Film muto girato a Torino e in Marocco tra il 1968 e il 1970.
«Siamo partiti e andati lontano perché Patrizia ci aveva chiamati. Il film testimonia quello che abbiamo visto là e ciò che abbiamo ritrovato al ritorno a casa, le due cose unite idealmente. In più c’è un mio inventario d’amore e di visioni, nonché la ricerca d’amore, tra realtà, e irrealtà sul filo ideale e l’ossessione della mente» (T. De Bernardi, “Filmcritica” n. 221, gennaio 1972).
«Facevo l’accompagnamento in sala, molto semplicemente, portavo un nastro o chiedevo che ci fosse un giradischi e mettevo su i 33 giri che poi andavano lungo il percorso, lungo il film. Io ero proprio fuori e volevo essere fuori dal cinema, allora
facevo un cinema molto selvaggio, ad esempio avevo eliminato il montaggio, giravo una bobina, poi ne attaccavo una dietro l’altra. A Patrizia, che adesso ce l’ha Fuori Orario, è uno dei pochi già in digitale e adesso ho messo direttamente la musica. Racconta di un viaggio in Marocco per raggiungere Patrizia, Patrizia Vicinelli. Era poetessa ed era, quando l’ho conosciuta io, la compagna di Alberto Grifi. L’oggetto d’amore era questa immagine di Patrizia che andavo a cercare. Io non ho avuto un amore con lei, io avevo Mariella, mia moglie già da molto prima, però ho avuto molti amori trasversali, amori ideali. Via via nel film compaiono persone che appartenevano alla mia vita e che a loro volta erano degli oggetti d’amore» (T. De Bernardi, dichiarazione inedita, 13.9.2007).
«Le due bobine del film corrispondono a questi due momenti: viaggio (in Marocco) e il ritorno. Come nella seconda parte di Le opere e i giorni, Il viaggio, De Bernardi guarda spassionatamente il mondo esotico sognato a casa, e ce lo mostra nudo, per quello che è. Sul paesaggio, a volte in primo piano, sono le persone, cioè gli oggetti d’amore, silenziosi come il paesaggio quando finalmente reperiti. De Bernardi li guarda chiedendosi cosa significhi amare. Di tanto in tanto, nelle zone a colori del film, appaiono sovrimpressi i sogni proibiti di De Bernardi: una preoccupazione per la carne riscontrata e inseguita su tele rinascimentali e barocche della galleria di Capodimonte. L’improbabile opulenza del sogno, sempre in De Bernardi sottolineata con un certo compiacimento “ingenuo”, è solo una componente psicologica d’una più alta poesia del mondo, che giunge in questo film a una particolare intensità» (M. Bacigalupo, “Bianco e Nero” nn. 5-8, maggio/agosto 1974).