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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



L'educazione di Giulio
Italia, 2001, 35mm, 90', Colore


Regia
Claudio Bondì

Soggetto
Claudio Bondì, Alessandro Ricci, dal romanzo “Torino, via Giulio 22. Diario di un manicomio femminile” di Claudio Bondì

Sceneggiatura
Claudio Bondì

Fotografia
Roberto Meddi

Operatore
Lorenzo Senatore

Musica originale
Lamberto Macchi

Suono
Marco Tidu, Fabio Santersanti

Montaggio
Nicola Barnaba

Scenografia
Osvaldo Desideri, Simone Garrotta

Costumi
Francesca Arcangeli

Trucco
Nadia Ferrari

Aiuto regia
Giovanni Arcangeli

Interpreti
Alessandro Pelizzon (Giulio), Roberto Accornero (Ettore), Giorgia Porchetti (Bianca), Francesca Vettori (Luisa Levi), Tatiana Lepore (Margherita), Roberto Zibetti (Sturano), Paola Roman (Emma), Piero Ferrero (Smemorato), Bruno Gambarotta (Nonno)

Direttore di produzione
Stefano Benappi, Ladis Zanini

Produttore esecutivo
Patrizia Tallarico

Produzione
Alessandro e Vincenzo Verdecchi per Veradia Film

Distribuzione
Orango Film

Note
2562 metri.
 
Locations: Torino (via Milano, via San Domenico, Lungopo, Galleria Subalpina), Collegno (ex manicomio).
 
Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
 
Premi: Pemio come Miglior Film al Chieti Film Festival 2000; Primo Premio al Festival “Scrittura e immagini”; Menzione Speciale della critica al 3rd Annual Los Angeles Italian Film Award 2001.




Sinossi
Torino, 1921. La vicenda si ispira ad un momento della vita di Giulio Carlo Argan, che sarebbe diventato nel dopoguerra uno storico dell’arte di fama internazionale, Senatore del Partito Comunista Italiano e Sindaco di Roma. Si tratta del passaggio all’età adulta di un adolescente, figlio dell’Amministratore dei manicomi che si trovano in provincia di Torino. Un giorno giunge nel manicomio femminile torinese una giovane ricoverata, Margherita. Questa è molto differente dalle donne che sono lo spettacolo che Giulio ha quotidianamente sotto gli occhi: vecchie contadine, prostitute luetiche, donne avvilite dall’età e dalla follia. Giulio è in quell’età in cui si avverte l'esigenza di uscire allo scoperto, di affermare la propria individualità; un’avventura amorosa, la presa di consapevolezza, gli danno l’opportunità di uscire dalla propria condizione verso una più completa e matura felicità. Il film è liberamente ispirato all’adolescenza torinese di Giulio Carlo Argan.




