«Dall’idea di partenza che era quella di verificare come la musica sia momento e voce unificante della condizione giovanile, di capire cosa sia questa città dal punto di vista della musica oggi, di come i giovani vivono oggi le mitologie, le realtà della musica, le difficoltà per non essere solo consumatori, ma anche protagonisti, siamo arrivati alla stesura della sceneggiatura convinti che si potesse solo rappresentare questo mondo della musica giovanile, o almeno qualcosa di esso, anziché interrogarlo con la tecnica dell’inchiesta. Al momento di realizzare il film la nostra scelta è stata allora di mettere in scena alcune situazioni, persone (cercate lungo i percorsi che i giovani seguono nella città), frammenti di vita e di giornate. Fare ripetere davanti e per la macchina da presa da questi ragazzi quello che erano o volevano essere nella vita. Essi recitano i propri vissuti, ripulendoli dall’eccesso di autobiografia, togliendo qualcosa e aggiungendo qualcos’altro, per dargli caratteristiche emblematiche e generali. Una parte del film è così; l’altra è invece ancora di investigazione e l’osservazione del fenomeno o dell’individuo o del gruppo ha la prevalenza sulla rappresentazione: le persone non diventano personaggi di finzione, non recitano per la macchina da presa, ma accettano al massimo di lasciarsi seguire e osservare da essa. Iggy Pop sul palco durante il concerto dopo il nubifragio rappresenta il divismo, la provocazione, la trasgressione della musica: è “l’iguana del rock”. Nel camerino la macchina da presa osserva e interroga il vecchio rockman che al di là del professionismo lascia intravedere un mondo nel quale il rock non è solo mestiere, ma coerente scelta di vita. Lo stesso mondo insomma che Wanda, giovane torinese, operaia, cerca di costruirsi pezzo per pezzo, coscienziosamente, affrontando il progetto di diventare una cantante rock come il vero lavoro da fare nella vita. È lo stesso mondo che Elio (la generazione del ‘77, quelli che hanno fatto politica e che cercano in qualche modo di farla ancora) guarda con diffidenza e sarcasmo nell’esperienza di Wanda e stigmatizza duramente nella sua personale analisi dell’“affare MUSICA”. La mescolanza di due generi cinematografici, o di questi due diversi modi di raccontare, è la via che abbiamo scelto per parlare di una realtà complessa, frammentaria, disomogenea anche al suo interno. Le vicende dei protagonisti che percorrono tutti strade diverse o poco comunicanti, tra loro non si intrecciano se non occasionalmente o quasi nei luoghi comuni che il loro universo separato nella grande città gli offre» (A. Chiantaretto, D. Pianciola, www.torinofilmfest.org/history).