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Cortometraggi e Documentari |
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Alla Fiat era così
Italia, 1990, 15', Colore
Regia Mimmo Calopresti
Sceneggiatura Mimmo Calopresti
Fotografia Gherardo Gossi
Suono Simone Carraresi
Montaggio Pier Milanese
Interpreti Giorgio Boccassi, Pino Bonfiglio, Lillo Montana, Andrea Papaleo, Luciano Parlanti, Andrea Pupillo, Luigi Zappalà
Produzione Minnie Ferrara & Associati
Note Assistente operatore: Pè Calopresti; organizzazione: Giò.
Sinossi
Alcuni operai si trovano in un bistrot e raccontano i tempo ormai lontani in cui hanno vissuto da protagonisti la grande stagione delle lotte operaie. I loro ricordi e le considerazioni politiche si mescolano con immagini di repertorio e con quelle di un loro compagno che rifiuta la conclusione di quell’epoca, e attraversa la città di solo, urlando slogan e percuotendo un bidone di latta come si faceva nei cortei.
Dichiarazioni
«[…] il mio lavoro con il cinema parte da Torino, dal suo fermento culturale e politico, dal suo festival, da tutte le persone con cui ho realizzato cortometraggi, documentari, iniziative, in una sorta di proseguimento ideale di quello che si chiamava “cinema militante”, realizzato da militanti politici che facevano autonomamente cinema come pratica politica, girando davanti alla fabbrica, dando voce agli operai, discutendo nelle riunioni i materiali girati. Noi videomaker, ad anni di distanza, abbiamo assorbito qualcosa di quel mondo e anche se i nostri lavori erano completamente diversi partivamo dalla stessa idea: la possibilità di intervenire nella realtà. Penso che questa impostazione sia rimasta nelle cose che ho fatto, con ogni lavoro cerco sempre di capire come questo possa modificare in positivo la realtà. Di solito comincio i film con un punto di domanda a cui cerco di dare una risposta. Anni fa ho realizzato un lavoro, Alla Fiat era così, dove a legare le varie interviste c’è un personaggio che attraversa solitario la città percuotendo un tamburo di latta e urlando slogan tipo: «Il potere deve essere operaio» ecc… Era una situazione reale, mi affascinava l’idea di questo tipo che attraversava una città vuota. Quando giravo, in modo da non essere notato, mi rendevo conto che nessuno per strada gli faceva caso. Questo tipo attraversava i portici con il suo tamburo di latta e la gente intorno non gli prestava la minima attenzione. L’indifferenza assoluta» (M. Calopresti, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
Tra passioni lontane e malinconia recente, Calopresti realizza un video che non perde mai d’occhio la dignità dei suoi protagonisti e che riesce a parlare del passato senza mitizzarlo né denigrarlo. Pensato originariamente come contributo torinese all’importante film collettivo Italia ‘90: lavori in corso (1990), concepito per raccontare l’Italia che si opponeva alla retorica e propaganda nazionale in occasione dei Mondiali di calcio di quell’anno, Alla Fiat era così vive anche di vita propria, risultando uno snodo fondamentale del percorso registico di Calopresti, che dieci anni dopo, egli stesso figlio di un operaio Fiat, ritorna a raccontare la vita all’interno della grande fabbrica e il suo impatto su tutta la città.
«Calopresti è andato cercare sei operai che avevano saputo essere protagonisti dell’autunno caldo a Mirafiori. Sei esponenti di punta di Lotta Continua, sei praticanti di quel “potere operaio” che molti hanno teorizzato e poi rimosso con la stessa leggerezza. […] Il problema consisteva nel fuggire ogni compiacimento retorico, ogni vittimismo, ogni tentativo di ricondurre il passato al presente, qualunque esso sia o si creda che sia. Bisognava agire su tre livelli: la correttezza morale, la dignità personale, la capacità artistica. Sono tre caratteristiche difficili da trovare coniugate insieme nell’epoca del postmoderno: è più facile trovare persone sincere ma incapaci, oppure intelligenze poste al servizio della rapacità. La correttezza orale consisteva nel creare le condizioni perché si potesse parlare di un tempo passato, di una fase omai chiusa, senza che nulla fosse imposto e nulla negato. La dignità personale è alla base di un’attenzione che non fosse banale o fredda. La capacità artistica ha atto sì che una normale partita di scopone (un gioco che ha il sapore di un’Italia che è scomparsa, l‘Italia di Don Camillo e di Pertini), […] potesse essere giustapposta alla ricostruzione di un fatto realmente avvenuto» (S. Della Casa, in Città di Torino, Assessorato alla Gioventù, Cinema e video a Torino 1992, EDT, Torino, 1992).
Scheda a cura di Vittorio Sclaverani
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