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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



La porta delle 7 stelle
Italia, 2005, 35mm, 100', Colore

Altri titoli: La porta delle sette stelle, Door of the Seven Stars

Regia
Pasquale Pozzessere

Soggetto
Ugo Leonzio, Pasquale Pozzessere

Sceneggiatura
Ugo Leonzio, Pasquale Pozzessere

Fotografia
Bruno Cascio

Operatore
Salvatore Bognanni

Musica originale
Matz Hedberg

Suono
Mario Iaquone

Montaggio
Carlo Valerio

Scenografia
Cinzia di Mauro

Arredamento
Cinzia di Mauro

Costumi
Stefano Giovani

Trucco
Caterina Sisto

Aiuto regia
Giovanni Vaccarelli, Kanchan Ghosh

Interpreti
Stefano Dionisi (David), Sabrina Colle (Arianna), Pilar Abella (Irina), Barbara Lerici (Anna), Cosimo Fusco (Raimondo), Federico Scribani (padre David), Toni Campa (Prof. Danesi), Vassant Armando (Pradip), Luca Buratto (David a 8 anni), Tommaso Maganzani (David a 18 anni), Stefano Pesce (Paolo), Mario Scarpetta (Barone Glesingher), Barbara Mautino (Sonia), Giuseppe Bevilacqua (Claudio), Jasmine Sannino (cantante rock)

Casting
Giovanni Vaccarelli

Direttore di produzione
Alberto Leotti

Ispettore di produzione
Rita Lagonigro, Riccardo Borni

Produttore esecutivo
Ugo Tucci, Piero Amati, Robin Melville

Produzione
Ugo Tucci, Renata Rainieri, Pasquale Pozzessere per Demian Film, Italgest Video, I.P.E

Distribuzione
Stazione Marittima

Note
Anno di produzione: 2003.
Musicisti: Matz Hedberg (chitarra classica, elettrica, Sitar), Arturo Vallante (pianoforte), Giancarlo Maurino (sax soprano), Antonio Pellegrino (violino), Paolo Finotti (viola), Luca Pincini (1° violoncello), Sonia Romano (2° violoncello), Jasmine Sannino (voci), Maurizio Boco (batteria BFH), Lorenzo Feliciani (basso BFH); suono Dolby Digital; montaggio suono: Rita Polidori; assistente al montaggio: Domenico Granata; altri interpreti: Maja Avramovic (insegnante di piano), Boris Bila (Roberta), Caterina Sisto (madre di David), Angelo Giuliano (giocatore di roulette), Lorenzo De Biase (Melissa), Karma B. (Paolo a 18 anni), Timothy Martin (giudice), Milutin Dapcevic, Vladimir Aleksic, Roberta Limoncelli, Angelo Cannarile; supervisione artistica: Cristina Ghergo; segretaria di edizione: Francesca Vallarino; assistenti alla regia: Kanchan Ghosh, Lucia Di Donato, Barbara Di Sarno, Fabrizio Dello Russo; produttore associato: Leonardo Giuliano; coordinatore di produzione: Riccardo Dalla Chiesa; segretari di produzione: Simone Contu, Marco Famiglietti; organizzatore: Robin Melville.
 
Il film, realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di Film Commission Torino Piemonte, è stato girato a Torino, Belgrado (Jugoslavia), Mumbai e Goa (India).




Sinossi
David è un giovane prodigio del pianoforte e vive in India fino al misterioso assassinio della madre antropologa, violentata e decapitata forse durante un rito tribale. In seguito a questo  tragico avvenimento, David si trasferisce in Italia col padre, dove continua gli studi al Conservatorio. Li abbandona presto per intraprendere la carriera militare diventando pilota dell’Aviazione. La morte del padre lo fa allontanare anche da questa strada per sperimentarne un’altra. Raimondo, un uomo di potere, gli dà l’incarico di pilotare il suo elicottero personale e di coordinare l’attività del giovane Pradip, hacker indiano, in compagnia dalla bella Arianna (amante di Raimondo). L'incontro tra Arianna - la cui infanzia è stata segnata dal suicidio del padre – e David scatena un’attrazione reciproca.




Dichiarazioni
«Infiniti sono i modi in cui può nascere una storia d’amore, ma altrettanto infiniti, imprevedibili e misteriosi sono quelli che la fanno vivere. A volte quello che attrae fatalmente due persone in una passione amorosa è la parte più oscura e segreta della loro vita. David, il protagonista di questa storia, è idealmente ispirato al Siddharta. È un uomo di successo, ha un talento particolare che si applica con risultati eccezionali alle attività più disparate. È giovane, colto, attraente. Al centro della sua vita c’è un buco che forse ha rimosso, la morte tragica di sua madre» (P. Pozzessere, www.cineclick.it).
 
«La donna che il protagonista incontra è quello che Stendhal definiva “l'amour passion”» (Pasquale Pozzessere, www.reflections.it/film).
 
