Visto censura 16013 del 15.2.1954; 2170 metri. Incasso: 142.980.000 lire. Anno di produzione: 1953.
Supervisione alla regia: Ralph Murphy; organizzazione generale: Giampaolo Bigazzi.
Girato negli studi FERT di Torino.
Giorgio Venturini mette in moto contemporaneamente la lavorazione di I misteri della Giunla Nera e La vendetta dei Tughs per abbattere i costi utilizzando le stesse scenografie, gli stessi costumi, lo tesso cast tecnico e artistico, secondo i principi dello studio system. Ma questo metodo di lavoro «richiede oltre alla rapidità di esecuzione, anche un tempismo ineccepibile. Non si può infatti pensare al rapido trasferimento di scene da un teatro all’altro per la loro rigenerazione, alla riutilizzazione di costumi, all’impiego degli attori in equilibrata e perfetta alternanza di set, se i tempi delle riprese di uno o dell’altro film non vengono rispettati. Basta un giorno di ritardo e tutta l‘organizzazione integrata salta, con danni economici ma anche con inevitabili gravi conseguenze sulla qualità delle opere. Infatti si rimanipolano in continuazione le sceneggiature, si preferisce tagliare, in sostanza, piuttosto che rinviare, e alla fine è sempre invitabile compere scelte dolorose e poiché sarebbe pensier ben poco accorto / perder duo vivi per salvare un morto, si cerca di salvare almeno il primo film portandolo ad un dignitoso livello, sacrificando il secondo. Così avviene in questo caso ed infatti Vendetta dei Tughs non solo non è un film, ma segna l’unico vero momento di caduta nel gusto e nell’onestà professionale di Venturini che licenzia un film di 75 minuti in cui compaiono lunghi brani di animali, di giungla, di esterni generici, di documentari folcloristici, tutti raccolti nei fondi di magazzino, e in cui vengono riproposte sia per l’introduzione riassuntiva della storia sia per alcuni flashback, intere sequenze di I misteri della Giungla Nera. L’opera finale è dunque un ammasso di materiali eterogenei ed in più duelli poveri, un balletto miserando, corse e inseguimenti per i corridoi e gli anfratti del tempio sotterraneo. […] Una nota curiosa viene infine dalle risolte difficoltà nell’uso del Ferraniacolor, ricordando che alla proiezione dei rush di Vendetta dei Tughs, saltava fuori una bella foresta tutta blu poiché non si era usato il filtro arancione. Ma di fronte ai costi di nuove riprese Venturini suggerisce invece d’inserire in fase di doppiaggio la battuta “Che bella foresta blu”, salvando qualche metro di girato» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Le produzioni Venturini, dettate esclusivamente da moventi speculativi – due, tre film vengono girati contemporaneamente con gli stessi costumi, con le medesime scenografie e gli stessi attori, di modo che anche se incassano poco, vengono sempre a costare meno – non ambiscono certamente a un giudizio artistico. Ma si vorrebbe per lo meno che sul piano dello spettacolo fossero efficaci. E invece qui tutta la facile fantasia di Salgari viene completamente sciupata e le avventure di Tremalnaik si riducono a una monotona serie di inseguimenti per i corridoi misteriosi del tempio della dea Kali alternati a qualche visione del campo inglese, a un paio di inquadrature tra gli alberi di una giungla casalinga» (p.g., “l’Unità”, 19.6.1954).
«La vendetta dei Tughs, diretto sveltamente da Ralph Murphy e Gian Paolo Callegari […] ha per teatro i fiumi e la collina della nostra città; nonostante le movimentate imprese di Tremal Naik che fa la spola, via giungla, senza un attimo di respiro, dalla guarnigione inglese al tempio sacro della dea Kalì multibraccia, nonostante il discreto uso del colore e la buona volontà e la disinvoltura degli interpreti, scorre nel film un’aria di avventure a buon mercato, un senso di provvisorio e abborracciato e soprattutto s’intravvede quanto abbiano potuto “polizieschi” e “western” deformare i genuini mitici eroi di tante generazioni» (Vice, “La Gazzetta del Popolo”, 19.6.1954).
«Il film, che si riallaccia agli altri della stessa casa, tratti dai romanzi di Salgari, è, dal punto di vista cinematografico, un lavoro mediocre» (“Segnalazioni cinematografiche”, vol. XXXV, 1954).