«I partigiani francesi sono stati molto più fortunati di noi, hanno avuto addirittura dei professionisti dell’obiettivo. Io ero un cappellano, non ero un giornalista, però avevo con me una piccola macchina da presa per dilettanti, una Pathé Baby, che stava in una tasca. Riuscivo a riprendere le scene dal vero in combattimento e poi, per ragioni di sicurezza, me le sviluppavo in montagna e ce le vedevamo subito, nel giro di ventiquattr’ore; era proprio una documentazione autentica, presa dal vero, alle volte vicinissimi ai partigiani che sparavano sui tedeschi. Ho ripreso scene di guerra, le ho riprese proprio sul posto e ho ripreso anche scene di vita familiare, perché non si era sempre in combattimento: la guerriglia non era una guerra, capitavano delle giornate nere, c’erano invece giornate di distensione e di riposo, quindi arrivavamo addirittura a girare un film su soggetto, così per nostro piacere e nostro diletto» (G. Pollarolo, in P. Gobetti, G. Risso, Lotta partigiana, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza-Consiglio Regionale del Piemonte, Torino, 1999).