Regia Carlo Lizzani
Soggetto Giorgio Arlorio, Ennio De Concini
Sceneggiatura Giorgio Arlorio, Ennio De Concini
Fotografia Roberto Gerardi
Operatore Silvano Ippoliti
Musica originale Carlo Rustichelli
Musiche di repertorio Domenico Modugno
Suono Ovidio Del Grande, Raffaele Del Monte
Montaggio Mario Serandrei
Scenografia Nedo Azzini
Arredamento Nedo Azzini
Trucco Giuliano Laurenti
Aiuto regia Giuliano Montaldo
Interpreti Carla Gravina (Esterina), Domenico Modugno (Piero), Geoffrey Horne (Gino), Anna Maria Aveta (moglie di Pietro), Lionello Araldi, Giorgina Goletti, Virgilio Gottardi, Silvana Jachino, Greta Lars, Mario Mazza, Sandro Merli, Maria Laura Nucci, Raimondo Van Riel
Ispettore di produzione Giancarlo Campidori
Produttore esecutivo Renzo Marignano
Produzione Alfredo Guarini per Italia Prod. Film (Roma), Gray Film (Parigi)
Distribuzione Italia Film
Note Registro cinematografico n. 2.146.
Canzone: Una testa piena di pugni di Domenico Modugno; direttore d’orchestra: Pier Luigi Urbini; segretario di produzione: Paolo Gargano.
Il film è stato girato negli Stabilimenti Ponti–De Laurentiis (FERT) di Torino ed è stato presentato alla Mostra di Venezia del 1959.
Sinossi
Esterina, semplice ragazza di campagna, dopo essere stata accusata del furto di una bicicletta dai suoi padroni di lavoro ed essere stata difesa dai due camionisti Gino e Piero, decide di partire con loro in un viaggio da Torino a Livorno per scoprire l’affascinante vita cittadina. La giovane viene rifiutata dal camionista di cui si è innamorata poiché egli è contrario al matrimonio e si trova a vivere spiacevoli vicende. Infine, dopo essersi infrante anche le aspettative legate alla città, i due che si amano realmente, decidono di vivere insieme.
Dichiarazioni
«Esterina fu presentato al festival di Venezia lo stesso anno di un altro grande capolavoro prodotto da De Laurentiis, La grande guerra, e di Il generale Della Rovere, prodotto da Ergas. Due grandi film che furono giustamente premiati, tuttavia René Clair si complimentò con noi, con Carla Gravina, affermando che il film gli era piaciuto, anche per l’aria svagata e bizzarra della protagonista. Scelsi di girare a Torino fin dalla prima stesura del soggetto. Torino rappresentava l’Italia industriale nonché la prima capitale del cinema, ma soprattutto faceva da contraltare, con la sua struttura razionale, alla bizzarria della protagonista della mia storia. È del resto una mia abitudine girare dei film fuori da Roma e, se possibile, nel Nord Italia, come nel caso del film Lo svitato, girato a Milano, con Dario Fo per la prima volta sullo schermo. Torino poi la conoscevo bene, avendola frequentata fin dai sopralluoghi e dalle riprese di Riso amaro» (C. Lizzani, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
«Venni a Torino per lavoro prima di Tiro al piccione, perché feci l’aiuto regista di Carlo Lizzani durane le riprese di Esterina. Ho un ricordo bellissimo di quell’esperienza: si abitava a Villa Sassi, si mangiava al Cambio e al Caval d’Brons, si passavano le giornate con la simpatica Carla Gravina e l’esuberante Domenico Modugno. Il film fu girato in periferia, con la sceneggiatura di Ennio De Concini, ma non ebbe troppo successo. Imparai molto stando vicino al mio maestro Lizzani: appresi i rudimenti della scrittura con la macchina da presa e rimasi colpito dalla calma olimpica che dimostrava durante le riprese, sapendo già in anticipo che cosa si dovesse fare» (G. Montaldo, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
«Il produttore che iniziò il film non aveva una lira, il film poi è stato terminato grazie all’ingresso di un nuovo socio. Ma durante i sopralluoghi di soldi veramente non ce n’erano. E così avvenne che, dovendo noleggiare una macchina per fare un giro e guardare la periferia della città dove sarà poi ambientata gran parte del film, non potemmo permetterci altro se non una Seicento. Il noleggiatore oppose una resistenza molto dignitosa: ma come, siete in quattro, non ci starete mai. Noi fummo inflessibili: o la Seicento o niente, anche perché i soldi non c’erano. Allontanandoci vedemmo il noleggiayore che allargava le braccia, non prima di un’ultima raccomandazione: mi raccomando, chi è seduto dietro non punti le ginocchia se no il sedile si danneggia…» (G. Montaldo, “La Stampa - TorinoSette”, 23.4.2010).
