai più della bizzarria disperata di una casa di produzione sulla via di fallimento. La nave che abbiamo visto non è il riflesso di una cinematografia votata all’autodistruzione. La nave ha una rotta e la tiene senza esitazioni. Che poi, attorno, i passeggeri preferiscano viaggiare su di esse è un problema di tutt’altra natura. [...] La nave può essere considerato, a prima vista, come un clamoroso emblema di quella “letterarietà” che zavorra il cinema italiano fino a causarne l’affondamento […]. Una cosa che colpisce in questo come in altri film di derivazione o ispirazione dannunziana è una certa staticità di fondo. Tutto il muto italiano è accusato, probabilmente a ragione, di non sapersi slegare da modi di rappresentazione primitivi o da logiche attrazionali che dir si voglia. [...] Nel cinema tardo-simbolista o dannunziano di cui La nave è solo un esempio fra gli altri la cosa non si realizza, però, a livello di deficit di montaggio. Le azioni non si svolgono all’interno di quadri fissi. La nave è un film dal montaggio a tratti frenetico. Consta di oltre 550 inquadrature, cui si aggiungono i 200 stacchi dovuti alle didascalie. Insomma, un film frammentato, nel quale la frequenza degli stacchi pare tendere alla dinamizzazione di una messa inscena forse già percepita come poco mobile. […] Le ragioni della staticità sono dunque da ricollegare, in buona parte, a quella ritualità del gesto che è inscritta nel testo di partenza. Nel film non c’è molta azione e quella che c’è pare comunque obbedire al dettato di una recitazione stilizzata e (iper)codificata. Tutto ciò avveniva già in Cabiria...» (G. Manzoli, Un affollato rito wagneriano. La nave di Gabriellino D’Annunzio e Mario Roncoroni, “La Valle dell’Eden”, a. II, n. 6, 2000).
Scheda a cura di Valeria Borello
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