Dichiarazioni
«Nel 1976 ero a Torino tra le sale vuote, i corridoi, in mezzo alla sporcizia dei saloni abbandonati del vecchio manicomio femminile di città, facevo i sopralluoghi per girare la scena di un telefilm che parlava di bambini e di disagio. Proprio sulla porta, tra vecchi giornali, una cattedra rovesciata, qualche registro, vidi due libri neri, non grandi, uno sopra l'altro. […] Nei due libri, erano propriamente rubriche, erano registrati in ordine alfabetico i nomi e i cognomi di tutte le donne entrate in quell'anno. L'anonimo compilatore aveva trascritto in calligrafia e con l'inchiostro i dati anagrafici delle pazienti mentre a matita - come appunti - brani di dialogo tra lui stesso e le sventurate. […] Rientrato a Roma, […] ho avuto l'idea di ricopiare le schede delle ammalate in ordine cronologico dal 1 gennaio al 31 dicembre 1931, riempiendo i giorni mancanti con riflessioni, articoli di giornale, associazioni di idee. Così scrivo Torino via Giulio, 22. Sto per consegnare il testo quando il caporedattore mi fa: "Devi trovare chi ha compilato le schede". Il giorno dopo apro il giornale, nella pagina della cultura, leggo con sorpresa un articolo di Miriam Mafai, così intitolato: Quando Argan viveva in manicomio. Era la recensione di un libro che, tra l'altro, raccontava l'esperienza di Giulio Carlo Argan, storico e critico d'arte, sindaco di Roma, senatore, nel Regio manicomio femminile di Torino, dove aveva vissuto con la famiglia fino agli anni trenta. […] Argan viveva a cinquecento metri da casa mia, e non lo sapevo. […] Telefonai. Fu molto gentile. […] Sfogliò le rubriche: le riconobbe come strumento di lavoro di alcuni psichiatri che aveva conosciuto […]. Fui colpito subito dai commenti con cui ripescava nella memoria il rumore di fondo della sua adolescenza e il disco rotto della follia. […] Rimaneva da raccontare un tratto di strada del giovane Argan […]. E poi i cenni ai suoi compagni di strada: Mario Sturani - ceramista e pittore - amico anche di Pavese, Bobbio, e quindi Mila, Einaudi, Ginzburg. Insieme a questi Argan menzionava le ammalate che stazionavano sotto la finestra della sua camera al secondo piano, quella di loro che si dette fuoco, un'altra che faceva l'amore con gli alberi; le pantomime organizzate nel teatrino dell'ospedale, il lavoro di copiatura delle cartelle mediche nella biblioteca, il Liceo Cavour, i primi turbamenti, l'amicizia con lo smemorato di Collegno che lo aiutava nelle traduzioni di latino e tanto altro ancora. A questo punto il film era già fatto. bisognava soltanto girarlo» (C. Bondì, Pressbook della Produzione, 2001).
   
«Gli attori li ho cercati nel grande e prezioso serbatoio della Scuola del Teatro Stabile di Torino, perché credo che bisognasse dare un'impronta cittadina a un film che per sua natura è interamente torinese. Con loro, devo dire, mi sono trovato benissimo. I ragazzi sono stati straordinari. Certo, ci sono anche dei nomi più noti, come Ottaviana Lepore o Bruno Gambarotta, ma ho voluto puntare su volti nuovi per il cinema. […] A me piace molto il poco rifinito perché aggiunge verità. È una cosa molto rischiosa, lo so, ma mi piace così e tendo a non ripetere troppe volte la stessa scena e a trovare del buono anche laddove ci sono delle incertezze. La vita in fondo è così: se sbagli non puoi cambiare» (C. Bondì, www.interviste.intrage.it).





«Torino nell’inverno del 1931 è lo scenario dell’opera di Claudio Bondì, giunto tardi al lungometraggio con un passato di assistente alla regia per Roberto Rossellini e un mediometraggio dal titolo Il richiamo (1992). Giulio, interpretato da un bravo Alessandro Pellizzon, è il giovane Argan, futuro storico dell’arte di fama internazionale e senatore del Partito comunista. Il film ripercorre un frammento del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, il superamento della linea d’ombra, il primo amore, la ribellione ai dettami paterni. […] Un film singolare in cui la futura personalità di Argan viene illuminata nel suo primo definirsi, con i tratti della commedia e della ricostruzione quasi documentaristica dell’ambiente torinese dei primi anni Trenta» (t.c., “Cinemasessanta” n. 4/260, luglio-agosto 2001).
 
Carlo Bondì, che negli anni ’70 è stato aiuto regista e collaboratore di Roberto Rossellini, nonché autore e direttore di molti programmi televisivi a sfondo storico, ci presenta una Torino degli anni ’30 molto affascinante, nella sua normalità. La storia italiana che fa da contorno ai fatti di quel periodo sembra essere ovattata e lontana: l’intento principale dell’autore del film, infatti, è stato solo quello di raccontare uno spicchio di vita adolescenziale di un giovane diciottenne alle prese con l’austerità paterna e il contrasto di una forte voglia di libertà. L’ambientazione minimalista in cui vengono inglobati i personaggi e la bella fotografia che ci propone Roberto Meddi, danno alla pellicola un’impronta elegante e aristocratica. Gli attori, tutti esordienti (tranne Roberto Accornero, già volto noto del cinema e della televisione), hanno dato vita a personaggi chiusi, chi a proprio modo, in un mondo che reclama a gran voce la sua libertà. E questo lo si ritrova sia nel manicomio che nella case delle famiglie “per bene”.
 
