Altri titoli: Paradis
Regia Tom Tykwer
Soggetto dalla trilogia “Heaven Hell and Purgatory” di Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesewicz
Sceneggiatura Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesewicz
Fotografia Frank Griebe
Operatore Jan Hartmann
Musica originale Arvo Pärt, Marius Ruhland
Suono Mark A. Levinson, Wolfgang Schukrafft, Dirk Jakob, Kai Tebbel
Montaggio Mathilde Bonnefoy
Effetti speciali Andreas Korth, Gino De Rossi, Massimo Cardaioli
Scenografia Uli Hanisch
Costumi Monika Jacobs
Trucco Alessandro Bertolazzi
Aiuto regia Sebastian Fahr
Interpreti Cate Blanchett (Philippa Paccard), Giovanni Ribisi (Filippo), Remo Girone (padre di Filippo), Stefania Rocca (Regina), Alessandro Sperduti (Ariel), Mattia Sbragia (maggiore Pini), Stefano Santospago (Sig. Vendice), Alberto Di Stasio (procuratore), Giovanni Vettorazzo (ispettore), Gianfranco Barra, Vincent Riotta, Mauro Marino, Stefania Orsola Garello, Fausto Lombardi, Giorgia Coppa
Casting Shaila Rubin
Direttore di produzione Gian Paolo Varani, Peter Kreuz
Ispettore di produzione Kristina Soderquist
Produttore esecutivo Agnès Mentre, Anthony Minghella, Sidney Pollack, Harvey Weinstein
Produzione Anthony Minghella per Miramax, Mirage Enterprises, Star Edizioni Cinematografiche, Maria Kopf, Manuela Stehe per Filme Creative Pool
Distribuzione Buena Vista International
Note 2450 metri.
Supervisore alla sceneggiatura: Caroline Veyssière; operatori steadycam: Riccardo Brunner, Giovanni Gebbia; assistenti operatori: Christian Almesberger, Gero Neumann, Timm Lange, Rafael Jeneral, Adrian Crange, Xaver Kringer, Matteo Cecarelli, Karsten Schüle; fotografi di scena: Sergio Strizzi, Roberto Biciocchi; suono dolby Digital; mixer suono: Antonello Giorgiucci; assistenti suono: Alberto Bianchi, Giancarlo Laurenzi; microfonista: Fabio Curi; art direction: Roberta casale, Christoph Steeger; assistenti ai costumi: Claudia Tenaglia, Ingrid Buhrmann; assistenti effetti speciali: Daniela Schmidt, Erik Zumkley, Gastone Callori, Stefano Corridori, Simeone Franco, Claudio Savassi; assistenti trucco: Kerstin Baar, Paola Gattabrusi; effetti speciali trucco: Waldemar Pokromski; parrucchieri: Emanuel Millar, Massimo Gattabrusi; assistenti alla regia: Sara Rossi, Gilles Cannatella; altri interpreti: Julienne Liberto, Matilde de Sanctis, Roberto D' Alessandro, Masha Sirago, Sergio Sivori, Shaila Rubin, Luciano Bartoli, Marco Merlini, Natalia Magni, Teresa Piergentili, Massimiliano Giusti, Frederico Torre, Andrea Digirolamo, Beppe Loconsole; coordinatori stuntmen: Gian Luca Petrazzi, Volkhart Buff; organizzatore generale: Mariella Pala (Italia), Mathieu Bompoint (Francia), Ivana Kastratovic (Germania); assistenti alla produzione, Torino: Serena Alberi, Fabrizio Angioni, Adriano Bassi, Stefano Bassi, Rosa Carta, Lorenzo Farina, Massimo Maltisotto, Davide Turi; assistenti alla produzione, Toscana: Stefano Ceppi, Massimiliano Fanti, Massimiliano Vana; assistenti alla produzione, Napoli: Francesco Bonfante, Bruno Morra, Sergio Morra; assistenti alla produzione, Francia: Corinne Iannacone, Céline Sohm, Viviane Koupogbe; coordinamento produttivo: Verena Von Zobeltitz; collaboratori di produzione: Piero Bellomo, Nicola Palmieri, Emanuele Perotti, Amaranta Flagelli, Mauro Franco, Massimo Guido, Laura Picco, Cinzia Trentanelli; produttori associati: Marc Baschet, Cédomir Kolar; location manager, Torino: Stefano Benappi; location manager, Toscana: Attilio Viti; location manager, Napoli: Francesco Rapa; assistente location manager, Torino: Diego Gazzano; assistente location manager, Toscana: Francesco Cotone; assistente location manager, Napoli: Ivano Rapa; segretarie di produzione: Uli Benzschawel, Carola Altissimo, Valentina Cotone; co-produttori: Stefan Arndt, Frédérique Dumas, Harvey Weinstein, Agnès Mentré, Sydney Pollack
Locations: Torino, Napoli, Montepulciano, Berlino.
Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Premi: Miglior Film al German Film Prize 2002; Golden Prize al Gaia International Film Festival, Portugal 2002; German Film Critics’ Prize alla Miglior Fotografia 2002; Premio Jupiter per il Miglior Regista Tedesco 2002.
Sinossi
Torino. Dopo aver compiuto un attentato contro un grande trafficante di droga in cui muoiono quattro innocenti, Philippa, una giovane donna, viene arrestata, ma il suo bersaglio era l'uomo che lei ritiene responsabile della morte del marito e di molti dei suoi studenti. In precedenza i carabinieri hanno ignorato le sue numerose denunce, ed ora la ritengono una pericolosa terrorista. L'unico che vuole aiutarla è un giovane carabiniere che si innamora di lei e l’aiuta a fuggire.
Dichiarazioni
«Per me era chiaro che Heaven dovesse essere girato in Italia. I riferimenti teologici e trascendentali presenti nel film non avrebbero potuto trovare location migliore dell’Italia, specialmente una città geometrica come Torino. E per di più Torino è sempre stato un riferimento per il mondo dell’occulto e delle sette. Cercavo un luogo che contrastasse con il potere lirico della campagna toscana, e che avesse una componente estremamente melanconica: a Torino, dove inizia il film, dominano l’oscurità e la negatività. […] Ma Torino è anche una città molto bella, incredibilmente interessante e architettonicamente importante, che credo sia sottorappresentata nel cinema. […] È una città industriale, ma ha una storia secolare: nonostante la modernizzazione, l’atmosfera dei secoli passati è dappertutto. La cosa più interessante, per me, rispetto a Torino, è stata la scoperta della sua severità geometrica, che ho scoperto quando abbiamo sorvolato la città in elicottero. Sarebbe stato quasi possibile mettere una griglia di ferro sopra la città, per imprigionare i protagonisti del film, che oltre a scappare dalla prigione devono anche scappare dalla città, che a causa della sua struttura non sembra volerli lasciar andar via» (T. Tykwer, www.fctp.it).
«Filippa, il mio personaggio, è una donna molto complessa e profonda. Kieslowski e Piesiewicz non hanno paura di descrivere le donne, di raccontarle, ma sopratutto non hanno paura delle donne. E in Filippa c'è un po' di tutte le donne protagoniste delle storie dei film del regista polacco: è stata una scelta difficile ma voluta intensamente! All'inizio del film è una donna distrutta, con un enorme vuoto dentro di sé, non crede in niente e sopratutto non crede nell'amore. Quanto al suo viaggio è un percorso di redenzione: il film racconta come una persona possa cambiare e quanto l'amore possa riuscirci. […] C'è una forte connotazione, componente biblica/storica nel concetto di vendetta, ma alla fine serve soltanto ad aprire ferite nuove. Mi sono sentita male fisicamente nell'immedesimarmi in questo personaggio: causare la morte di persone innocenti deve voler dire portarsi addosso per tutta la vita un fardello pesantissimo. La vendetta non crea mai soluzioni» (C. Blanchett, 23.9.2002, www.stradanove.net).
«Immanenza e trascendenza, inferno e paradiso, colpa e redenzione, sono le chiavi della vicenda raccontata da Heaven, diretto dal tedesco Tom Tykwer […] basato su una sceneggiatura scritta da Krzysztof Kieslowski, che doveva essere la prima parte di una nuova trilogia comprendente Paradiso, Inferno e Purgatorio (Heaven, Hell e Purgatory). II grande regista polacco fece in tempo a scrivere l'intera sceneggiatura di Heaven e solo alcune parti degli altri due capitoli quando la morte lo colpi a soli 54 anni. La vicenda è tipicamente kieslowskiana nei suoi quesiti sul peccato e I'espiazione, nei suoi percorsi di redenzione, nelle sue storie fatte di incidenti del destino e di fatalità. Carichi di significati simbolici sono i luoghi della vicenda. Torino nella prima parte, con i pochi esterni visti da inquadrature fisse o con suggestive riprese dall'alto a mostrarne la sua stupefacente geometricità, uno spazio rigido, statico, immanente appunto, dal quale sembra impossibile fuggire. Montepulciano nella seconda parte, in cui il treno dove i due protagonisti viaggiano, arriva dopo aver percorso un lungo tunnel, è un luogo solare, luminoso, uno spazio aperto per la trascendenza» (E. Bartoni, “Film” n. 62, marzo-aprile 2003).
