Assistente operatore: Cristian Li Gregni; fotografo di scena: Silvia Salchi; suono in presa diretta; segretarie di edizione; Valeria Borello, Egle Tulisso.
Documentario realizzato con il sostegno della Regione Piemonte e della Film Commission Torino Piemonte, con il patrocinio degli Stati Generali di Alessandria e della Presidenza del Consiglio Comunale di Alessandria.
Locations: castello di Bergamasco (Alessandria).
««Nel documentario, Leva racconta i momenti salienti della sua carriera: dagli esordi, negli anni cinquanta, quando giovane studente, ma già abile disegnatore, approda nella Capitale dove ha modo di farsi conoscere curando il restyling di locali alla moda, al suo ingresso nel mondo del cinema con Sodoma e Gomorra al lungo sodalizio con Sergio Leone per cui curò le scenografie di Per qualche dollaro in più, Per un pugno di dollari, Il buono, il brutto, il cattivo, Giù la testa, C’era una volta il west collaborando con l’Art director Carlo Simi che fu t'ultimo suo maestro. Anche se la sua intensa attività professionale lo ha portato più volte all’estero, Carlo non ha mai interrotto il legame con la terra d’origine, il paesino di Bergamasco, dove tuttora vive nel suo castello. Fotografie, quadri, bozzetti, sceneggiature, copioni ma non solo: il letto della camera di Claudia Cardinale in C’era una volta il West, la fondina che indossa Clint Eastwood in uno dei tanti western di Sergio Leone, il bastone che accompagna il cieco Karl Malden ne Il gatto a nove code, sono oggetti rari e preziosi conservati in questa casa ricca di memorie. I racconti delle sue esperienze e i ricordi legati ad ogni singolo set contribuiscono indubbiamente a far conoscere un periodo della storia dello spettacolo del nostro Paese e soprattutto trasmettono la passione per un mestiere di tipo artigianale tutt’altro che tramontato. Incontri, vicende, episodi, aneddoti e storie, tante storie: un film nel film che Carlo Leva rivede con passione e affettuosa nostalgia. Un uomo soddisfatto del suo lavoro, che ha dato molto al nostro cinema e che ha scelto di non spezzare i legami con le persone care ed familiari, di non dimenticare le sue origini per vivere e lavorare a Hollywood» (L. Roggero, “Mondo Niovo 18-24 ft/s” n. 0, ottobre 2002).
«L’impatto vero e proprio con il cinema nasce dal fatto di aver fatto della pubblicità. Alcuni dirigenti della Titanus mi videro mentre lavoravo - ed ero uno sgobbone -: ad un certo punto mi chiamarono nel loro ufficio e mi chiesero se volevo far parte della grande famiglia della Titanus per girare un film poi diventato famoso, Sodoma e Gomorra, nel deserto del Marocco. Robert Aldrich, il regista del film, volle per tutte le scene d’azione un regista italiano e pretese che fosse Sergio Leone perché egli era già reduce da collaborazioni in grossi film americani come Ben Hur: la famosa corsa delle bighe è tutta di Leone. Sergio Leone, che durante le riprese mi vedeva sgobbare in mezzo ad una folla indemoniata composta da 2400 persone, una sera, mentre sorseggiavamo un tè, dopo una giornata di lavoro fuori dal nostro albergo di Marrakech, mi chiese se vivevo a Roma. “Si, ormai sono un cineasta romano a tutti gli effetti”, gli risposi. “Bene, bene, quando tornamo a Roma” mi disse “me te compro” […]. Con Sergio Leone ho avuto un rapporto di grande amicizia e stima. Mi ricordo che avevamo la stessa età, anzi lui scherzava sul fatto che aveva qualche mese in più di me per cui era il più anziano e quindi dovevo dargli retta. Ma avevamo gli stessi gusti, forse la stessa estrazione sociale. Entrambi amavamo la letteratura americana, avevamo visto la guerra con gli occhi di ragazzi di 10-15 anni. Poi io gli parlavo qualche volta del cinema che mi aveva fatto conoscere mio nonno, il cinema della Fert di Torino, dove il padre di Sergio Leone era stato un famoso regista del muto. Ci ha legato probabilmente anche questa radice comune nel cinema torinese» (C. Leva, dal testo del documentario).