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Lungometraggi |
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Bubù
Italia, 1971, 35mm, 99', Colore
Regia Mario Bolognini
Soggetto dal romanzo Bubù di Montparnasse di Charles Louis Philippe
Sceneggiatura Giovanni Testori, Mauro Bolognini, Mario Di Nardo
Fotografia Ennio Guarnieri
Operatore Pasquale Rachini
Musica originale Carlo Rustichelli
Musiche di repertorio Ferré, Verlaine (Ecouter la chanson), Ferré, Verlaine, Tarozzi (Ascolta la canzone)
Montaggio Nino Baragli
Scenografia Piero Tosi
Costumi Piero Tosi
Trucco Vittorio Biseo
Aiuto regia Piero Baldini, Antonio Canti, Rolando Raparelli
Interpreti Massimo Ranieri (Piero), Ottavia Piccolo (Berta), Antonio Falsi (Luigi Bertò, “Bubù”), Luigi Proietti (Giulio), Gianna Serra (Bianca), Marcella Valeri (madre di “Bubù”), Nike Arrighi, Alain Nayà, Anna Fadda, Sandra Cardini, Brizio Montinaro, Iole Silvani, Alessandro Francisci, Dolly Samperi, Luigi Antonio Guerra
Ispettore di produzione Carlo Giovagnorio, Elio Manni
Produzione B.R.C. Produzione Film
Distribuzione Euro International Film
Note Girato in Technochrome; assistenti operatori: Giulio Battiferri, Giorgio Urbinelli; fotografo di scena: Angelo Novi; cantanti: Leo Ferré, Giorgio Gaber; effetti sonori: Luciano Anzellotti; assistente al montaggio: Vivi Tonini; mixage: Romano Pampaloni; architetto: Guido Josia; aiuto arredatore: Gianfranco De Dominici; aiuto costumista: Gabriella Pescucci; parrucchiere: Maria Teresa Corridoni, Gilda De Guilmi; direttore di produzione: Manolo Bolognini; organizzazione generale: Paolo Frascà; teatri di posa: De Paolis; vietato ai minori di 18 anni.
Sinossi
Avviata alla prostituzione dal fornaio Luigi (detto “Bubù”), Berta incontra Piero, timido studente. La donna è costretta a soggiornare in un ospedale avendo contratto la sifilide con cui ha contagiato anche Piero e Bubù. Quest’ultimo finisce in galera per un furto e Berta, una volta dimessa, inizia una nuova vita con Piero; ma non appena uscito, lo sfruttatore costringe nuovamente Berta sul marciapiede, senza trovare l’opposizione del remissivo Piero.
Dichiarazioni
«Luoghi di Milano e Torino sono stati gentilmente prestati come naturali scenografie d’una vicenda che nella rielaborazione filmica non è più propriamente parigina, ma inserita in un centro del Nord senza riferimenti topografici precisi» (M. Bolognini, “La Stampa”, 6.2.1971).
«Quando ho girato Bubù, Bolognini mi ha detto che il personaggio dolente della prostituta per amore era fatto apposta per me. E forse è vero, i personaggi trasfigurati dall’amore sono quelli nei quali mi sono sempre riconosciuta, anche quando leggevo i libri o guardavo i film degli altri. Anche se il film era ambientato a Milano abbiamo girato molte scene a Torino perché la città era più intatta, e quindi più adatta a girare scene in costume. Bolognini è un regista preciso e meticoloso e a Torino si trovava molto bene: fu lui a trasfondere in me l’amore per una città che fino a quel momento conoscevo pochissimo» (O. Piccolo, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
Tratto dal breve romanzo populista Bubu de Montparnasse di Charles Louis Philippe (pubblicato nel 1901), il film di Bolognini trasporta la vicenda parigina in un’ambientazione non definita: i luoghi di Torino e di Milano che appaiono non suggeriscono riferimenti geografici espliciti, ma suscitano richiami visivi ad un certo clima pittorico fin-de-siècle. «Al parigino, e così vividamente descritto, boulevard Sébastopol, alle diverse rues Greneta, Chanoinesse, Malebranche ecc., si sono sovrapposte strade e case milanesi e torinesi, ossia delle due città ove Bubù (non più “di Montparnasse”) è stato principalmente girato. Torino e Milano hanno zone scampate in così miracoloso modo al massacro urbanistico da poter figurare come genuino sfondo a una storia impossibile oggi a collocarsi con assoluta verità su quello ideato, intorno al 1900, dall’autore del libro. Luoghi come piazza Quattro Marzo nella nostra città; a Milano, Largo Richini e la zona dei Lavatoi dei Navigli» (A. Valdata, “La Stampa”, 6.2.1971) costituiscono locations suggestive sia a vello di verosimiglianza storica, sia a livello estetico-figurativo.