«L’idea iniziale era quella di portare sullo schermo una storia d’amore estrema, creare la simmetria tra due affetti congelati» (U. Leonzio, http://www.cinema4stelle.it/).





«Pozzessere ha sentito l’esigenza di raccontare due aspetti particolarmente attuali della società contemporanea: l’attrazione della ricchezza e la vita senza scrupoli di pochi che, da soli, posseggono la maggior parte di beni dell’intero brulicante pianeta; e il senso di vuoto interiore che spinge alcuni alla ricerca, anche se spesso disordinata, del senso della vita. [...] Il film freddamente ci conduce in ambienti esotici e mistici indiani e disastrati come quelli della ex Jugoslavia, che fanno da sfondo a una storia di potere e di traffici illeciti. Pozzessere utilizza frequenti flashback, con suggestive dissolvenze in rosso per motivare l’origine psicologica delle scelte del protagonista e saturare nello spettatore le lacune di informazioni. Molti temi, tutti collegati tra loro, vengono mostrati come la tensione implacabile di amore e morte che opprime i personaggi; il legame tra la figura materna e le spinte emotive profonde, le manifestazioni di questi processi nelle relazioni sociali ed economiche della realtà contemporanea per cui le storie d’amore si sviluppano condizionate dalle esperienze vissute precedentemente e le scelte di vita obbediscono a sotterranei inconsapevoli impulsi; la dimostrazione di come il valore e l’utilità delle persone siano quantificate come cose» (F. Govoni, “Cinemasessanta” n. 5/285, settembre-ottobre 2005).
 
 
«[...] il film simile a un'in­terminabile soap-opera dal sapore fumettistico, parte dall'ansia del suo protagonista di "sperimentare". Ideal­mente ispirato a Siddharta, David è ossessionato da limiti da violare, con­fini da superare, ma, soprattutto, dalla memoria di un passato che non si può cancellare. [...] Girato tra l'india, la ex Iugoslavia e Torino, La porta delle sette stelle assomiglia molto a un ibrido di più generi lettera­ri, infarcito delle più svariate temati­che. Sovraccarica di spunti la sceneg­giatura perde di credibilità, zigzagan­do tra passato e presente e facendoci subire per di più l'interpretazione sopra le righe dei personaggi» (V. Barteri, “Film” n. 77, settembre-ottobre 2005).
 
«”The door of the seven stars" è l'albergo dell'infanzia, in India. E anche il luogo del ritorno, dopo il percorso esperienziale che fa nascere dal bambino l'uomo, secondo una circolarità mistica dichiaratamente ispirata a Siddharta. Varie e puntuali sono le attinenze con il romanzo che fu di culto per più di una generazione, nel dipanarsi dell'approccio di David al suo "io profondo" a partire dalla traumatica perdita della madre fino al congiungimento definitivo con quella, delle due donne amate, più vicina a lui nella cognizione del dolore. […] Nel suo ultimo (girato nel 2003) non fortunato film Pasquale Pozzessere, e con lui di nuovo Stefano Dionisi di dieci anni più maturo, ancora una volta piega la regìa, priva affatto di virtuosismi, alla ricerca di una risposta individuale all'oppressione: dall'India a Torino ai Balcani e ritorno, tutto quello che avreste voluto sapere, e qualcosa in più, sui poteri occulti che controllano il mondo» (a.pre., “Segnocinema” n. 141, settembre-ottobre 2006).
 
«Pasquale Pozzessere, che finora, nel cinema italiano, si era aperto spazi lusinghieri con tre film di serio impegno […] questa volta ha messo insieme troppi fatti e con intenzioni contraddittorie. Il trauma infantile serve da guida, ma non giustifica sempre l’incontro-scontro con la musica, quello con la vita militare e, soprattutto, quello con il mondo degli affari in cui si affollano temi d’ogni tipo, dalle truffe con il computer, alla produzione di armi batteriologiche e addirittura al traffico di organi. L'ordine narrativo ne è alterato, con il rischio che, a tratti, non si privilegi la chiarezza e il linguaggio, nonostante Pozzessere abbia dimostrato di dominare felicemente tutti i ferri del suo mestiere, stenta a trovare un equilibrio, visivo e di climi, fra le tanti parti in cui l’azione si scompone. Le domina comunque con sufficiente sicurezza Stefano Dionisi, spesso presente nel cinema di Pozzessere, che, per il personaggio di David, riesce a trovare accenti plausibili. Ma non è molto» (G. L. Rondi, “Il Tempo”, 1.7.2005).
 
«Siddharta è diventato ed è rimasto un libro amatissimo soprattutto dai lettori giovani, con un successo mondiale vasto e costante: ed il regista Pasquale Pozzessere ha scelto questa opera di fusione Oriente-Occidente come ispirazione per il suo nuovo film La porta delle 7 stelle (7 è un numero magico, il titolo è il nome di un albergo dove il protagonista era stato felice nell’infanzia). […] Nel film diviso in cinque parti e senza ordine cronologico è bella Torino luminosa, splendente nell’oscurità; è interessante il personaggio del grande manager arricchitosi con la ricerca sull’Aids e finito in galera; sono terribili certe cifre (“Il 18% della popolazione mondiale possiede l’80% della ricchezza mondiale”). È bravo davvero Stefano Dionisi. È girato molto bene il film de-strutturato e slungato che non arriva all’altezza delle proprie ambizioni» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 1.7.2005).
 