«Lo spaccato di storia d'Italia (quanto potrebbe insegnare a giovani e meno giovani di oggi!) che è costantemente presente come il telaio sociale della storia più piccola che vi insiste, è perfetto: non solo ci rimanda in continuazione elementi e temi ricchissimi di particolari che riguardano il modo di vivere, di pensare, le abitudini del comportamento nei gesti, nelle parole, nel rapporto con le istituzioni, con la cultura, con la problematica del vivere, ma forma una miniera variegata di appunti d'ambiente in cui stanze e sale da pranzo, salotti e uffici dimostrano l'appassionata, seducente maniacalità della costumista e della scenografa nel volere, come dire, cullare la storia affinché nulla potesse ostacolare l'approfondimento e la fantasia di chi agiva in scena. […] È piacevolmente intrigante considerare quanto di questi episodi così lontani, ma formativi abbiano avuto una diretta, misteriosa conseguenzialità in quel poco, o tanto, che crediamo di sapere di Giulio Argan, uomo pubblico: il gioco intellettualistico effettivamente prende, anche perché il regista sembra in alcuni momenti favorirlo, non sappiamo quanto consciamente, per spingere a interrogarci: quanto della disillusione, della grandezza o della miseria di un adulto nasce dall'amore o dal rifiuto per i suoi primi anni lontani? Tutto questo però non è bastato a darci un'opera compiuta, perché ogni azione, ogni inquadratura, ogni relazione tra i personaggi arriva fino a un certo punto, ha il fiato corto: poco delineati e approfonditi i rapporti tra Giulio e i suoi amici, poco chiara la figura della professoressa Levi (a cui il regista sembra tenere invece molto) e oscuro il significato della sua importanza nella crescita evolutiva di Giulio, Bondì non ha voluto insomma affondare la mano nell'acredine, nel conflitto, graffiare il volto della nevrosi, ma ha preferito limitarsi a dare una strapazzata a una atmosfera gozzaniana» (F. Moresco. “Film” n. 51, maggio-giugno 2001).
 
«Più che un film biografico, il regista sviluppa un Bildungsfilm, un film "di formazione" che con garbo e delicatezza segue l'evolversi di una personalità nel complesso passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Claudio Bondì rende comunque omaggio alla fonte storica - i registri casualmente ritrovati nel nosocomio torinese - dalla quale è scaturita l'idea del film, dedicando le prime inquadrature al giovane protagonista intento a rubricare, in un'austera biblioteca, i nomi delle ricoverate. Anche l'ambientazione è accurata, soprattutto nei dettagli degli interni; la realtà urbana non è invece messa in risalto ed è la realizzazione di un servizio pubblicitario per la Fiat, con donna avvenente fotografata accanto a un'autovettura, a focalizzare l'attenzione su un inequivocabile marchio della città. Il regista ambisce piuttosto ricostruire il clima culturale respirato in quegli anni dalla intellighenzia torinese (e il pensiero va non solo ad Argan, ma anche a Pavese, Einaudi, Levi, Mila, Bobbio): i giovani vanno al cinematografo a vedere The Jazz Singer; leggono i versi di Catullo, ma anche Ossi di seppia, La coscienza di Zeno; il fascismo - presentato non attraverso gli abituali segni esteriori di camice nere e manganelli, ma come un incombente e invisibile spettro - non riesce a piegarli. […] La realtà manicomiale presentata - nella quale "i pazienti non devono essere curati per poter uscire, ma devono essere fatti uscire per guarire" - è fin troppo all'avanguardia rispetto ai tempi (l'antipsichiatria lainghiana e poi basagliana sono successive); e se le grida, in campo e fuori campo, sono il segno precipuo del disagio delle "agitate", non è la descrizione di orrori e maltrattamenti a prevalere (come nel recente film di Agosti, La doppia ombra), quanto il crescere di una consapevolezza che porta a considerare inesistente il confine fra normalità e patologia» (E. Elia, Segnocinema” n. 110, 2001).
 
