«Gino Brignolo usava una Paillard portatile, minuscola, a molla, una borsa con una struttura interna fatta con il meccano del figlio, qualche amico con velleità di attore, delle moviole, una infinità di tempo e molta pazienza. Era un militante in movimento, usava gli strumenti cinefotografici per divulgare con le immagini la realtà viva di quei tempi pieni di fatti minuscoli ma molto significativi. Attento agli aspetti formali senza abusarne, non scordava mai che lo scopo della sua impresa era il documento, la testimonianza. [...] Impiegato presso l’INPS nel dopoguerra, ha due passioni: l’alpinismo e la fotografia. Abbandonando il primo, concentrerà sull’immagine il suo impegno approdando verso la metà degli anni ’50 al cinema amatoriale, dapprima attraverso il dopo lavoro INPS poi con il Cineclub Piemonte associato alla FEDIC. Fin dai primi tentativi i risultati non mancano e i suoi film otterranno svariati riconoscimenti e premi in molti concorsi nazionali e internazionali. Di particolare rilievo nel suo cinema il percorso urbano, il suo sguardo sulla città di Torino nei cambiamenti che subisce negli anni del boom economico. Si tratta forse delle uniche immagini che riproducono l’arrivo delle famiglie meridionali a Porta Nuova, il loro insediamento e la dura conquista di uno spazio di cittadinanza... Vediamo sullo sfondo la vecchia Pellerina, le case di Porta Palazzo, i Lungodora, il ‘porto di Porta Nuova’, i quartieri periferici in corso di costruzione» (F. Orsini, in 12° Festival Internazionale Cinema Giovani, Lindau, Torino 1994).