Regia Steno (Stefano Vanzina)
Soggetto Sergio Donati, Luciano Vincenzoni, Steno (Stefano Vanzina), da un’idea di Giulio Questi
Sceneggiatura Sergio Donati, Luciano Vincenzoni, Steno (Stefano Vanzina)
Fotografia Aldo Tonti
Operatore Luciano Tonti
Musica originale Enzo Jannacci
Suono Alvaro Orsini
Montaggio Raimondo Crociani
Scenografia Gianni Polidori
Arredamento Riccardo Domenici
Costumi Franco Carretti
Trucco Mario Scutti
Aiuto regia Massimo Carocci
Interpreti Teo Teocoli (Peppe Truzzoliti), Mario Scarpetta (Antonio Mancuso), Dalila Di Lazzaro (Domenica Chiavegato), Mario Carotenuto (cav. Amedeo Zerolli), Alberto Lionello (lo scultore), Franca Valeri (contessa Giovanna), Enrico Montesano (il rapinatore romano), Duilio Del Prete (il censore), Orazio Orlando (Oronzo), Clelia Matania (madre di Peppe), Loris Bazzocchi (trafficante di droga), Sergio Di Pinto (figlio di Zerolli), Marisa Laurito (Rosalia), Armando Marra (Scognamiglio), Barbara Herrera (signora Pautasso)
Ispettore di produzione Gino Santarelli
Produzione Franco Caramelli e Gianfranco Lastrucci per Splendid Pictures
Distribuzione Gold Film
Note Nulla Osta n. 68.271 del 7.4.76; 2793 metri. Prima proiezione pubblica: 13.4.1976.
Girato in Technicolor, Panoramico; assistenti operatore: Antonio Annunziata, Enrico Priori; fotografo di scena: Giulio Claudio Petrarca; direttore d’orchestra: Enzo Jannacci; microfonista: Roberto Pettini; assistente al montaggio: Francesco Malvestito; assistente costumista: Cristina Lafayette; sarta: Maria Zara; parrucchiere: Gerardo Raffaelli; altri interpreti: Giovanni Pallavicino (capomafia), Carla Calò (madre di Antonio), Marcello Alessandri; segretaria produzione: Barbara Verni; segretaria di edizione: Maria Giuseppina De Simone; amministratori: Maurizio Anticoli, Pietro Innocenzi.
Il film è stato girato in parte a Torino.
Sinossi
Nino e Peppe sono due immigrati meridionali che a Torino non hanno fatto fortuna. Per sbarcare il lunario accettano un “lavoro” da un gruppo di mafiosi, ma l’affare va male e, per sfuggire a una sicura vendetta decidono di abbandonare il Nod, che non ha mai offerto loro una vita dignitosa. Ritornano al Sud e portano con loro la bella Domenica, una giovane prostituta veneta. Dopo un viaggio tormentato da incontri sfortunati, quando arrivano al loro paese Nino e Peppe scoprono che tra le loro due famiglie è in atto una faida e la logica d’onore vorrebbe che i due si ammazzassero a vicenda. Provvidenziale è la bomba che esplode sotto la loro auto, piazzata della banda di mafiosi che nel frattempo li ha rintracciati. Nino e Peppe sono dati per morti: i due, recuperata Domenica, che nel frattempo era finita prigioniera di un giudice moralista (e che muore durante la visione di “Gola profonda”), risalgono verso il Nord.
Dichiarazioni
«I diritti del film li aveva comparati Galliano Juso, [...]. Galliano cercò un produttore più grande per a avere i soldi e s’accordò con Ponti. Ma con lui le cose non andarono bene. Discutemmo un paio di mesi,senza mai metterci d’accordo. [...] Ponti voleva metterci i suoi amici e le sue attrici. Finimmo con una furiosa litigata. Presi i soldi che mi doveva e me ne andai in Sudamerica. La storia, l’anima, del mio film furono poi completamente cambiati. Il mio nome è rimasto credo solo per obbligo di legge» (G. Questi, in B. Ventavoli, Al diavolo la celebrità, Lindau, Torinmo,1999).
Uno dei pochi road movies italiani parte dall’idea di Giulio Questi di far ritornare alla terra natale due poveri spiantati che nel grande Nord delle fabbriche non hanno fatto fortuna, anzi, hanno trovato perso le proprie illusioni. Nel pieno del fermento dell’Italia degli anni Settanta (il film è del 1976) i due protagonisti fanno un viaggio a ritroso non per cercare radici, ma per sfuggire alla miseria. Il miracolo economico, per loro, non è mai arrivato: è svanito definitivamente. In un certo senso è un soggetto che precorre i tempi: quindici anni dopo, Gabriele Salvatores, manderà i suoi personaggi a ricercare tanti altri “Sud” dove ricominciare la propria esistenza.
La regia di Steno però modifica in modo significativo il soggetto di partenza, facendolo di fatto diventare una commedia amarognola, che si conclude (quasi) positivamente. Giulio Questi aveva infatti previsto la morte dei due: avrebbero dovuto perire, nelle intenzioni del soggettista, ucciso da una faida famigliare in un paese del Sud riarso dal sole e dimenticato da tutti. Steno trasforma di fatto un film dal soggetto disperato e anarcoide in un altro dei suoi tanti film “di mestiere”, misurato nella sua comicità che sfiora talvolta il grottesco. Nell’Italia degli anni Settanta non sembra esserci via d’uscita, per Steno, né possibilità di cambiamento: i personaggi fuggono nuovamente, tornando in un Nord nebbioso e cupo.
«[...] Steno, che la cosa piaccia o non piaccia ha fotografato l’Italia dei luoghi comuni, del vicino di casa. Il paternalismo del film è il paternalismo all’italiana; il qualunquismo della sceneggiatura corrisponde al qualunquismo nazionale. Criticare il film significa criticare l’Italia che riempie le platee della pellicola di Steno e ride nel riconoscersi» (G. Grazzini, “Corriere della Sera”, 9.5.1976).
«I guai dell\'Italia d\'oggi - disoccupazione, scioperi, corruzione, criminalità eccetera - sono diventati, nelle mani dei due sceneggiatori e di un regista più portati a favorire la “cassetta” che la maturazione civile dello spettatore - occasione per una serie di sketches da avanspettacolo» (“Segnalazioni Cinematografiche”, vol. 81, 1976).
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