«L'educazione di Giulio, liberamente ispirato alla vita torinese di Argan, è il racconto di un'adolescenza che scopre la propria identità. Il racconto di un anno in una ottantina di scene, un anno di formazione, dopo il quale le cose non possono più essere come prima. Segna l'ingresso nella vita adulta, nell'età delle scelte, quando individui il tuo destino. È anche una sorta di come eravamo orgoglioso e pignolo, il come eravamo di una generazione, quella degli Sturani, dei Levi e dei Pavese, e di una città, quella di Gobetti e Gramsci, culla del Partito d'Azione. Curato nelle scene e nei costumi, il film ha il fascino delle cose fatte in piccolo, ma bene. Ciò che più colpisce è la recitazione degli attori, per la maggior parte torinesi, di formazione teatrale: naturale, asciutta, senza pesanti sottolineature, senza enfasi, né eccessi. Facce giuste, gesti musurati. Quasi un'orchestra che segue con umiltà il suo direttore senza strafare, senza ridurre i personaggi ad esili caricature. Un'insolita riuscita per una pellicola italiana» (G.L. Favetto, "la Repubblica", 21.4.2001).
 
«Il film è ambientato a Torino tra l’autunno del 1931 e l’estate del 1932, ma potrebbe essere ambientato in qualunque altra città d’Italia, anzi d’Europa. E proprio questo è uno dei maggiori pregi del film diretto e sceneggiato da Claudio Bondì […]. Non c’è provincialismo nello sguardo dei luoghi in cui si svolge la storia di Giulio […]. Il film ricostruisce il percorso educativo e psicologico del giovane diciottenne, cresciuto in un appartamento al secondo piano del Regio Manicomio Femminile di Torino. Il piccolo mondo che lo circonda è fatto di un padre […] benpensante e ligio al dovere, la madre, la sorella, e, interlocutrice preferita all’interno del manicomio, la dottoressa Luisa Levi, sorella di Carlo Levi e prima donna laureata in psichiatria in Italia. A queste figure si aggiungono quelle degli amici del Liceo Cavour e quelli di strada: Norberto Bobbio, Massima Mila, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Giulio Einaudi. […] Claudio Bondì ha evidenziato nel racconto gli aspetti di due educazioni contrapposte: quella chiusa e perbenista della famiglia di Giulio, e quella degli “ospiti” del manicomio. Il conflitto tra la realtà del manicomio e la realtà esterna non appare come una manifestazione particolare ma universale: è lo stesso che contrappone la morte alla vita, la realtà alla sofferenza, al desiderio di felicità. In tutto il film c’è questo senso di privazione e di esilio, come se da una condizione originaria d’ingenuità la vita fosse poi precipitata nella colpa della Storia. È questo lo stupore ultimo di Giulio, e in fondo anche di Bondì. Il cinema spesso evoca, contrapponendola, l’angoscia degli uomini all’indifferenza della natura, la cecità delle storie individuali frantumate e incoerenti allo splendore luminoso dei cieli, al rosso cupo del sangue, al verde trionfante dell’erba, alla concitazione della morte, alla calma estraniata dell’attesa. La città, le colline, il Po sono mostrati in una cornice tutt’altro che scontata, non c’è ombra di riconoscibilità folcloristica; c’è invece un’attenzione raffinata alle sue molte possibilità espressive e alle sue atmosfere, tutte implicite. Un film che vuole arrivare all’immaginario del pubblico tramite una storia credibile fatta di sentimenti verosimili, di immagini che suggeriscono esperienze condivisibili e coinvolgenti. Per quanti difetti possano trovarsi nel film – e qualcuno c’è – tuttavia non c’è ombra di meschinità o di banalità. Nulla è dato per scontato, nella storia di Giulio: la vicenda familiare, gli amici, le esperienze affettive, la solitudine, il fascismo sono solo accennati e proprio per questo convincenti. Lo stesso vale per tutto il resto. La sceneggiatura non rende mai esplicito, non spiega. Al contrario, suggerisce per cenni, offre il senso molto più che i particolari, dandoci così anche la percezione della sua attuale ombrosità emotiva» (M. Giovannini, www.kwcinema.it).
 
