Altri titoli: Sous le Soleil Noir
Regia Enrico Verra
Soggetto Enrico Verra
Sceneggiatura Enrico Verra, Marco Videtta
Fotografia Claudio Meloni
Musica originale Giuseppe Napoli
Musiche di repertorio Mau Mau
Suono Mirko Guerra
Montaggio Carlo Balestrieri
Scenografia Francesca Bocca
Costumi Paola Ronco
Aiuto regia Alberto Mangiante
Interpreti Simone Gandolfo (Sergio), Clara Uziewe (Judy), Belinda Idialu (Jennifer), Jalal Brajli (Ralmi), Bedlu Cerchiai, Fabio Camilli, Bedy Moratti, Nsongan Zenonbiennenu
Produzione Agnese Fontana per Brooklyn Films
Distribuzione Brooklyn Films
Note Suono in presa diretta Dolby Digital; montaggio degli effetti sonori: Marco Furlani; assistente alla regia: Alberto Mangiante.
Film realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il supporto del Programma Media della Comunità Europea e della Film Commission Torino Piemonte.
Premi: Prix Amilcar du Jury (ex-aequo) al Festival du Film Italien de Villerupt 2005.
Sinossi
Sergio, nato e cresciuto in un quartiere operaio della periferia di Torino, vive una vita senza futuro. Sogna la fuga, sogna di essere altrove. Trovatosi di colpo senza soldi e senza casa, scopre un altro mondo a pochi chilometri da dove è sempre vissuto: in centro città, nel vivacissimo ghetto degli immigrati del terzo mondo, San Salvario. Qui per guadagnare un po’ di soldi si mette in società con una ex prostituta nigeriana, Judy, un rapper senegalese, Badu e un giovanissimo marocchino appena arrivato in Italia, Ralmi. Insieme producono videocassette che sono false trasmissioni di una televisione che non esiste: The Black Soul Channel. Protagonisti delle trasmissioni, che risultano essere delle micidiali e divertentissime parodie della nostra televisione (l’elezione di Miss Nigeria in Italy, gli speciali sulla moda di Black Glamour, videoclip musicali di maroc-n-roll, ecc.), sono gli stessi immigrati della città, che poi comprano a tutto spiano le cassette per inviarle nei paesi di origine e raccontare un successo inesistente, ben lontano dalla vita quotidiana.
Dichiarazioni
«Spesso durante le riprese di Sotto il Sole Nero la realtà e il film si sono intrecciati in modo inestricabile. Per me e per tutta la troupe è stata un’avventura unica trovarsi ogni giorno a filmare storie immersi nella realtà stessa che le aveva fatte nascere. […] L’ossessione di raccontare da vicino S.Salvario è nata per me nel 1999 quando ho girato un corto nel quartiere. Mi sono trovato davanti il mondo un po’ chiuso e indecifrabile degli immigrati e è scattata fortissima la molla della curiosità di scoprire storie che mi sembravano lontanissime dalle generalizzazioni, dagli stereotipi e dalla retorica che infestavano articoli giornalistici e servizi televisivi. Non mi interessavano le analisi sociologiche, mi interessavano gli individui. Quasi tutte le persone che ho incontrato avevano alle loro spalle delle storie che chiedevano solo di essere filmate. Commedie, melodrammi, piccoli noir. Tutti erano spinti da un energia formidabile, simile forse a quella degli italiani del dopo-guerra. Per quante sfighe avessero avuto non perdevano la forza e la dignità di farci una risata sopra e di tirare avanti. Nel ghetto si soffre tra solitudine, permessi scaduti e sfruttamenti, ma ci si diverte anche molto inseguendo e sfiorando sogni di successo e riscatto sociale che forse non si realizzeranno mai. Ho passato molte ore nel quartiere entrando in contatto con gli abitanti, ascoltando, osservando. […] Poi sono arrivate le riprese. Lì la sfida è stata fare lavorare insieme degli attori professionisti e dei non professionisti. Tutti i ruoli di italiani sono interpretati da professionisti, mentre tutti i ruoli di immigrati sono interpretati da donne e uomini trovati sulla strada (eccetto Badu che è evidentemente il più “italianizzato” degli africani), persone che ho scoperto facendo un lungo casting nelle vie,nei negozi e nei bar del quartiere. Prima delle riprese abbiamo affrontato un grande lavoro di prove e di improvvisazioni a partire dal testo della sceneggiatura per arrivare a trovare un incrocio possibile tra il rigore della tecnica e le necessità del racconto da un lato, e, dall’altro, l’anarchismo della spontaneità e la forza della realtà. […] Ho avuto un solo obiettivo mentre giravo: mostrare in modo leale la realtà della vita dei miei personaggi» (E. Verra, Note di regia, Press-book della Produzione, 2004).
