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Lungometraggi |
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Il quadrato: definizione di spazio
Italia, 1972, 8mm, 150', B/N e colore
Regia Tonino De Bernardi
Soggetto Tonino De Bernardi
Sceneggiatura Tonino De Bernardi
Produzione Tonino De Bernardi
Note Film sonoro girato a Casalborgone, nella casa in campagna del regista.
Sinossi
«Adesso giro Definizione di spazio, oppure anche Il quadrato. Il montaggio lo elimino di nuovo, però le bobine che ho girato finora non le ho numerate per cui, quando saranno sviluppate, o le riconosco, capisco l’ordine naturale, o non lo capisco ed allora lo farò io, come se fosse naturale. Questo film è molto bello (ride). Vi è una grossa prima parte in cui vi è sempre uno stesso spazio in cui avvengono le cose, uno spazio fisico, le colline gli alberi la casa le sedie il tavolino la culla le foglie le farfalle, quando c’erano… anche le foglie sono cadute, il vento, l’albero spoglio, noi ci ritiriamo sempre più in casa…. ma la casa all’interno si vede poche volte. Ed ecco che sorge un altro spazio, un altro luogo, che è l’aula, l’aula dove io faccio le lezioni a scuola, e i ragazzi, e poi di nuovo l’albero l’orizzonte quello che io vedo all’orizzonte quello che scelgo la luce, no, così, poi di nuovo l’aula di nuovo i ragazzi e poi c’è il mare e poi ci saranno i ragazzi cioè la scuola e ci sarà l’interno della casa e poi ci sarà la città e poi spero che finisca» (T. De Bernardi, “Filmcritica” n. 221, gennaio 1972).
Dichiarazioni
«Questi film volevano essere sempre la definizione di qualcosa, la definizione delle persone e dello spazio intorno a me. […] Per tutti gli anni ’70 sono vissuto a Casalborgone, in campagna, con la famiglia. Il primo film che ho girato lì si intitolava Definizione dello spazio: il quadrato, ed era appunto la definizione del cortile della mia cascina, dove stava la culla della mia prima figlia appena nata. In fondo era un po’ come stare dentro una prigione, ma a quel tempo non la sentivo come tale: i quattro lati che ci avvolgevano erano lati di natura. A quel tempo si diceva che il privato era politico e io ci ho creduto davvero. Alfredo Leonardi mi scrisse una lettera in cui mi diceva: “Tonino, svegliati, tra poco qui arrivano i fascisti e tu continui a stare nel quadrato del tuo giardino”. Ma a me è sempre piaciuto piantare qualcosa, vederlo spuntare e crescere, e poi anche soffocare tra le erbe che lasciavo crescere perché non curavo la terra. Questo in un certo senso mi ha salvato, perché sono andato avanti credendo che anche l’underground andasse avanti, mentre invece a metà degli anni ’70 era già tutto finito» (T. De Bernardi, in S. Francia di Celle, S. Toffetti, a cura, Dalle lontane province. Il cinema di Tonino De Bernardi, Lindau, Torino, 1995).
«De Bernardi ritorna alla narrazione diacronica. Il quadrato, prima di essere forse il rettangolo dello schermo, è l’aia su cui si svolge gran parte del film, che ha un centro quasi narrativo: una culla. Vediamo quello che circonda questo oggetto bianco, come il mondo accoglie la nuova abitante. Nei film “lunghi” sembra che De Bernardi si muova verso un’austerità sempre maggiore, e lo spettatore è sempre più invogliato ad accusare De Bernardi di fare un reportage familiare. Ma dovrà tenere presente lo spazio definito, che è sempre la chiave dell’inquadratura, mai puramente descrittiva. E notare come insensibilmente certe tecniche di ripresa siano mutate, e De Bernardi disegni con grande rapidità paesaggi e ambienti: la campagna, quindi il mare, e quindi ancora la campagna. Un altro metodo di lettura fecondo è quello di considerare ogni sequenza come un piccolo film: il ragazzo che legge sul pendio, la casa e la culla sullo sfondo, la donna seduta nell’ombra con una sorta di castello sullo sfondo illuminato dal tramonto, la cinepresa che passa continuamente dal volto al paesaggio. De Bernardi mette a mio parere validamente in discussione tutte le nostre idee del cinema, richiamandosi sempre a un’interrogazione molto più vasta sul senso delle cose. Le sue scelte espressive sono state radicali e terroristiche quanto quelle, di genere diverso, dei filmmakers che hanno scelto la lotta di classe. Ma la situazione dei suoi film è delicata e a lungo andare dovrebbe esaurirsi se non riesce a uscire dal cerchio, dall’illusione dell’atemporalità, dando finalmente espressione a quella violenza che è in essi latente e repressa. De Bernardi esita a venire al dunque, e può con ragione obiettare che il dunque è ogni momento, ogni sequenza, che corrisponde a una serie di gesti suoi risolutivi di una situazione e possibilmente di gesti percettivi nostri. Ma v’è in De Bernardi un’insoddisfazione che lo spinge a cominciare cose sempre nuove, e dalla quale è lecito attendersi dell’altro. Al silenzio, come nel progetto che segue, De Bernardi oppone la parola, che è però attratta inevitabilmente dal magma. Ma conta proprio il momento in cui la parola, immagine, si stacca in un volo disperato dal fondo scuro, nel quale, come dice il poeta, giacciono le corone Ninive» (M. Bacigalupo, “Bianco e Nero”, nn. 5-8, maggio/agosto 1974).
Scheda a cura di Giusy Cutrì
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