«Si è concluso con successo il primo test europeo di trasmissione di un film via Internet mai realizzato in Europa. L’evento organizzato dalla media company italiana NEXTA.com in occasione della 58. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha portato sugli schermi dei PC degli utenti Internet connessi al sito www.film.it L’educazione di Giulio, un lungometraggio cinematografico di 90 minuti scritto e diretto dal regista Claudio Bondì e prodotto da Veradia Film. La distribuzione del film in videostreaming sul web è avvenuta grazie alla trasmissione satellitare a banda larga garantita dalla piattaforma multimediale OPENSKY di Eutelsat Multimedia. Da un punto di vista tecnologico la distribuzione web del film in videostreaming è stata realizzata in tempo reale con una compressione nello standard MPEG-4 a 352x288 pixel su un canale di 1 Mb/s. La proiezione web del film è avvenuta all’interno del sito www.film.it dove gli utenti europei abilitati e dotati di una scheda modem satellitare DVB/IP, di un’antenna parabolica puntata a 7° Est e del software Windows Media Player hanno potuto visionare il film ad una qualità paragonabile a quella di una VHS. "La scelta di trasmettere per la prima volta un film via Internet – afferma Piero Muscarà, socio fondatore e presidente di NEXTA.com – corrisponde ad una nostra precisa volontà di posizionarci sul mercato come uno dei principali attori nel campo della produzione e distribuzione di contenuti multimediali originali sul web. L’arrivo della banda larga apre nuove opportunità per raggiungere i 14 milioni di utenti italiani della rete con prodotti di intrattenimento audiovisivi, multimediali e cinematografici. È il momento di passare dalle teorie alle applicazioni concrete. NEXTA.com è in prima linea nel processo di sviluppo del mercato dei contenuti di Internet". ”Credo sia importante riflettere – ha aggiunto Vincenzo Verdecchi, produttore e amministratore delegato di Veradia Film – circa le nuove opportunità che Internet offrirà al mondo creativo e cinematografico indipendente in particolare. Se è vero che il web sta divenendo un mezzo di comunicazione sempre più diffuso in Italia e nel mondo penso sia fondamentale per noi produttori saper cogliere l’attimo e cominciare a pensare alla rete come ad una nuova finestra distributiva per i nostri prodotti" "Internet pone noi autori di fronte ad una sfida – ha affermato Claudio Bondì, regista de “L’educazione di Giulio” – quella di inventare nuovi linguaggi, nuovi modi di raccontare le storie del cinema per utenti che sono sempre più abituati ad interagire con i contenuti, a crearli, modificarli, viverli in maniera totalmente differente rispetto a quanto non sia stato fino ad oggi"» (www.nexta.com, 6.9.2001). 




Persone / Istituzioni
Claudio Bondì
Roberto Accornero
Tatiana Lepore
Roberto Zibetti
Piero Ferrero
Bruno Gambarotta
Ladis Zanini

Luoghi
NomeCittàIndirizzo
Certosa di Collegno (ex-manicomio)Collegno (To)-
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Museo di AnatomiaTorinocorso Massimo D'Azeglio
Palazzo di Città, piazzaTorinopiazza Palazzo di Città
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