«L’idea del film è nata anni quando ho girato tra via Nizza e piazza Madama Cristina il corto Benvenuti in San Salvario. In questa zona trovai infatti una miniera di storie, grandi tragedie e piccole commedie, meritevoli di esser portate sullo schermo: Sotto il sole nero è un collage di questi racconti, che si intrecciano nell'ora e mezza di immagini. […] Detesto il razzismo e il facile buonismo, questo film non intende dare messaggi. L’obiettivo principale del mio lavoro è filmare le situazioni, senza giudicarle, in quanto tocca allo spettatore dare un giudizio su ciò che vede. Per me fare cinema significa mostrare i fatti e lasciare al pubblico il compito di giudicarli. Il mio scrupolo è stato di avere uno sguardo il più possibile onesto su ciò che inquadravo» (E. Verra, “La Stampa”, 5.5.2005).
«Perché la cosa che mi ha colpito di più, di questa gente, è la voglia di divertirsi, di sopravvivere e di ridere anche in mezzo alle disgrazie. […] Per tutto il film c’è un doppio registro che funziona bene, ma ci sono volute quattro settimane di prove per raggiungere quell’intesa, per far recitare queste persone senza perdere la spontaneità» (E. Verra, www.fctp.it).
«La peculiarità più evidente di Sotto il sole nero consiste nella ricerca di un equilibrio fra varie istanze diegetiche – realismo, documentarismo, finzione -, da conseguirsi mediante l'adozione dell'approccio registico più corretto per il testo filmico: uno sguardo sobrio e quanto più obiettivo possibile, capace di ritrarre, alternando distacco e partecipazione, una realtà fortemente connotata dal punto di vista sociale. Il documentarista Verra impianta dunque i semi della finzione in un contesto ambientale preciso e preesistente: le strade e le case di San Salvario [...] che offrono tali suggestioni a livello visivo, sociologico, narrativo da imporsi come set cinematografico ideale. Le premesse sono ottime, ma l’innesto non può dirsi perfettamente riuscito. [...] Risulta [...] funzionale l’utilizzo di diversi registri e forme – noir, commedia, mélo, persino il videoclip – che connotano le diverse anime della pellicola. Anche il finale, sconsolato e senza speranza, è una delle frecce all’arco di Sotto il sole nero. Ma nel complesso l’osservazione risulta superficiale, lo spaccato sociale generico, i personaggi appena abbozzati, il ritmo carente» (M. Bertolino, “Cineforum” n. 5, giugno 2005).
«Dalle mansarde del quadrato di San Salvario si domina un mare un po' sghembo di tegole con le cupole della sinagoga sullo sfondo e, oltre, la punta della Mole. Sullo sfondo il cielo e il sole che Enrico Verra definisce “nero”. Certo c'è molta Africa sotto questi tetti. Già nei 26' di Benvenuto in San Salvario (1998) il regista torinese seguiva la vita grama di un fotografo che, proprio in una di quelle soffitte, scattava false istantanee agli immigrati ad uso di familiari e amici rimasti a casa. […] Il primo lungometraggio di Verra […] non fa che riannodare le fila dell'esperienza precedente limitandosi a complicare l'intreccio (con l'obbligo di scioglierlo) e a introdurre un maggior numero di personaggi, non tutti rispondenti, benché presi dalla strada, ai canoni di autenticità che il regista si propone. L'approccio documentaristico e antiretorico, da “estraneo partecipe”, a un microcosmo totalmente refrattario a disvelarsi comunica una reale tensione, in grado di reggere gli spunti di commedia ma a rischio di caduta verticale nei pantani del melodramma» (a.pre., “Segnocinema” n. 135, settembre-ottobre 2005).