La bellezza delle immagini e la qualità dell’interpretazione sono proprio gli elementi che hanno suscitato il maggiore interesse delle critica. «Sul piano calligrafico-culturale fin quando sono in gioco impegni figurativi che sollecitano il regista a liberare suggestioni pittoriche (in Metello erano i Macchiaioli, qui sono gli Impressionisti e più spiccatamente Toulose-Lautrec), il film è certamente fine. Ma quando si entra nella psicologia o anche nella semplice storia di quel piccolo-grande amore romantico, a Bolognini cadono le vele, e lo spettatore è diviso tra due impressioni che sembrano e non sono contrastanti: quella di un tenerume troppo vieto perché attacchi, e quella d’una frigidità di fondo che impedisce la piena fioritura del tema pucciniano» (L. Pestelli, “La Stampa”, 10.2.1971).
Il film rientra a pieno titolo negli schemi drammaturgici della letteratura naturalista e del melodramma decadentista; si sentono echi del teatro di Bertolazzi e del giornalismo verista di Paolo Valera. Nello squallido micro-universo in cui vive Berta si imbatte Piero, giovane studente socialista, ingenuo e idealista: «la sua doppia educazione sessuale e sociale gli farà perdere tutta la confidenza nelle sue idee generose, ma inoperanti di fronte alla materialità della miseria» (R. Bassan, “Ecran”, n. 57, 1977). La piccola prostituta Berta si trova così contesa da due uomini per tanti versi opposti tra loro: da una parte l’idealista Piero, dall’altra il cinico e spietato Bubù. La giovane Ottavia Piccolo dimostra di possedere grande sensibilità nell’interpretazione di questo personaggio complesso, al tempo stesso fragile e capace di grande coraggio nell’affrontare la vita. Alquanto legnoso e monocorde appare invece Massimo Ranieri, che in Metello appariva molto più “dentro” il suo personaggio.
Forse è rinvenibile qualche ascendenza di Pasolini (con il quale Bolognini ha avuto intensi rapporti di lavoro) nei personaggi dei proletari emarginati, disperati, senza redenzione, angariati dalla miseria economica e morale. La stessa sofferente popolazione urbana a cavallo tra Ottocento e Novecento è già al centro di Metello, che il regista pistoiese firma pochi mesi prima di questo film.
Secondo Alberto Moravia Bubù costituisce l’ennesimo “tuffo nel passato” che Mauro Bolognini ama fare con quasi tutti i suoi lavori. «In Metello il passato è il primo socialismo italiano; in Bubù, la sifilide. Bubù è un film migliore di Metello e forse uno dei migliori del regista appunto perché la sifilide, pur appartenendo al passato, non è un fatto di cultura ma di costume e Bolognini ha più sensibilità per il costume che per il dato culturale» (A. Moravia, “L’Espresso”, 21.2.1971).
Il passato che questo regista è solito mostrare è un tempo di miseria, meschinità, angustia, ristrettezza, mortificazione, vergogna: egli ci fa «penetrare nelle schifose corsie degli ospedali, nei luridi appartamenti di abitazione, negli squallidi cortili dei poveri e nelle odiose strade dei ricchi […]. Il lui questo sentimento di orrore per il passato non si esprime solo negli stracci, nelle calcinature, nello squallore ma soprattutto nello spessore della rappresentazione, segno indubbio di una partecipazione poetica» (Ibidem).
Scheda a cura di Davide Larocca
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