Regia Francesco Massaro
Soggetto Enrico Oldoini
Sceneggiatura Enrico Vanzina, Enrico Oldoini, Francesco Massaro, Franco Ferrini
Fotografia Luigi Kuveiller
Operatore Ubaldo Terzano
Musica originale Mariano Detto, Toto Cutugno
Suono Vittorio Massi
Montaggio Alberto Gallitti
Scenografia Massimo Razzi
Costumi Silvio Laurenzi
Trucco Giulio Mastrantonio
Aiuto regia Bruno Cortini
Interpreti Lino Banfi (Lino), Jerry Calà (Parola), Mara Venier (Rossana), Mirella Banti (sorella di Lino), Franco Barbero (cognato di Lino), Annie Belle (la ragazza), Tognella (proprietario del bar), Dino Cassio (Don Raffaele), Ennio Antonelli (scagnozzo di Don Raffaele), Pino Ammendola (il napoletano), Vincenzo Andronico, Ennio Antonelli, Omero Capanna
Direttore di produzione Gino Santarelli
Produzione Pio Angeletti, Adriano De Micheli per International Dean Film
Distribuzione Medusa
Note Girato in Telecolor; foto di scena: Paul Pellet Ronald; canzone: L'italiano di S. Cutugno e C. Minellano; mixage suono: Danilo Moroni; assistente al montaggio: Lidia Pascolini; aiuto al montaggio: Luciana Nusca; altri interpreti: Eolo Capritti, Dino Cassio, Andrea Ciccolella, Maurizio Mauri, Guido Polito, Sergio Vastano, Annabella Schiavone; segretaria di edizione: Patrizia Zulini; segretario di produzione: Roberto Romoli; amministratore: Roberto Mezzaroma.
Locations: Torino (Porte Palatine, mercato di Porta Palazzo, Mole Antonelliana, piazza San Carlo, piazza Carlo Felice, Porta Nuova, Galleria San Federico, via Pietro Micca), Sanremo, Roma.
Studi Incir de Paolis, Roma.
Sinossi
Lino è un emigrato pugliese a Torino che lavora ai Mercati Generali e vive ospite della sorella, sposata ad un operaio della Fiat. Indebitato con un boss mafioso e innamorato della cassiera del Bar Sport, Lino ha pochi amici, poveri e disperati come lui. Tra di loro c'è Parola, sguattero muto del bar, grazie al quale Lino azzecca uno strepitoso "tredici" al totocalcio da un miliardo e trecento milioni. Lino decide di non dirlo a nessuno, ma presto la cosa si viene a sapere e tutti, sorella e cognato soprattutto, diventano improvvisamente gentili. Lino però riesce ad allontanare i sospetti e, con Parola, scappa verso la Francia. A Sanremo però Parola si gioca quasi tutti i soldi al Casinò: sarà Lino, con gli ultimi spiccioli, a recuperare ed incrementare la vincita originaria.
«Ambientata a Torino, con scenette girate fra i “terroni” di Porta Palazzo e altre situate nei piani alti della Mole Antonelliana, la vicenda, sotto il profilo interpretativo, concede via libera a una coppia, tutto sommato, facilmente spassosa come può essere quella formata da Lino Banfi e Jerry Calà. […] Il filmetto è stiracchiato e dilatato non solo dalla proiezione su schermo gigante, ma anche da una sceneggiatura ripetitiva che gonfia a oltre 100 minuti di proiezione l’aneddoto, che avrebbe avuto la giusta misura in uno “sketch” di mezz’ora. Lino Banfi è sempre piacevole, anche se va, come d’uso, sopra le righe, Jerry Calà, ex Gatto di vicolo Miracoli, è il suo compare di nome Parola che, per contrasto, è privo della medesimo. Si spiega a gesti, fa bene il “mimo-clown”, richiamando alla memoria il “muto” Harpo Marx» (A.V., “La Stampa”, 9.10.1983).
«Il cinema sportivo all’italiana non può che essere lo specchio della concezione nostrana dello sport: affare di bar più che di campo o di palestra, agonismo della schedina più che del match. In contemporanea con l’inizio del campionato ecco dunque Al bar dello sport, regia di Francesco Massaro: e mai la definizione “serie B” si è adattata meglio a un film. La trama è totocalcistica: un tredici da più di un miliardo giocato in un bar torinese e la relativa caccia al fortunato vincitore […]. Il film, prodotto da Angeletti e De Micheli, gioca con due punte: Lino Banfi nella parte del tredicista e Jerry Calà in quella dell’amico, un muto da choc da tavolo verde, che non è più riuscito a emettere un suono dopo un irresponsabile “vedo” da settanta milioni. L’idea non è delle più indovinate e fa sorgere molti dubbi sulla capacità del cinema italiano di utilizzare il proprio parco giocatori: Jerry Calà non è un genio della comicità, specie gestuale, e togliergli la parola significa sottrargli l’ottanta per replica omega cento delle sue già scarse risorse […]. Ma la colpa, come sempre, è del mister. O degli sceneggiatori, che sono quattro, e fra essi anche alcuni che erano partiti con qualche ambizione come Franco Ferrini e Enrico Oldoini e che ora si riducono a far dire “belìn” ai genovesi, “rump nen le bale” ai torinesi e “cazzo” a tutti gli altri» (A. F., “la Repubblica”, 9.10.1983).
«Un film che dietro le tante risate cela lo specchio di una realtà che potrebbe essere la vostra se aveste la fortuna di vincere al totocalcio e la sfortuna di avere un’infinità di parenti e amici bisognosi, pronti a spolparvi di tutto» (Odiemme, “La Stampa”, 9.10.1983).
Scheda a cura di Matteo Pollone
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