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Produzioni Tv |
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Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa
Italia, 2006, 200', Colore
Regia Maurizio Zaccaro
Soggetto Massimo De Rita, Mario Falcone, liberamente tratto dal libro omonimo di Cristina Siccardi
Sceneggiatura Massimo De Rita, Mario Falcone
Fotografia Fabio Olmi
Musica originale Andrea Guerra
Montaggio Lili Lombardi
Scenografia Marco Dentici
Costumi Simonetta Leoncini
Trucco Luminita Costache
Aiuto regia Florina Petrescu
Interpreti Stefania Rocca (Mafalda di Savoia), Johannes Brandrup (Filippo d'Assia), Hary Prinz (Karl Rüdiger), Silvia Ajelli (Jolanda), Andrei Araditz (ufficiale della Gestapo), Ciprian Baltoiu (luogotenmente Muller), Michael Brandner (Hermann Göring), Fabio Bussotti (mons. Montini), Victoria Cocias (regina di Romania), Clotilde Courau (Giovanna di Savoia), Claudio Spadaro (Benito Mussolini), Margareta von Krauss (Regina Elena di Montenegro)
Casting Daniela Schiapparelli, Tiziana Torti, Cornelia Von Braun
Direttore di produzione Marco Dentici
Ispettore di produzione Radu Badica, Federico Boldrini Parravicini
Produttore esecutivo Antonio De Simone
Produzione Angelo Rizzoli per Rizzoli Audiovisivi, Luigi Forlai per RTI
Note
Miniserie televisiva in 2 puntate di 90' ognuna, trasmessa da Canale 5 in prima serata Martedì 28 e mercoledì 29 novembre 2006 (media d'ascolto medio: 5.115.000; share: 18,57% - 22,73%).
Collaborazione alla sceneggiatura: Maurizio Zaccaro; consulenza storica: Gabriella di Savoia; story editor: Uski Audino; story editor R.T.I.: Costantino Margiotta; suono Stereo Dolby Digital; altri interpreti: Gisella Burinato (Maria Di Buchwald), Franco Castellano (Aldo Maggio), Mihai Calin (Marinaio Apostolo), Giorgio Crisafi (questore Marchitto), Carlo Dogliani (Vittorio Emanuele III), Tina Engel (Tony Breitscheid), Adolfo Fenoglio (generale Puntoni), Emanuele Fortunati (Umberto di Savoia), Sergio Grammatico (Marinaio Magnani), Hans Peter Hallwachs (Rudolph Breitscheid), Christo Jivkov (Michele Petrovich), Joshua Karmann (padre Steinhoff), Rodica Lazar (Freulein Fielher), Renato Liprandi (vescovo mons. Beccaria), renato Mancini (conte Serra Di Cassano), Alessandro Mizzi (conte Federico di Vigliano), Adina Rapiteanu (Miriam), Cristian Sfron (Ufficiale della Gestapo), Salvo Sottile (Amedeo Pettini); organizzatore di produzione: Fulvio Rossi; organizzatore generale: Antonio De Simone Golluscio; delegato di produzione R.T.I.: Claudia Marra; produttore R.T.I.: Luigi Forlai.
Le riprese sono state effettuate, tra l'altro, nel Castello di Racconigi, a Villa Cimena e nella Villa dei Laghi della Mandria.
Realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Sinossi
Buchenwald, 1944. Gli ultimi giorni di vita della principessa Mafalda di Savoia, gravemente ferita durante il bombardamento americano del lager in cui è prigioniera, sono affollati di ricordi. Poco più che ventenne, Mafalda, contro il volere del padre Vittorio Emanuele III, sposa Filippo D'Assia e si trasferisce in Germania. Divenuto stretto collaboratore di Hitler, l'ufficiale tedesco entra in conflitto con la moglie, che non nutre alcuna stima per il füer. Mosse diplomatiche ritenute anti-naziste mettono la principessa sotto stretta sorveglianza fino alla sua deportazione, in seguito all'armistizio valso ai Savoia l'accusa di alto tradimento. A Buchenwald, Mafalda deve sopportare anche il biasimo di prigionieri italiani animati da sentimenti antimonarchici. Ma presto in molti si affezionano alla principessa, che non esita ad accudire una bambina rimasta sola e a coprire il tentativo di fuga di alcuni internati.