«Il regista pecca per accesso, accarezza il suo non eroe reso con espressive sfumature da Stefano Dionisi, vorrebbe allargare lo spot del riflettore esistenziale ai nuovi magnati e ai loro imbrogli, alla filosofia alternativa di vita: alla fine stringe il pacco sentimental-ideologico col laccio di un amore forse, può darsi, magari, eterno» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 2.7.2005).
 
«Al suo quarto lungometraggio, Pasquale Pozzessere percepisce lucidamente il tragico scisma del nostro tempo, ossia il possesso delle risorse disponibili da parte di un gruppo elitario. Se la statistica appare verosimile, lo è meno lo sviluppo narrativo» (G. Napoli, “Giornale di Sicilia”, 5.7.2005).
 
«Pasquale Pozzessere con Stefano Dionisi, interprete anche dei suoi Verso Sud e Padre e figlio, compie un altro viaggio tra Torino e l’India, per parlare del potere oggi. Si esplorano così ambiti proibiti e sempre presenti nelle allusioni giornalistiche e nei discorsi della gente, quel mondo delle leve del comando, dove pochi accedono e spesso uno solo decide, così vuole l’immaginario collettivo, il più spietato, il più abile. […] Belgrado postbellica, o il piccolo guru indiano della finanza, l’Aids e i vaccini, la grande truffa delle medicine e l’hackeraggio informatico, il finto altruismo delle grandi società per azioni, il business dei virus da impiegare nelle prossime guerre batteriologiche, ma soprattutto un uso crescente di frasi declamatorie del tipo “il denaro, chi non ce l’ha non può capire, è come non essere mai stati innamorati” oppure “il gioco è come una preghiera” o anche “bisogna avere sempre un desiderio” che invece di dare al racconto un andamento da viaggio interiore alla scoperta dei fantasmi più reconditi, lascia perplessi come spesso succede al cinema italiano troppo scritto, anche se Dionisi ha una lunga consuetudine con l’India» (S. Silvestri, “il manifesto”, 2.7.2005).
 
«Nei cento minuti della durata del film, Pasquale Pozzessere dice tutto e molto, molto di più. Il risultato finale è interessante ma a dir poco caotico. Troppi personaggi appena accennati, temi enormi […], varie location (India, Jugoslavia, Torino) che sembrano scelte più per i bassi costi produttivi che per un’autentica esigenza della vicenda raccontata. Stefano Dionisi s’impegna allo spasimo per capire il suo complesso personaggio e cercare di renderlo nel modo meno ridicolo possibile, gli altri sono a un livello molto più basso e spesso non sono in grado di dare vigore alle battute loro affidate» (F. Fossati, “Corriere Mercantile”, 16.7.2005).
 
«Lo spunto iniziale, di visionaria indignazione sul potere pervasivo del denaro, era probabilmente generoso e sincero. Ma il risultato è una sfilza di banalità moralistiche e dialoghi pseudo-poetici sul filo del ridicolo, interpretati da attori storditi e attrici pessime. La regia è trasandata, irriconoscibile la mano del potente regista di Verso Sud e Padre e figlio» (E. Morreale, “Film Tv” n. 31, 2005).
 
«Abituati alla forza rigorosamente centripeta dei suoi film precedenti, abbiamo fatto fatica ad abituarci alla volontà autenticamente centrifuga di quest’opera, generosa e vitale come pochi altri film italiani di oggi sanno essere, capace di sbagliare, di deragliare in corsa, condannandosi all’invisibilità protratta troppo a lungo (il film è addirittura del 2003), eppure in grado di aprirci squarci di assoluta bellezza (certi momenti in cui Torino non è mai stata così affascinante al cinema), di quelli che ti travolgono improvvisamente, lasciandoti riflettere su quanto sia bello e necessario un cinema imperfetto e passionale come questo, meravigliosamente simile alla vita…» (F. Ruggeri, www.sentieriselvaggi.it, 15.7.2005).

«Girato con eleganza ed impreziosito dalla bella fotografia di Bruno Cascio, attivo soprattutto in televisione, La porta delle 7 stelle, che si avvale anche della presenza del compianto Mario Scarpetta, se in un primo momento può suscitare un certo interesse nello spettatore, assume a lungo andare, purtroppo, i ritmi di una soporifera ed interminabile soap-opera, penalizzato soprattutto dall’infinità di dialoghi che cercano di far emergere a tutti i costi un contenuto filosofico (perfino nelle sequenze di sesso!), finendo, paradossalmente, per risultare soltanto grotteschi» (F. Lomuscio, www.cinema4stelle.it).



Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
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