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Lungometraggi |
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Passione d'amore
Italia/Francia, 1981, 35mm, 118', Colore
Altri titoli: Passion d’amour, Passion of Love
Regia Ettore Scola
Soggetto Ruggero Maccari, Ettore Scola, dal romanzo "Fosca" di Iginio Ugo Tarchetti
Sceneggiatura Ruggero Maccari, Ettore Scola
Fotografia Claudio Ragona
Operatore Idelmo Simonelli
Musica originale Armando Trovajoli
Suono Remo Ugolinelli
Montaggio Raimondo Crociani
Scenografia Fiorenzo Senese
Arredamento Mauro Passi
Costumi Gabriella Pescucci
Trucco Otello Sisi
Aiuto regia Paola Scola
Interpreti Valeria D'Obici (Fosca), Bernard Giraudeau (capitano Giorgio Bacchetti), Jean Louis Trintignant (maggiore medico), Laura Antonelli (Clara), Massimo Girotti (colonnello), Bernard Blier (maggiore Tarasso), Gerardo Amato (tenente Baggi), Sandro Ghiani (attendente di Giorgio), Alberto Incrocci (capitano Rivolti), Rosaria Schemmari (di compagnia di Fosca), Francesco Piastra (attendente del colonnello), Saverio Vallone (tenente biondo), Franco Committeri (marito di Clara)
Direttore di produzione Giorgio Scotton, Gino Santarelli
Produzione Franco Committeri per Massfilm, Les Film Marceau, Cocinor
Distribuzione Cineriz
Note Nulla Osta n. 76.613 del 30.4.1981.
Girato in Eastmancolor; aiuto operatore: Massimiliano Sano; assistente operatore: Stefano Ricciotti; fotografo di scena: Paul Ronald; direttore d’orchestra: Armando Trovajoli; assistente montatore: Pina Triunveri; mixage: Danilo Moroni; scenografo aggiunto: Nazzareno Piana; assistente scenografo: Giacomo Calò Carducci; assistente costumista: Susanna Soro; sarta: Angela Silighini; aiuto truccatore: Gino Tamagnini; doppiaggio: Cooperativa Doppiatori; doppiatori: Cesare Barbetti (Bernard Giraudeau), Sergio Graziani (Jean-Louis Trintignant), Roberto Mori (Bernard Blier); segretario di produzione: Carmine Parmigiani; segretario di edizione: Francesco Lazotti; amministratore: Pietro Innocenti; prima proiezione pubblica: 7.5.1981.
Le riprese sono state realizzate a Torino e nel parco de La Mandria, a Venaria Reale (TO).
Nel 1981 Franco Committeri ha conseguito il David di Donatello come Miglior Produttore e Valeria D’Obici come Migliore Attrice Protagonista.
Sinossi
Nord Italia a metà dell’Ottocento. Nelle estenuanti foschie d’autunno, tra i nitriti dei cavalli, il tambureggiare dei loro zoccoli sui sentieri sassosi e le stupide battute degli ufficiali di un presidio sperduto, la bruttissima Fosca riesce a fare innamorare di sé il giovane e fascinoso capitano di cavalleria Giorgio Bacchetti – già amante di una donna bellissima, Clara – e gli lascia in eredità, dopo una violenta e distruttrice passione, la sua infelicità di creatura solitaria e oltraggiata.
Dichiarazioni
«La vicenda è ambientata nel 1860 in pieno romanticismo. L’autore della novella, assieme a Boito, Roani e Cremona, era considerato un estremista, un arrabbiato della letteratura, perché, in polemica con l’accademia di allora, rompeva i canoni tradizionali della bellezza femminile, della bontà e del decoro borghese. […] Nel mio nuovo film si parla di una emarginazione naturale, eterna, che è quella della bruttezza. La bruttezza in un uomo può essere un particolare in più perché altre qualità come l’intelligenza o l’affermazione sociale possono supplire ad eventuali “handicap”. La donna, invece, deve avere come sua prima virtù la bellezza ed è la facciata di come si presenta che la condiziona in tutto, nell’amore, nel lavoro, negli affetti. Ritengo questo argomento particolarmente attuale perché ancora oggi, dopo più di cento anni, la condizione della donna e il suo dovere di aderire a certi modelli sono rimasti gli stessi» (E. Scola, “Gazzetta del Popolo”, 12.11.1980).