«Il viaggio di un torinese emarginato dalla società che lo circonda si intreccia con i viaggi di numerosi altri. Percorsi questi, che conducono i loro protagonisti ad affrontare spostamenti geografici di notevole portata, attraversando culture e società diversi. Non sembrano tuttavia essere molto diversi da quello compiuto da Sergio, un giovane che ricerca una nuova vità “migrando” da un quartiere di periferia, a San Salvario, luogo in cui incontrerà i suoi compagni di viaggio. Il film mostra bene quindi come all’interno della società italiana possano convivere povertà e ricchezza in modo contiguo. Gli spazi urbani, oscillanti tra ricchezza e povertà, vengono rappresentati con una forte continuità: la Mole, sullo sfondo di molti contesti periferici e disagiati ricorda sempre dove ci si trova e sembra rappresentare i sogni di ricchezza e di notorietà che molti migranti portano con sé. Come nel precedente Benvenuto a San Salvario l’aspetto dell’autorappresentazione è prioritario. Tutto la narrazione sembra infatti ruotare attorno all’immagine. Essa è re-inventata nei videoclip che nel film vengono prodotti dai protagonisti, rivelando la sua priorità e divenendo così ancora più importante di quella che è ritenuta la realtà. La visione diviene quindi un processo relativo, la cui apparente certezza viene messa in discussione, un tipo di riflessione necessaria per superare gli stereotipi. Il desiderio di proporre un’immagine di sé accettabile, diviene l’obiettivo ultimo dei protagonisti, una soluzione per affrontare le proprie esperienze di povertà e di sfruttamento, che tuttavia rivela la sua inadeguatezza nella drammatica conclusione» (Scheda dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, 2007).
«Torino, San Salvario: la "loro" Africa. L'Africa dei torinesi che vivono nel ghetto nero, scontrandosi e magari assimilandosi con gli immigrati, e la Torino degli esclusi dove s'addensa il terzo mondo con la convinzione di trovare l'America. Una Torino di povertà, cioè di sogni e disillusioni, mosaico di drammi e di storie, difficili da vivere, ancor più difficili da raccontare: ci ha provato, con rinnovata ostinazione, Enrico Verra, con il suo primo lungometraggio. Sotto il sole nero è un viaggio malinconico dentro i gesti estremi dello spaccio, della prostituzione, della clandestinità, concedendosi il sorriso d'uno stratagemma (ispirato a un'esperienza reale): quello della confezione di videocassette su false trasmissioni tv, protagonisti gli immigrati, che così potranno rassicurare chi è rimasto laggiù (e forse se stessi) alimentando l'illusione che ce l'hanno fatta» (M. Serenellini, www.aiacetorino.it).
«Il quartiere di San Salvario a Torino è stato spesso al centro delle cronache come esempio di degrado urbano, di connubio tra criminalità e nuova immigrazione. Con le speculazioni e spettacolarizzazioni del caso. Enrico Verra, uno dei più noti documentaristi italiani, esordisce invece nel lungo a soggetto raccontando il quartiere da torinese, dopo avergli dedicato tra l'altro un documentario. Lo spunto iniziale vede un torinese sbandato finire quasi per caso nel mondo degli immigrati, e mettere su una piccola impresa di filmati (tratti da una immaginaria emittente nigeriana in Italia) che gli africani mandano a casa. Ma presto scoppiano i conflitti, perché il mondo degli immigrati è sfruttamento (anche reciproco), violenza e paura. Il film ha alcune incertezze, e nella seconda parte vuole tirare le fila del racconto un po' dimostrativamente, come un teorema. Ma i difetti sono sopravanzati dalla volontà di guardarsi attorno, dalla visione non idealizzata del mondo narrato, dall'attenzione all'ibridazione delle culture, da un gusto non insincero del melodramma» (E. Morreale, www.aiacetorino.it).
Scheda a cura di Damiano Cortese
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