«Film esecuzione testamentaria, con cui Tykwer rende omaggio a Kieslowski adattandone l’ultima sceneggiatura. La sequenza d’apertura è, in effetti, un congegno di casualità che scompaginano le intenzioni umane, in conformità con lo sguardo perpendicolare e demiurgico del regista polacco. Ma poi Tykwer si svincola dai destini imperscrutabili e racconta un amour fou allucinato e assurdo, come già era La principessa e il guerriero. […] L’ultima inquadratura, con la m.d.p. ferma in basso mentre i due si involano in elicottero, sigilla degnamente un film che crea senso rovesciando, anziché sviluppando, le proprie premesse» (e.t., “Segnocinema” n. 123, settembre-ottobre 2003).
«La frenesia del regista che corre Tom Tykwer ha una battuta d’arresto e si smarrisce davanti a una sceneggiatura di Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz. È facile e ovvio (ma è inevitabile) immaginare che cosa questa storia sarebbe diventata, grazie al suo inimitabile sguardo da entomologo dell’anima, se a dirigerla fosse stato lo stesso Kieslowski. […] Le sospensioni, lo stallo etico, la percezione dolorosa dell’esistenza, l’ansia della libertà, l’impassibilità emotiva, la paura e la tentazione dell’assoluto restano intenzioni in un film recitato roboticamente da Ribisi, con un mix lessicale (italiano e inglese) cacofonico, con un’idea del paesaggio da foto per un catalogo di viaggi, con un’impotenza espressiva che elenca i nodi del testo e non sa scioglierne neanche uno» (E. Magrelli, www.film.tv.it).
«Tykwer has said of Heaven that "the basic theme is redemption". It is how this comes about that provides the depth of the movie, in which the action and the dialogue – even between the main characters, which may not be obvious on first viewing – is minimal. In his message to Philippa, Filippo explains that once they have been able to break her out of custody, “… then we will think what to do next, because I believe there will be something and it will be beautiful”. Even before this, after watching Philippa cry on learning of the deaths she did not intend, Filippo has admitted to his father that he is in love. At first, however, she is not convinced that anything special is occurring and tells him that she agreed to escape not to avoid punishment, which she fully deserves, but only to kill Vendice. It is important to realise the situation in which the viewer finds him - or herself at this early stage in proceedings: Philippa has slain four innocent people, even if unintentionally, including two children. Tykwer is careful to spend time with them beforehand as they chat tenderly with their father; in the lift itself, they count the floors as they travel upwards. There can be no suggestion that Tykwer is minimalising the extent of what Philippa has wrought, or presenting an apologetic for it. She then goes on to kill Vendice, a man who could easily have been portrayed as the embodiment of evil but instead is given a scene in which he calls his partner to lament his being called away and hence arriving home to her late. Moreover, when Philippa shoots Vendice it is with Filippo's help, the latter holding the door closed to prevent Vendice avoiding his death. For the more observant, too, we can notice Philippa touching wood for luck on her way to plant the bomb and valuing her own life when she is almost knocked down at a road crossing even as she is about to take that of another. She also calls Vendice's receptionist to ensure no one other than her target is hurt, which demonstrates how calculating and considered her actions are. What we find, then, is that both Philippa and Filippo are perhaps as far from our sympathies as they could be, and yet there is something wonderful about his unquestioning and immediate love for her in spite of everything that makes us curious about what will happen to them, or how matters can possibly be saved or put right. Tykwer hints at this in a typically Kie?lowskian shot (recalling Delpy in the hotel room in White) when the two wake up together in their hiding place, staring into one another’s eyes in silence. It is easy to regard Filippo's behaviour as simplistic, or as a moral failure on his part to realise the magnitude of what she has done and that, straightforwardly, she should be brought to justice for it. Nothing was straightforward for Kie?lowski, though, particularly moral issues. Where others had and have the confidence to pronounce on what should or should not be, Kie?lowski explored the grey areas where easy answers were seldom (if ever) to be found. The question prompted for us – as viewers – to answer is: given these circumstances, complicated by Carabinieri corruption but where guilt is nevertheless clear-cut, can Philippa be saved? Another aspect of life that Kie?lowski was fascinated by is synchronicity, and often in his work lives that ostensibly were disconnected would meet and prove to be intimately related, the most detailed example being the mirroring of Joseph Kern's mistakes in August Brunner in Red, giving the latter the chance to choose differently and hence save the former. This theme of salvation not through grace or faith but rather the simplest of gestures runs through Kie?lowski's oeuvre and we pick it up again in Heaven. The synchronicity involved in achieving this becomes apparent when Philippa and Filippo are on a train bound eventually for Montepulciano and she asks him his age. It turns out that their birthdays match, Filippo having come into the world at the moment when Philippa was receiving her first holy communion. We notice (if we have not already) that their clothing is identical, and begin to realise why Kie?lowski had Philippa say to Filippo "I don't even know your name", as if there could be any doubt. When they visit the barber and together have their heads shaved, the implied is made concrete» (P. Newall, www.galilean-library.org, 2005).
