Altri titoli: O quadro de Oswaldo Mars
Regia Guido Brignone
Fotografia Anchise Brizzi
Interpreti Mercedes Brignone (la Contessa Anna Maria di San Giusto), Domenico Serra (Osvaldo Mars), Giovanni Cimara (il Conte), François-Paul Donadio, Armand Pouget
Produzione Rodolfi Film, Torino
Note Visto censura n. 16.171 del 1.6.1921; 1.266 metri.
Film distribuito in Brasile.
Copia conservata presso: Cineteca del Comune di Bologna.
Una copia restaurata del film della durata di 60 minuti (1.260 metri) è stata proiettata nel 1991 al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna, con accompagnamento al pianoforte del Maestro Fernand Schirren. Provenienza: Cineteca del Comune di Bologna.
Sinossi
Si mormora che la Contessa Anna Maria di San Giusto abbia una relazione con il pittore Osvaldo Mars, per il quale avrebbe posato nelle vesti di Salomé. Temendo che anche il marito sia convinto della veridicità del pettegolezzo, la donna decide di parlare con l’artista, che non ha mai incontrato, e si reca nel suo studio; sulla porta dell’edificio incontra un uomo che, vedendola, appare profondamente turbato. Osvaldo Mars viene trovato morto, accanto al proprio dipinto lacerato, e la polizia inizia una serie di interrogatori dai quali emergono versioni dei fatti frammentarie e contrastanti. Grazie a una bambina, ripresasi all’improvviso da un malore che la costringeva a letto, il mistero viene svelato: il pittore si è suicidato dopo aver incontrato la Contessa, che ha squarciato la tela per difendere la propria reputazione. La madre della bambina, morta poco tempo prima, era una donna incredibilmente somigliante alla Contessa, che aveva abbandonato la famiglia per diventare l’amante di Osvaldo Mars.
«In un consistente gruppo di opere che [...] si caratterizzano come appartenenti a generi che si sono ormai avviati all' esaurimento, i film prodotti dalla Rodolfi (Il quadro di Osvaldo Mars, Roberto Burat, Stecchini giapponesi e un rullo dal titolo non identificato e indicato provvisoriamente come Anna) hanno più di un motivo di interesse. Sostanziale è l'omogeneità qualitativa, a riprova di un meccanismo produttivo ben avviato che garantiva prodotti decisamente superiori alla media, come pure un serrato impianto narrativo che nel caso de Il quadro di Osvaldo Mars raggiunge anche un'inedita complessità. Prima di entrare nel merito di Osvaldo Mars, è bene citare almeno un altro film la cui struttura narrativa è fortemente caratterizzata. La storia di una donna [...] è interamente costruito su un continuo rimando ad un diario intimo, in un flash-back che inizia dal ritrovamento del diario fra gli effetti personali di una donna in fin di vita. Non si tratta solo di un espediente narrativo, bensì di un meccanismo di scansione della vicenda che vede frequenti ritorni alle pagine, al giovane medico che le legge e che pone l'esito "finale" della vicenda continuamente in primo piano man mano che la storia conduce la donna lungo un fatale percorso di perdizione e redenzione. Il quadro di Osvaldo Mars segue in un certo qual modo questo modello narrativo a distanza. [...] Si tenga presente che tutta la parte relativa agli interrogatori è costruita attraverso un continuo passaggio dal piano del racconto a quello dell'interrogatorio, a cui spesso si aggiunge il montaggio parallelo di altre azioni, compresa quella della bambina malata, la cui funzione narrativa non viene spiegata che alla fine. Il quadro di Osvaldo Mars è un film metadivistico, in cui il corpo della diva viene raddoppiato, trasfigurato nelle sembianze di Salomé, privato della sua funzione narrativa diretta, in cui la diva stessa non solo è vittima di una complessa vicenda, ma vi ha un ruolo sostanzialmente secondario. Il dramma passa per la distruzione dell'immagine divistica (la tela squarciata) e per la rivelazione della verità, affidata ad una bambina resa muta dalla stessa visione del dramma che viene a lungo preclusa allo spettatore. Ad un montaggio notevolmente complesso, del tutto inedito nel cinema italiano dell'epoca, che sostiene perfettamente un'intricata struttura narrativa, si aggiunge una fotografia, una scelta di tagli di inquadrature e di illuminazione che pongono il film molto più vicino al cinema tedesco che a quello italiano» (M. Canosa, G.L. Farinelli, N. Mazzanti, in R. Renzi, a cura, Sperduto nel buio - Il cinema muto italiano e il suo tempo (1905-1930), Cappelli, Bologna, 1991).
Scheda a cura di Azzurra Camoglio
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