Dichiarazioni
«C’è una fotografia bella e rassicurante di Mafalda. È stata scattata a Roma dal fotografo ufficiale di Casa Savoia, poco prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, e vede la principessa con i suoi tre figli maschi: Enrico, Maurizio ed Ottone. Ho guardato spesso questa fotografia. L’ho portata con me un po’ ovunque, [...] non volevo dimenticarmi la serenità che traspare da quei volti, la felicità di Mafalda: la felicità di una madre con i suoi figli. Non la gioia di una principessa. [...] Quando si lavora sull’agiografia ci sono dei rischi, è chiaro che ci si pone l’interrogativo di cosa penserà il pubblico, non tanto a proposito dell’esteriorità della vita di un personaggio di dominio pubblico, quanto, piuttosto, in relazione alla sua interiorità. Noi per primi ci siamo domandati come Mafalda abbia vissuto emotivamente certe situazioni, certi sentimenti, cosa abbia potuto provare quando le è stato intimato di spogliarsi all’ingresso del lager di Buchenwald, dandole una semplice casacca da lavoro. [...] La televisione di oggi è il cinema popolare di trent’anni fa. Una volta la gente usciva di casa e andava al cinema, adesso siamo noi a portare il cinema nelle loro case. [...] Certo, da spettatore sono consapevole che sulle reti generaliste, Rai o Mediaset, devo subire numerose interruzioni per gli spot pubblicitari, a differenza delle proiezioni in sala, ma è altrettanto vero che sono proprio quegli stacchi pubblicitari a generare il budget necessario alla realizzazione dei nostri film» (M. Zaccaro, “Il Nostro Tempo”, 26.11.2006).
«Molti mi hanno domandato: “Perché si conosce così poco della ‘vicenda’ Mafalda di Savoia?” [...] Innanzitutto quando Mafalda morì (28 agosto 1944) le maggiori testate giornalistiche relegarono in poche e scarne righe la notizia. L’Italia stava vivendo giorni, mesi di una drammaticità tale da oscurare qualsiasi tipo di informazione se non quella dell’evolversi tragico del conflitto. [...] Nel campo la chiamavano anche Frau Abeba, fiore in amarico, la lingua ufficiale dell’Etiopia (ex colonia italiana). Ogni tanto incontrava padre Herman Joseph Tyl, monaco cattolico dell’ordine degli agostiniani premostratensi, il religioso che salvò le sue spoglie dalla cremazione. La salma della principessa venne chiusa in una cassa di legno e seppellita, in una fossa, con un impietoso e anonimo numero: “262: eine enberkannte Fraue (donna senza nome)”» (C. Siccardi, Ibidem).
«La miniserie propone in un lungo flashback la sfortunata vita di una donna capace di affrontare con coraggio e dignità un destino lontanissimo da quello teoricamente iscritto nelle sue origini. II racconto acquista efficacia nella seconda parte, tutta centrata sulla cruda realtà della prigionia, che rappresenta una rottura stilistica ai limiti dell'incoerenza rispetto alla prima parte, più debole e frammentata, e dai toni quasi fiabeschi. Nell'insieme, risulta comunque apprezzabile il tentativo di approfondire, anche attraverso dinamiche relazionali ben sviluppate, il profilo psicologico di un personaggio controverso in vita e poi, dopo la morte, quasi cancellato dalla memoria collettiva nazionale» (M. Buonanno, a cura, La posta in gioco. La fiction italiana. L’Italia nella fiction. Anno diciannovesimo, Eri, Roma, 2008).
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