«Non so davvero spiegarmi se siano stati gli amici – e sono in molti ad assicurarmi di aver fatto il mio nome a Scola – o se tutto sia nato dalle solite foto in mostra nell’album di un agente. So solo che sono stata chiamata, che ho fatto un provino particolarmente impegnativo, mi sono lasciata trasformare al trucco fino a rendermi persino inaccettabile a me stessa. Non mi sopportavo più esteticamente, ma ero completamente affascinata da un gioco nuovo, al quale non riuscivo a sfuggire. Devo confessare una cosa: a parte Cannes, non ho ancora avuto il coraggio di entrare in sala in un cinema qualsiasi, ad ascoltare qua e là i commenti del pubblico vero» (V. D’Obici, “la Repubblica”, 12.8.1981).
«[…] nel 1981 cinema e televisione riscoprono un autore u po’ negletto dell’Ottocento ([…] riportato in lune negli anni Settanta da Cavino per la sua collana “Centopagine”): Iginio Tarchetti, esponente della scapigliatura milanese che nel 1869 morendo lascia un romanzo incompiuto, Fosca, pubblicato a puntate su Il Pungolo. Ne scriverà le ultime pagine Salvatore Farina, il suo più caro amico. Eccentrico, romantico estremista, Tarchetti ribalta la tradizionale raffigurazione dell’eroina romantica, attribuendo a Fosca una bruttezza repellente. “Un romanzo di allucinazioni” lo definisce Giulio Cattaneo, che rileva l’influenza hoffmaniana sull’opera di questo narratore scapigliato e l’equilibrio con cui Tarchetti risolve nel romanzo le sue ossesioni: l’insofferenza per la vita militare e l’attrazione per i personaggi sgradevoli e sinistri. Mentre lo sceneggiato televisivo è firmato da Enzo Muzii, la versione filmica è realizzata da Ettore Scola, il quale abbandona le tematiche contemporanee per immergersi nel cupo dramma decadente di un uomo che cede, fino alla rovina sociale e fisica, all’amore di una donna dall’aspetto repulsivo, eppure misteriosamente attraente» (C. Bragaglia, Il piacere del racconto, La Nuova Italia, Firenze, 1993).
Secondo il noto italianista Giuseppe Petronio, «si sente che Scola, regista colto, ha studiato Tarchetti prima di tradurlo a modo suo in immagini. Non si può ovviamente parlare di traduzione fedele poiché il regista ha incentrato la sua attenzione soprattutto sulla passione travolgente, per cui il protagonista si innamora, o per lo meno sente di doversi innamorare, perché Fosca l’ha amato. Per me è meraviglioso lo sfondo del vecchio Piemonte ricreato da Scola. Ma non è lo sfondo di Tarchetti» (G. Petronio, “La Stampa”, 20.9.1981).
Secondo il noto italianista Giuseppe Petronio, «si sente che Scola, regista colto, ha studiato Tarchetti prima di tradurlo a modo suo in immagini. Non si può ovviamente parlare di traduzione fedele poiché il regista ha incentrato la sua attenzione soprattutto sulla passione travolgente, per cui il protagonista si innamora, o per lo meno sente di doversi innamorare, perché Fosca l’ha amato. Per me è meraviglioso lo sfondo del vecchio Piemonte ricreato da Scola. Ma non è lo sfondo di Tarchetti» (G. Petronio, “La Stampa”, 20.9.1981).
Tarchetti, a parere di Alberto Moravia, nel suo romanzo «non ci ha descritto l’amore “anormale” tra un giovane e avvenente ufficiale e una donna di bruttezza “orrenda”; in realtà ci ha descritto la normalità di ogni amore che, appunto, consiste invariabilmente nell’essere anormale rispetto alla “norma”, diciamo così, mondana». Il regista dimostra di capire «che il contrasto tra norma mondana e norma amorosa costituiva il fondo del problema e ha provveduto, con meticolosa ed legante stilizzazione, a recuperare per noi l’ambente stendhaliano-tolstoiano della autobiografica (Fosca si chiamava Carolina C., era sarda, epilettica e certo non bella) vicenda di Tarchetti. Forse un po’ ripetitive, le scene della società militarmente formalista e melensa degli ufficiali piemontesi, forniscono uno sfondo corale efficace alla passione di Fosca. Che, appunto perché “normale” secondo la norma dell’amore e non quella del mondo, grazie alla bravissima Valeria D’Obici, costituisce il pernio del film» (A. Moravia, “L’Espresso”, 31.5.1981).