«Tykwer eredita dalla grande letteratura romantica il senso della fragilità della giovinezza e l'attrazione per il gioco del Fato. Motivi che con la poetica dell'autore di II decalogo hanno un'affinità solo parziale. Per cui vien fatto di chiedersi (ma non lo sapremo mai...) come avrebbe svolto Kieslowski in persona questo dramma [...]. L'invenzione di Kieslowski scopre un rigore morale inscindibilmente legato alla dimensione metafisica, un rapporto che Tykwer non sente con altrettanta convinzione. Ne consegue che in Heaven le motivazioni dei personaggi non appaiono sempre plausibili. Si capisce qual è il teorema, ma non lo si partecipa emotivamente e quasi si rimpiange che non sia stato sviluppato in una forma più efficace sotto il profilo spettacolare, magari rischiando di farne un thriller all'americana. Tuttavia il fervore visionario di Tykwer e il caloroso impegno degli interpreti riscattano i limiti dei film» (A. Levantesi, “La Stampa”, 8.10.2002).
«Quella servita per confezionare Heaven, ("Paradiso") è la solita ricetta del cinema internazionale, che allo spettacolo sta come la cucina internazionale sta alla gastronomia: c'è di tutto, ma non sa di niente. Lento, inverosimile, enfatico, ambientato fra una Torino un po' da Deserto dei Tartari e un po' da Missione Alphaville, ma senza nulla di Zurlini e Godard, Heaven è soporifero quando non irritante. [...] Come si arriva a un Heaven? Facciamo un'ipotesi: un noto regista (qui Kieslowski) scompare, lasciando un lavoro abbozzato; un furbo (qui Harvey Weinstein) fiuta l'affare e dice a una vecchia volpe (qui Sidney Pollack) a occuparsene; la vecchia volpe sta in America e dirotta l'incarico al socio (qui Minghella), che dall'lnghilterra assolda un regista giovane e festivaliero (Tykwer, il cui Lola corre è stato in concorso a Venezia), nonché tedesco, dunque perfetto per il film a Berlino. Poi la critica accoglie male Heaven, a inizio febbraio. L'accorto distributore aspetta dunque fine settembre per metterlo in circolazione, confidando nell'oblio, nell'autunno, nella voglia di storie d'amore che percorre il pubblico, nell'incerta femminilità della Blanchett. 0, peggio, nei “sogni di libertà” - come dice Tykwer - di chi si lascia alle spalle le “strade a reticolo di Torino viste dall'alto, per dare il senso dell'oppressione provata dai personaggi”» (M. Cabona, “II Giornale”, 24.4.2002).
«Il film di Tom Tykwer non è altro che un incontro lirico e sognante tra la cronaca e le attitudini del cuore. Una pellicola che pur ammantata di realismo, non ha niente dì credibile o veritiero. [...] Ammantato da un'atmosfera da anni di piombo, Heaven non può essere visto come un ritratto dell'Italia di oggi e della giustizia italiana. Il nostro paese - una volta tanto - è soltanto una bella cornice, con delle emozionanti riprese dall'alto che mostrano una Torino insolita quanto perfetta nella sua squadrata costituzione umbertina. Smussati, quindi, l'ambientazione e l'alibi giudiziario - cronachistico, in realtà Heaven è un film lirico sull'intensità e l'imprevedibilità dei moti dei cuore. Sulla disperazione che può trasformarsi in amore tra un uomo e una donna, che sembrano
non avere niente in comune se non un Male tanto nero quanto divorante» (M. Spagnoli, “Vivilcinema”, 26.4.2002).
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