«II produttore che iniziò il film non aveva una lira, il film poi è stato terminato grazie all'ingresso di un nuovo socio. Ma durante i sopralluoghi di soldi veramente non ce n'erano. E così avvenne che, dovendo noleggiare una macchina per fare un giro e guardare la periferia della città dove sarà poi ambientata gran parte del film, non potemmo permetterci altro se non una Seicento. Il noleggiatore oppose una resistenza dignitosa: ma come, siete in quattro, non ci starete mai. Noi fummo inflessibili: o la Seicento o niente, anche perché i soldi non c'erano. Allontanandoci vedemmo il noleggiatore che allargava le braccia, non prima di un'ultima raccomandazione: mi raccomando, chi è seduto dietro non punti le ginocchia se no il sedile si danneggia...» (G. Montaldo, “La Stampa - TorinoSette”, 21,12.2007).
«Quando sono arrivata a Torino avevo solo diciotto anni ma qualche esperienza alle spalle: a sedici anni ero andata via di casa e Lattuada mi aveva scelta come interprete di Guendalina. Si vede che il mio volto, così diverso da quello delle altre giovanissime che facevano le attrici in quel periodo, piaceva. O meglio, piaceva alla gente che piace a me. Lizzani diceva che sembravo francese, e in quei tempi c’era un po’ il mito della Francia nella cultura di sinistra. Il film che mi chiamò a interpretare proprio a Torino, Esterina, era d’altro canto un vero film di sinistra: lo eravamo io e Lizzani, lo erano Giorgio Arlorio che esordiva nella sceneggiatura, Giuliano Montaldo che faceva l’aiuto regista ma che già sognava un film tutto suo, lo era Domenico Modugno che era l’interprete principale... All’epoca si parlò naturalmente di “film neorealista”, anche in considerazione del fatto che lo aveva diretto Lizzani, ma a me sembrava di fare qualcosa di diverso, qualcosa che ricordava un certo realismo francese. Ricordo bene l’impressione che mi faceva la periferia di Torino, sembrava tutto un cantiere con i palazzi che erano in costruzione un po’ ovunque e pensavo che di lì a pochi anni la città sarebbe completamente cambiata e infatti fu così. Anche se era un film molto impegnato, ci divertimmo molto a girarlo. Abitavamo a Villa Sassi, un bellissimo albergo in collina, e ogni sera Modugno cantava insieme a noi fino a tardi. Quando vidi il film qualche tempo dopo, vedendo tutti quei cantieri pensai che ormai non mi sarei più raccapezzata in quella città, ci tornai un paio d’anni dopo per uno spettacolo, e infatti non riuscii più a trovare la strada sulla quale arrivavo a bordo di un camion, contadinella decisa a trasferirsi in città. Pensai che alle ragazze di campagna che si erano trasferite a Torino doveva essere successa la stessa cosa: anche se volevano tornare indietro non avrebbero più trovato la strada. La loro vita adesso era lì, in città. E infatti sono rimaste e sono cambiate, hanno saputo battersi per i propri diritti meglio di tante altre che erano sempre state in città. I primi scioperi nelle fabbriche li hanno fatti loro» (C. Gravina, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
Esterina è un melodramma sociale che fotografa con grande attenzione il boom economico ed il volto di Torino, città dell’immigrazione e di un’espansione edilizia senza precedenti. Si vedono i palazzoni della Barriera di Milano in corso di costruzione, il clima che si respira è quello del grande inurbamento della fine degli anni Cinquanta. Il melodramma a sfondo sociale è la chiave scelta da Carlo Lizzani per mettere in scena vicende contemporanee, mentre in quegli stessi anni i suoi colleghi di matrice neorealista prediligevano per lo più le rievocazioni storiche. È il primo film dello sceneggiatore torinese Giorgio Arlorio, il primo ruolo da protagonista di Carla Gravina e l’esordio cinematografico di Domenico Modugno.
«Fragile, se pur gradevole commedia social-sentimentale dell’impegnato (a sinistra) Carlo Lizzani, più interessato a osservare i mutamenti del costume nell’italietta operaia che a seguire le circumnavigazioni amorose della graziosa Carla Gravina. Un plauso sincero a Domenico Modugno. Per come recita? No, perché non canta» (M. Bertarelli, “Il Giornale”, 6.2.2003).
«Sulle spalle della Gravina ha finito per gravitare l’intero peso del film, in quanto dopo un primo avvio abbastanza fresco, lo scenarista De Concini ha mandato avanti il lavoro a spintoni, con invenzioni quasi sempre forzate e poco plausibili, quando non addirittura balorde. La vicenda, già di per sé così fragile, si sfalda in tal modo ben presto in una episodicità non appagante se non qua e là, per merito […] di qualche fervida intuizione di regia» (G.C. Castello, “Bianco e Nero”, 11.11.1959.).
«Il personaggio [di Esterina], che voleva dominare tutto il film, talvolta ne è dominato e sfilaccica nella maniera. Un che di gracile e sconnesso vieta un giudizio del tutto favorevole. Resta la diligenza e spesso l’efficacia con cui il regista Lizzani ha sfaccettato la figurina su mutevoli sfondi: l’ottima fotografia e la pungente interpretazione di Carla Gravina, tanto più attrice quanto più lontana dai moduli della diva» (L. Pestelli, “La Stampa”, 3.10.1959).
Scheda a cura di Isadora Pei
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