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Marcello Mastroianni
Naturalmente la mia città è Roma, ma Torino ha nella mia carriera un ruolo piuttosto strano. E’ un po’ come un ciclico avvicinamento, al quale fa seguito una lontananza più o meno lunga. Nell’immediato dopoguerra io abitavo a Torino, nel quartiere San Donato, erano i tempi in cui la mia famiglia voleva vedermi calato in una tranquilla carriera come impiegato di concetto mentre io scalpitavo per fare l’attore. Fare l’attore significava stare a Roma e così tornai nella capitale, e non me ne sono pentito. Tornai varie volte in Piemonte, ma la prima importante è stata nel 1962, quando per Monicelli giravamo I compagni. Tutta la storia era ambientata a Torino, ma il film fu girato lì in minima parte. Era molto bello, ma inspiegabilmente andò molto male. Io credo però che una spiegazione ci fosse. Fare umorismo sulle lotte operaie non piaceva a nessuno, non poteva piacere a nessuno. I padroni si irritavano sia perché era evidente che noi stavamo dalla parte degli operai sia perché preferivano comunque che di scioperi se ne parlasse il meno possibile. Gli operai più politicizzati erano diffidenti, siccome venivano replica watches us un po’ presi in giro non amarono molto il film. Insomma, pochi andarono a vederlo. Eppure era stato fatto un lavoro capillare di ricostruzione storica, so che erano stati intervistati dei vecchietti che ormai stavano all’ospizio ma che si ricordavano benissimo gli scioperi di inizio secolo. A Torino il film poi andò particolarmente male perché io e Lulli avevamo un dialogo che non fu preso molto bene. Io gli domandavo: “Che città è questa?” e lui rispondeva: “Una città di merda”. Tutte cose alle quali non ci si pensava, ma che furono poi decisive. Però mi piacque da morire il Piemonte profondo che scoprivo girando nei paesi in provincia di Cuneo, i bar, i portici che sembrava non fossero stati toccati dal tempo. Poi non tornai per un altro lungo periodo, fino al 1975. Dovevo fare il commissario Santamaria, un meridionale immigrato a Torino che doveva indagare su uno strano delitto. Il film era La donna della domenica, era tratto da un romanzo di Fruttero e Lucentini che si erano ispirati per il personaggio a un commissario della Squadra Mobile molto noto in città. Io però non lo conoscevo ed ero un po’ imbarazzato di fronte a tutti i giornalisti che mi dicevano: ma come gli assomigli, ma sei proprio identico. Del film mi piaceva l’idea che raccontasse un’altra Torino, la Torino della borghesia, la Torino segreta delle ville in collina e dei vizi inconfessabili, la Torino che vede però le signore della buona società andare senza problemi al mercato delle pulci replique montre mescolate con tutti gli altri. Sono sensazioni che si possono vivere soltanto qui. Poi sono tornato qui per A che punto è la notte, per fare lo stesso personaggio e ritrovare gli stessi autori. E qui la cosa che mi affascina di più è questa nevicata che abbiamo dovuto creare, una nevicata senza freddo. Invece, quando abitavo in via san Donato, in un quartiere popolare e a guerra appena finita, faceva freddo per davvero. E penso: in fin dei conti sono fortunato, di solito sono i vecchi ad avere freddo mentre i giovani non lo sentono. Quando mi chiedono perché ho fatto l’attore, penso che questa potrebbe essere una buona risposta.
Collegamenti Film | titolo | regia | data | note | I compagni | Mario Monicelli | 1963 | Italia/Francia, 35mm, 128', B/N | La donna della domenica | Luigi Comencini | 1975 | Italia / Francia, 35mm, 105', Colore | Stanno tutti bene | Giuseppe Tornatore | 1990 | Italia/Francia, 35mm, 120', Colore | A che punto è la notte | Nanni Loy | 1994 | Italia, 35mm, 205', Colore |
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