È un film che può disturbare – quanto disturba l'opera da cui è tratto – per l’esagerata e puntuale disamina dell’amore come malattia dello spirito e poi del corpo, per la voluttà con cui si descrive il destino della giovane donna tradita, abbandonata, e poi vittima e insieme carnefice dell’inquieto Giorgio. Allo stesso tempo Passione d’amore è un dramma in costume e una grande metafora ambigua e onirica: mai come in questo film Scola ha «rivelato con tonalità e accenti tanto espliciti ed esteticamente motivati, la tendenza […] a superare la barriera del realismo per entrare in una dimensione dominata apertamente dal mistero e dal surreale. Tale tendenza tuttavia, che si colloca agli antipodi dei modelli stilistici ed espressivi della commedia all’italiana, cui il cinema di Scola comunque, per larga misura appartiene e si riferisce, non deve essere intesa e interpretata come contrapposta allo sguardo penetrante e attento ai dettagli della psicologia umana e al perimetro reale entro cui questa si esprime, ma come un elemento aggiuntivo, che rende più chiaro il senso profondo della storia e della realtà stessa. […] Si tratta insomma di un film apparentemente anomalo ed eccentrico se messo in apporto con tutta la produzione di Scola, che deve essere inteso come un’esplorazione radicale negli abissi più profondi e più bui dell’anima umana» (E. Bispuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano, Bulzoni, Roma, 2006).
«Scola debutta nel film in costume a pieni voti, come era lecito prevedere. Non compiace al pittoricismo di un Bolognini e al riciclaggio di celebri tele, non inclina alla teatralità e al rigorismo decorativo di un Visconti, non indulge neanche all’evocazione preziosistica, un po’ rarefatta, dei cineasti calligrafi. È soffice, sobrio e avviluppante nel ritaglio di un Piemonte, fresco di echi risorgimentali, cinto da muraglie di monti, coperto di verdi campagne, punteggiato di calme province. La noia del tran-tran nelle guarnigioni, le chiacchierate a tavola, l’andirivieni strascicato dei drappelli di cavalleria in una cittadina sonnolenta, l’assaporamento di un sigaro e di un bicchiere di vino allo scadere della giornata, accanto a un camino scoppiettante, lo strazio delle grida che provengono dalle stanze di Fosca e interrompono conversari faceti: Scola anima le pagine di Tarchetti, le atmosfere più distese e le più cariche di tensione. In Passione d’amore vi sono accenni alle disastrose conseguenze della conquista regia nel Mezzogiorno, al brigantaggio e alla cecità di una politica intesa a reprimere il banditismo e a punire le popolazioni meridionali conservandole in una spaventosa arretratezza, e vi si rinviene il primato della ragione che il dottore rivendica, sconfitto, quale uomo di scienza e seguace delle dottrine positiviste. Il fior fiore del film è nella mescolanza di quotidiano e di inconsueto, normale e deforme, salute e malattia, è nella esclusione di truculenze e di macchinosità, nel contrappunto di un paesaggio dolce e placido. La storia raccontata da Tarchetti e riletta da Scola è meno nera di quella originaria; ne sono state ridimensionate le venature romantiche e demoniache, ma l’omologazione allo scrittore piemontese e ai suoi compagni della Scapigliatura riesce infallibile nella pacatezza dello svolgimento, nell’aria di nostre contrade e di fantasie domestiche che Scola profonde, snocciolando una vicenda che altrove sarebbe stata avvolta da tetri banchi di nebbia, brividi agghiaccianti, funerei presagi, incubi ossessivi. Una fetta di limpido cielo si stende su Passione d’amore, un’unghia di realismo si coniuga alla discesa nel labirinto di Fosca e all’enigma del suo fascino, una florida e solare Laura Antonelli (Clara, l’amante distante di Gorgio) dona intermezzi di radiosità in un film ove Scola è più che mai indagatore e poeta dell’essere “diverso”» (M. Argentieri, “Rinascita”, 29.5.1981).
Scheda a cura di Matteo Pollone
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